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martedì 29 ottobre 2024

257. ISOLE FÆR ØER, NORD ATLANTICO: Il racconto di una dura ed eroica lotta per la sopravvivenza degli isolani nel Batasavnið, il Museo Marittimo faroese. Il rapporto immediato e prolungato dei faroesi con la natura, che ho definito imprinting vichingo, uniti a coraggio, perseveranza e know how, hanno consentito a questo piccolo popolo di eccellere tra tutte le marinerie del nord-Atlantico. Da: VIAGGIO NELLE ATLANTICHE ISOLE FÆR ØER. IL PAESE DAI TETTI DI PRATO, CHE ONDEGGIANO AL VENTO

 Il salone del Museo Marittimo (Batasavnið) di Tórshavn con le sue stupende imbarcazioni. La barca rossa di Trondur a 12 remi (seksæringur) utilizzata per i viaggi è di fronte. Solo parzialmente è visibile la barca nera di Hvalvík (Isola di Streymoy) a 6 remi (6- mannafar). Dietro vediamo la verde a 12 remi dell’isola di Nólsoy; sulla sinistra quella celeste ad 8 remi (8-mannafar) di Miklingur; sulla destra si scorge la nera a 8 remi di Gjógv (© Franco Pelliccioni)

Cosa c'è nel libro: 

PREMESSA; INTRODUZIONE; GEOGRAFIA, CLIMA, NATURA; STORIA; DEMOGRAFIA, ANTROPOLOGIA (FISICA); LINGUA E CULTURA DI UNA NAZIONE-COMUNITA’; ECONOMIA: IL PESCE, L'«ORO» DELLE FÆR ØER. UNA SOCIETÀ COSTRUITA SULLA PESCA; IERI: LA GRANDE CRISI DEGLI ANNI '1990; OGGI: UNA RINASCITA SCANDITA DAL “VERDE”; IL “PORTO DEL DIO TOR”, TÓRSHAVN, CAPITALE DELLE FÆR ØER; IL CATTOLICESIMO NELLE ISOLE; UN’ESCURSIONE NELLE ISOLE DI STREYMOY ED EYSTUROY;  VÁGUR (LA "BAIA"), COMUNITÀ DI PESCATORI DELLA LONTANA ISOLA MERIDIONALE DI SUÐUROY; RITORNO A TOR E, POI, A COPENHAGEN; APPENDICE (Corsari e pirati nordafricani, francesi, inglesi, irlandesi; L’isola che “non c’è”: la remota Mykines); BIBLIOGRAFIA, CARTE

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Il racconto di una dura ed eroica lotta per la sopravvivenza degli isolani nel Batasavnið, il Museo Marittimo faroese

Il rapporto immediato e prolungato dei faroesi con la natura, che ho definito imprinting vichingo, uniti a coraggio, perseveranza e know how, hanno consentito a questo piccolo popolo di eccellere tra tutte le marinerie del nord-Atlantico 

 (...) l’arcipelago è stato completamente isolato dal resto del mondo per quasi un millennio. 

Fino al 1856, quando il Rigsdag, il parlamento danese, abolì il "monopolio" commerciale. 

Uno dei fattori che più profondamente ha inciso sulla sopravvivenza delle comunità faroesi, sul loro stile di vita e cultura. 

Da quest'anno le Fær Øer si aprono all'esterno e viene concesso agli abitanti il permesso di possedere grandi imbarcazioni.  

 Del resto lo "storico" viaggio alle Shetland, Orcadi e Scozia per apprendere le tecniche di pesca, organizzato dal Governatore danese Christian Plǿyen, che si portò appresso tre kongsbøndir faroesi, è del 1839. 

Nel 1872 viene acquistato il Fox, vetusto sloop inglese vecchio di 28 anni, la prima nave d'altura dell’arcipelago. 

 Nel 1873 iniziano i primi sette collegamenti con l’Europa. 

Le navi a vela salpano dal molo Tolbodsexpeditionen di Copenhagen e in quattordici giorni di navigazione completano il loro itinerario.

 Facendo prima scalo a Lerwick, nelle Shetland, poi attraccando a Tórshavn, infine proseguendo per Reykjavík, in Islanda. 

I loro carichi sono composti da diversi generi di approvvigionamento: "tabacco da masticare, da sniffare e da fumo, sciroppo e corda, pelli e lino, galline vive in cesti, fronzoli per signore, petrolio, catrame, brandy, pezzi di maiale e barili ed avrebbero riportato indietro: cavalli, pecore, cani, merluzzo essiccato e olio di fegato, gavitelli, merci di lana e ossa di balena".

(...) In effetti, fino alla metà del XIX secolo i faroesi sono stati essenzialmente piccoli agricoltori-allevatori che, per sopravvivere, si dedicavano all’útrðeur, la pesca costiera. 

D'altronde i discendenti dei vichinghi delle isole non erano forse considerati "agricoltori con barca…"? 

 Da allora i faroesi diedero più volte prova di non essere secondi a nessuno, nell'attività della pesca nei mari vicini, ma soprattutto in quelli più lontani: nei mari artici della Groenlandia, delle Svalbard, della remotissima Jan Mayen, dell'Islanda. 

(...) Grazie a notevoli investimenti nel settore nautico e nell'attrezzatura elettronica ed informatica, sia per la navigazione in senso stretto, che per la ricerca, individuazione e controllo dei banchi di pesca. 

 Il rapporto immediato e prolungato dei faroesi con la natura, che ho definito imprinting vichingo, uniti a coraggio, perseveranza e know how, hanno consentito a questo piccolo popolo di eccellere tra tutte le marinerie del nord-Atlantico (...). 

 Per quanto riguarda più da vicino la situazione dell'arcipelago, la navigazione interisolana è ancora oggi difficoltosa. 

Perché la Corrente del Golfo, che in queste acque si scontra con una forte corrente fredda proveniente dall'Islanda, unisce le sue forze a robuste correnti di marea. 

(...) Se pensiamo che il tempo può cambiare rapidamente, passando dalla bonaccia alla burrasca, con piogge battenti (áarføri) e nebbie, a volte anche persistenti, riusciamo a capire (...) quale possa essere stata la realtà nel passato di questo popolo. 

Così che il Guttormur í Múla, un racconto del XVII secolo trascritto dal folklorista faroese Jakob Jakobsen (...), ricorda come in un colpo solo, durante una tempesta, vennero perse ben cinquanta tristar (...), piccole imbarcazioni dell’epoca (...). 

 Nel diuturno e perenne confronto con le forze della natura, i faroesi hanno quindi dato il meglio di se stessi. 

Realizzando numerose tipologie di imbarcazioni, tutte pluriremi, allo scopo di sfruttare (...) la loro maggior potenza.

 (...) Erano barche leggere, agili e facili da manovrare e da spiaggiare, poiché ancora oggi l'approdo non sempre (...) avviene in un porto, o in un molo (...). 

Ecco quindi, tra le imbarcazioni: la tiggjumannafar (che vede l'impiego di dieci uomini), usata per il trasporto e il commercio, e l'áttamannafar (otto uomini), adoperata per la pesca oceanica e in inverno. 

Nonché l'imponente seksæringur, la più potente imbarcazione aperta faroese, sei remi per lato e dodici uomini, utilizzata nei viaggi commerciali. 

 Gli abitanti di Mykines, l’isola più remota dell'arcipelago, ricordano come un tempo possedessero una teinæringur (diciotto uomini), utilizzata per recarsi a Tórshavn. 

Una tradizione orale dell’isola ci rammenta come, intorno al 1690, andassero perdute tutte le imbarcazioni nel corso di una tempesta.

 Lasciando nella comunità solo donne e bambini… 

 Queste sono le imbarcazioni faroesi, di netta derivazione vichinga, tuttora diffusamente utilizzate in queste infide acque.

 Le ho trovato esposte nel Museo Marittimo. 

Ma le ho anche più volte osservate, nel corso dei miei "vagabondaggi" nelle isole (...). 

 Così, per descrivere la “speciale” posizione storico-culturale di questa remota parte del mondo, mai proverbio è stato così "azzeccato" di quello faroese, che sostiene che "bundin er bátleysur maður": "un uomo senza una barca è un prigioniero".  

 Un museo, questo, che si differenzia totalmente da tutti quelli che, fino ad allora, avevo visitato. 

Non è certamente un museo "storico", nel senso proprio della parola, anzi è abbastanza moderno. 

(...) Un solo grande salone, o poco più. 

 Ma per lo studioso interessato alle culture marittime nasconde un tesoro. 

La sua principale ricchezza consiste proprio nell'esporre imbarcazioni, quasi tutte ottocentesche. 

Anche se sappiamo come le loro omologhe siano ancora oggi orgogliosamente utilizzate nelle acque della baia di Tórshavn, come altrove (...). 

Ma il “tesoro” esposto nel Batasavnið è soprattutto racchiuso nella mostra, scrupolosa e attenta, degli oggetti "storici". 

Dai quali appare con nitidezza la vita di questa gente, così profondamente radicata nell'ambiente marino: strumenti nautici, attrezzi, arponi, ganci e uncini, vecchie fotografie, armi e quant'altro serviva (e serve tuttora). 

Sì, perché subito dopo il mio ingresso nel museo mi sono trovato totalmente e piacevolmente immerso all'interno di poche, ghiotte pagine color seppia. 

Così pregne di storia, di tradizioni, di consuetudini. 

(...) Il tutto è ancora più pregevole, se pensiamo che molto di ciò, che con cura è raccolto al suo interno, è ancora oggi inverato da un uso pressoché quotidiano. 

Come l'importante caccia comunitaria alle balene, il grindadráp, forse l'unica ad essere praticata oggi nel mondo, con la stessa tecnica utilizzata nella “Terra dei Fiordi”, al tempo del re vichingo Harald Hárfagri (“Bellachioma”).

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Nota n. 216, ad integrazione ed aggiornamento del testo

Il museo oggi non esiste più, perché tutto quanto vi era contenuto è stato trasferito, proprio nell’anno del mio soggiorno di ricerca, nel nuovo e moderno Museo Nazionale, il Tjóðsavnið, alla periferia di Tórshavn (...). 

Non molto lontano dal luogo visitato, all’inizio del mio soggiorno nelle isole (...): il tradizionale sentiero intercomunitario punteggiato dai cairns (...). 

Nel museo ha trovato posto (...) un’onnicomprensiva panoramica dell’arcipelago (...). 

Anche se ovviamente ha perso la straordinaria atmosfera di altri tempi, che avevo potuto respirare a pieni polmoni, nel corso della mia visita. 

Vagabondando tra imbarcazioni, vecchie foto e mille oggetti di uso quotidiano...  

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Da: VIAGGIO NELLE ATLANTICHE ISOLE FÆR ØER. IL PAESE DAI TETTI DI PRATO, CHE ONDEGGIANO AL VENTO 

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TUTTI I DATI (ECONOMICI, STATISTICI, DEMOGRAFICI, ETNOGRAFICI, ECC.) CONTENUTI NEI MIEI LIBRI SONO STATI ACCURATAMENTE VERIFICATI, INTEGRATI E AGGIORNATI AL MOMENTO DELLA LORO PUBBLICAZIONE.

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