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mercoledì 12 ottobre 2022

69. VISITANDO I MUSEI DELLA SMITHSONIAN INSTITUTION A WASHINGTON (E NEW YORK)

 

Smithsonian Castle, foto aerea di C. Highsmith, 2006 (Library of Congress, Prints and Photographs Division)

LA SMITHSONIAN INSTITUTION, WASHINGTON

Nel 1996 la Smithsonian Institution di Washington, l'istituzione americana che, data la sua megagalattica attività, non teme paragoni al mondo, festeggiò degnamente i 150 anni dalla sua fondazione (1846), attraverso una grandiosa mostra itinerante. Per due anni, infatti, l'America's Smithsonian portò in numerose città statunitensi 150 reperti, su una disponibilità di oltre 100 milioni, selezionati tra i più rappresentativi della sua storia.

Incredibile a dirsi, ma "tanta" istituzione deriva da un atto di fede e di speranza, nelle possibilità degli Stati Uniti, da parte di un filantropo europeo, l'inglese James Smithson, morto nel 1829.

Di professione scienziato, egli, che non era mai stato in America, volle "fondare a Washington un'istituzione per incrementare e diffondere la conoscenza tra gli uomini". Nel 1846 il Congresso  per la Federazione acquisì l'intera proprietà del ricchissimo gentleman. Da allora la Smithsonian è amministrata da un Consiglio, che vede il Capo della Giustizia accanto al Vice Presidente Usa, oltre a tre membri del Senato e a tre della Camera dei Rappresentanti. Infine nove cittadini sono nominati dal Congresso.

Il cosiddetto "castello" (The Castle), l'edificio smithsoniano vero e proprio, fu il primo edificio ad essere costruito (1855). Sorge a metà circa del Mall (tra il Monumento a Lincoln e il Campidoglio), e ne rappresenta il centro direzionale (vi si trova anche la tomba del mecenate). 

In effetti va detto come la Smithsonian sia formata da un rilevante numero di "corpi" separati: ben 15. La maggior parte di loro, considerata l'importanza che l'istituzione da sempre ha rivestito nella vita nazionale, si trova ai lati del Mall: Museo di Storia Americana e di Storia Naturale, National Gallery of Art, Free Gallery of Art, Air and Space Museum, Arts e Industry, Hirshorn Museum.

Quanto già rilevato nel precedente post dedicato al Museo di Storia Naturale di New York (18 settembre), vale anche per la Smithsonian: il mio personale approccio in quegli anni, il tempo dedicato ai singoli musei, le poche fotografie riportate da ciascuna visita, l'importanza riservata all'aspetto museografico-espositivo a me caro. Che, naturalmente, mi portava a privilegiare il settore etno-antropologico. 

E dire che non sono ancora riuscito a visitare tutti i musei siti nel Mall. Tra l'altro va detto che altri sono sparsi, non solo nelle vicinanze, ma anche a New York, come il Cooper-Hewitt Museum. Senza contare gli istituti di ricerca (zoologica, marina, ecologica, tropicale), disseminati tra Panama e Harvard.

NATIONAL MUSEUM OF THE AMERICAN INDIAN, NEW YOK

Molti anni dopo avrò comunque l'opportunità di vedere a New Yorknel George Gustav Heye Center, ospitato nell’ex Palazzo della Dogana statunitense,  l’interessante National Museum of the American Indian. Museo che ha anche altre due sedi, una sempre a Washington, nel National Mall (dal 2004), l'altra nel Maryland.

Una sala del Museo (© Franco Pelliccioni) 

IL MUSEO DI STORIA NATURALE, WASHINGTON

Una  Ford modello T parcheggiata davanti al Museo, ca. 1926 (Library of Congress)

Mai visita fu così bene accetta di quella che, sempre durante quel mio primo viaggio negli States, effettuai alla sezione africana (African Cultures) del Museo di Storia Naturale. Completato nel 1881, il Museo contiene oltre 81 milioni di reperti (meno dell'1% è esposto).

Il Museo di Storia Naturale, 2005 ( CC Some rights reserved User:Postdlf)

La sezione africana fa parte del Dipartimento di Antropologia: più di un milione di reperti di ogni parte del mondo, una biblioteca (oltre 50.000 volumi), archivio (più di due chilometri di scaffali) e fototeca (circa 400.000 "pezzi", dei quali oltre 90.000  risalgono al periodo 1860-1930).

L'etnologo Gordon D. Gibson (1922-), uno  specialista dei Bantu sud-occidentaliCuratore dell'importante sezione, durante quella visita rappresentò il mio prezioso "Virgilio" . 

Con meticolosità scientifica e dovizia di particolari mi avrebbe infatti illustrato, una sala dopo l'altra, le diverse aree culturali e ciascun grande diorama presente. Nei quali, grazie alla straordinaria massa di reperti etnografici a disposizione, erano esemplarmente ricostruite, con ricchezza di dettagli, regioni a me ancora molto care [E sì! Perché, soprattutto nel cuore, sono ancora un impenitente africanista, che per mille motivi ha poi dovuto volgere la sua vita professionale in altre aree del mondo]. Non solo sulla base della relativa letteratura africanistica, ma principalmente con l'intervento personale di ricercatori e curatori tra i più prestigiosi disponibili sul mercato dei cervelli, e sulla base delle singole ricerche sul campo. 

Statuetta maschile dei Bakongo, Congo, fine XIX secolo (foto 2015, Daderot

Ogni vetrina, ogni ricostruzione d'ambiente ha perciò ottenuto l'insostituibile, prezioso, supporto di studiosi che, proprio in quelle aree culturali africane, hanno condotto ricerche importanti, spesso facenti parte ora della storia della disciplina. Il Turnbull, ad esempio, ha sapientemente curato il diorama riguardante i Pigmei Mbuti dell'Ituri (Zaire, dal maggio 1997 Repubblica Democratica del Congo).

Quanto ebbe ad illustrarmi il Dr. Gibson mi avrebbe allora profondamente impressionato. Ma quello era  l'anno del "contatto", del mio primo approccio all'America e alla realtà accademico-culturale statunitense...

In seguito, dopo ogni viaggio, e con l'accumularsi di esperienze interpersonali e professionali, cominciai ad assuefarmi all'idea del "grandioso". Di un paese, dove l'impossibile è quasi sempre possibile... 

Il lungo alone di efficienza, lo stretto rigore scientifico, la ricchezza di mezzi pressoché inesauribile: sono questi i ricordi di quelle prime visite negli Stati Uniti. E da allora i miei giudizi in merito non hanno subito alterazioni di rilievo. 

Ed oggi il Museo ospita anche le collezioni del vicino e fiammante Center for African, Near Eastern and Asian Cultures.

LA SMITHSONIAN, IL BUREAU OF AMERICAN ETHNOLOGY, GLI INDIANI

La Smithsonian, come il Museo di Storia Naturale di New York, ha avuto un ruolo del tutto fondamentale tra le istituzioni scientifiche statunitensi, anche nel campo dell'Etnologia, della Linguistica e dell'Archeologia dell'America.

Al suo interno  venne appositamente creato nel 1879 un Bureau of American Ethnology. Fondato e diretto da quel Powell che, per primo, aveva attraversato tutto il Gran Canyon del Colorado (1869), e che avrebbe contribuito, con le sue spedizioni e la sua attività propulsiva, ad ampliare notevolmente il patrimonio conoscitivo del caleidoscopico mondo degli Indiani d'America. 

Illuminante fu il suggerimento anticipatore del suo amico Henry, Primo Segretario della Smithsonian: "è un dovere sacro che questa Nazione deve al mondo civilizzato nel raccogliere ogni cosa relativa alla storia, maniere, costumi, peculiarità fisiche e, in breve, a tutto ciò che serve per illustrare il carattere e la storia degli originari abitanti del Nord America" (1857). 

In occasione dell'Esposizione Universale di Filadelfia del 1876, nel Centenario dell'Indipendenza degli Stati Uniti, si tenne quella che sarebbe stata la prima mostra di Etnografia Indiana: "con artigianato, costumi, armi e resti archeologici", alla quale contribuì lo stesso Powell con oggetti Ute e Paiute. Ma la grande occasione sarebbe arrivata con l'Esposizione Mondiale di Chicago del 1893, dove venne inaugurata una colossale mostra di oggetti etnografici.

LA JESUP NORTH PACIFIC EXPEDITION  TRA AMERICA E ASIA (1897-1902)

Negli anni precedenti, allo scopo di acquisire nuovo materiale, la Smithsonian aveva anche allestito numerose spedizioni in diverse parti del mondo. Furono proprio tali missioni a propiziare la progettazione di una delle più grandi missioni scientifiche mai realizzata fino ad allora: la Jesup North Pacific Expedition (1897-1902). Grazie all'intervento del Boas e all'estrema versatilità e duttilità del Putnam. Quest'ultimo, Curatore del Museo di Storia Naturale di New York, fu un grande museografo e un "Maestro", sia nell'insegnamento, che nell'addestramento di nuovi curatori. 

Si deve a questi due illustri studiosi se i ricercatori americani, seguendo un programma teorico stabilito in precedenza, furono in grado di dimostrare l'unità storica dei numerosi popoli disseminati lungo le coste in prossimità dello Stretto di Bering, tra Siberia, Alaska e Canada.

SPEDIZIONI E RICERCHE NEL MONDO

La tradizionale attività di ricerche e di spedizioni etno-antropologiche in ogni area del globo, portata avanti da parte dei musei americani a partire dall'800, ricevette uno splendido e vigoroso impulso soprattutto dalla Smithsonian

In questo contesto determinante e antesignano fu il lavoro relativo all'elaborazione di manuali e guide per collezionare reperti archeologici, etnografici o per raccogliere dati e materiali etno-linguistici o di antropologia fisica. 

Come il "classico" Guide to Field Collecting of Ethnographic Specimen (Sturtevant, 1977), in mio possesso. Che, con ogni probabilità, non sarà l'ultimo di una lunga serie, che aveva avuto inizio nel lontano 1863 con le: Instructions for research relative to the Ethnology and Philology of America del Gibbs. Subito seguito da un secondo nel 1867: Circular relating to Collections in Archeology and Ethnology.

Ogni anno la Smithsonian sponsorizza o partecipa direttamente a centinaia di ricerche in tutti gli angoli del globo, dall'aviazione all'oceanografia, dalla storia nazionale all'arte Orientale e Americana, all'antropologia, dagli studi archeologici a quelli ecologici.

NATIONAL AIR AND SPACE MUSEUM

L'entrata del Museo, 2010 (CC Some rights reserved, Jawed Karim)

Otto anni dopo sono tornato a Washington, anche per visitare l'interessante Museo dell'Aviazione e dello Spazio (National Air and Space Museum).

La Smithsonian si interessò allo spazio molto presto. Nel 1861 l'Henry raccomandò a Lincoln un conduttore di aerostati, in modo che potessero essere dimostrate le potenzialità dei palloni come osservatori militari. Langley, il suo Terzo Segretario, tra il 1887 e il 1903 costruì diverse macchine "più pesanti dell'aria", due delle quali, spinte da un motore a vapore, volarono sopra il fiume Potomac.

Il salone d'ingresso con lo Spirit of St. Louis, il modulo di comando dell'Apollo 11 e la Space Ship One, 2010 (CC Some rights reserved, Jawed Karim)

Nel Museo sono in mostra macchine uniche: dal Flyer dei fratelli Wright (1903) allo "Spirit of St. Louis" di Lindbergh. Di rilievo gli aerei appartenenti all'epopea pionieristica del trasporto postale e commerciale. Ma vi si trova anche lo storico LEM (il modulo Lunare).

Un rover lunare - LRV, acronimo di Lunar Roving Vehicle - come quelli utilizzati nelle missioni Apollo 15, 16 e 17  nel 1971-1972. Gli originali sono sulla Luna... (foto 2009, CC Some rights reserved, Craigboy)

I più giovani, e non solo loro, potranno sostare sulla plancia di comando di una grande portaerei della US Navy, dove si assisterà con un brivido, attraverso suoni, immagini e autentiche sensazioni, al continuo decollo e appontaggio di jets militari. 

Boas, i pigmei Mbuti, Powell e la Jesup North Pacific Expedition figurano nella mia trilogia antropologica:

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INFINE:
 

domenica 18 settembre 2022

62. RICORDANDO LA MIA PRIMA VISITA AL MUSEO AMERICANO DI STORIA NATURALE DI NEW YORK: LA SCOPERTA DA PARTE DI STEPHENS DI DUE INESTIMABILI STIPITI DI PORTA MAYA (KABAH), POI "RISCOPERTI" DA MORLEY; SHACKLETON, IL POLO SUD E LA BARCA "JAMES CAIRD"; LA GRANDE ANTROPOLOGA MARGARET MEAD


Uno dei due stipiti di pietra di una porta della città Maya di Kabah (Yucatàn), che raccontano la sua fondazione nell'879 d.C.  Stephens li fece trasportare a New York (vedi sotto). Attualmente fanno parte dei cosiddetti Treasures dell'American Museum of Natural History (© Franco Pelliccioni)

L'impatto con il Museo fu contemporaneo alla mia prima visita degli States. En route verso il Messico, dove mi attendeva un Congresso in zona Maya e un'indagine antropologica da effettuare tra i Huave, un gruppo di indios lagunari dediti alla pesca nell'Istmo di Tehuantepec (Stato dell'Oaxaca). 

Naturalmente la mia agenda, in occasione di quel primissimo approccio con la realtà culturale "altra" di New York e degli USA in toto (Washington rappresentò l'altra, obbligata, tappa del viaggio verso la Mesoamerica), sarebbe stata febbrile. Stracolma, com'era, di impegni, visite, contatti. Cosa che del resto si ripeté ogni volta che ritornai in America.

Emozionante e densa di aspettative per l'antropologo sarebbe stata, non solo la completa immersione nella realtà culturale americana e, particolarmente, in quella della sua megalopoli. Ma anche in ciò che avrei potuto provare nei confronti di alcune eccezionali istituzioni culturali. Come nel caso del celeberrimo Museo Americano di Storia Naturale. Sito nell'Uptown (la "città alta" di Manhattan), all'incrocio tra la 79^ Strada e Central Park West, cioè a sinistra del Central Park, all'altezza del Metropolitan, l'altra grande istituzione  nuovayorchese.

E' un complesso di edifici dall'aspetto fiabesco con le sue alte torri, che gli americani usano chiamare ben più semplicemente American Museum. Del resto anche per i francesi il Museo di Storia Naturale di Parigi è il Muséum per eccellenza... 

Il Museo di Storia Naturale ha raggiunto oggi i 153 anni di vita. Venne fondato nel 1869 per l'avanzamento degli studi e l'insegnamento delle scienze naturali. Dal 1871 al 1877 fu ospitato nei locali dell'Arsenale, esistente allora a Central Park. 

Nel 1874 il Presidente Grant posò la prima pietra di un nuovo edificio, in una zona paludosa, disseminata di fattorie e squallide bidonvilles, raggiungibile comunque con le diligenze. Harlem era allora solo un modesto insediamento localizzato più a nord. 

Una scalinata mi condusse all'interno, passando attraverso un Arco Romano e il Memoriale a Theodore Roosevelt, aggiunto successivamente all'originario nucleo centro-meridionale del Museo, in stile vittoriano-gotico, 1877. Un primo ampliamento è del 1892. Altri seguiranno a partire dal 1900, fino a tempi a noi più vicini.

Il Museo nel 1917

Lo spazio espositivo è gestito secondo criteri che hanno esemplarmente anticipato la moderna attenzione nei confronti dell'ecologia. Dando spazio nelle sue immense sale, attraverso diorami a grandezza naturale e singoli reperti, alle scienze naturali (zoologia, botanica, ecc.) e a quelle umane (pregevole materiale archeologico ed etno-antropologico raccolto in quasi tutto il mondo). 

Complessivamente il museo detiene oltre 23 milioni di reperti, non tutti ovviamente esposti. Acquisiti sia sul campo, che grazie a doni, scambi, acquisti. 

Ecco, quindi, la Storia della Terra, la Vita degli Oceani (dove è esposto il Coelecantus, un pesce dell'Oceano Indiano, per tanto tempo ritenuto estinto), i Rettili e gli Anfibi, i Meteoriti, Gemme e Minerali. Ed ancora: due Sale dei Dinosauri con scheletri di oltre 150 milioni di anni e uova con l'embrione di Protoceratops ritrovato nel 1923, nella Mongolia cinese. 

Allosaurus, Brontosaurus, Stegosaurus e Tyrannosaurus sono autentiche stars, da sempre le più gettonate del Museo, da parte di visitatori adulti e bambini. 

Ecco le sale degli Uccelli (nord-americani, oceanici), dei Mammiferi (africani, asiatici, nord-americani, ecc.), quindi un Planetarium. Poi quelle dei Popoli Africani, seguiti dalla Biodiversità e dal Cambiamento del Clima. Ed ancora: Sud America, Messico e America Centrale, Indiani d'America (Nord-Ovest, delle Pianure e dei Boschi). Infine gli Eschimesi completano l'esposizione.

Furono i Musei americani, non le Università, per un lunghissimo periodo - ma ancora oggi - a dare un notevolissimo impulso alla ricerca nei più diversi campi dello scibile. Così fu anche il caso del Museo Americano, dove troviamo numerosi Dipartimenti: Etologia, Antropologia, Erpetologia, Mineralogia, ecc.

Una prima spedizione esplorativa alla ricerca dei bisonti fu organizzata nel 1887 nelle Badlands del Montana. 

Imponente fu la missione dell'Andrews del 1923 nel deserto di Gobi. Furono percorse 2.200 miglia di distese inesplorate e scoperte uova di dinosauro. 

Asia, Artico, Pacifico meridionale e Africa sono state le mete preferite dagli studiosi associati al Museo. 

L'esploratore e naturalista statunitense Roy Chapman Andrews (1884-1960) in Mongolia ca. 1920

In occasione di quella mia primissima visita (altre due seguiranno: sette anni dopo e, poi, nel 2011), con la mia Nikon scattai solo poche foto. 

Un paio mi servirono per riprendere due stipiti decorati della porta di un tempio Maya. Conoscendone la loro storia avventurosa, ma anche curiosa, erano infatti particolarmente importanti. Tanto più che di lì a poco nello Yucatàn avrei anche visitato alcuni celebri siti archeologici: Chichen Itza, Uxmal, Kabah. E, successivamente, quello stupendo gioiello urbano strappato all'intrico delle giungle del Chiapas, che è Palenque. 

Le stipiti, costituite da lastre di pietra calcarea, alte un metro e ottanta e spesse 60 cm, sono scolpite in bassorilievo e rappresentano una figura umana inginocchiata, uno schiavo, che regge una maschera davanti ad un sacerdote-guerriero, con il capo avvolto in uno splendido ornamento di piume di quetzal

I reperti Maya, risalenti al IX secolo, furono ritrovati a Kabah nel corso della seconda spedizione di Stephens e Catherwood. Furono loro che tra il 1839 e il 1843 scopriranno ben 44 siti archeologici immersi nella foresta, tra Messico e America Centrale, risalenti a quell'antica civiltà. 

"Tolsero dalla nicchia della facciata del palazzo i due monoliti, pesanti ciascuno due quintali e mezzo, li avvolsero in un involucro protettivo d'erba e paglia e li prepararono per l'imbarco (...) Squadre di indiani che si davano il cambio lungo il percorso riuscirono a trasportarli fino alla costa, adagiati sopra un lungo tronco d'albero cui erano assicurati mediante robuste liane". 

Stephens tra le rovine di Kabah (Yucatàn, 1842) sorveglia la rimozione di uno dei due stipiti di pietra 

Queste sculture dovevano essere esposte nella "Rotonda" di Catherwood a New York. Che nel frattempo era stata distrutta da un incendio, assieme a tutto il materiale archeologico raccolto in precedenza. 

Stephens, suo malgrado, fu costretto a consegnarle ad un amico, che le incastonò in un muro della sua tenuta di campagna, sulle sponde del fiume Hudson.

Nel 1884 le sculture vennero "riscoperte" dal viaggiatore svedese Bremer. Nel 1918 Sylvanus Morleycelebre specialista dei Maya, dopo essere venuto a conoscenza della loro esistenza grazie alla lettura del libro di viaggi di Bremer, andò sul posto a vedere quel "muro". Rendendosi subito conto della loro estrema importanza! 

Nel 1919 il Museo acquisterà i due stipiti per l'astronomica cifra  di diecimila dollari. Andranno a costituire  il nucleo iniziale di una collezione d'arte Maya. Oggi visibile nella sala 2.4 (Mexico and Central America), dove li rintracciai e fotografai.

Come per altri musei del mondo, anche la filosofia espositiva dell'American Museum si basa su mostre temporanee, legate a tematiche, aree o eventi di particolare interesse e significato. Come nel caso della mostra fotografica (Aprile - Ottobre 1999) sulla "Leggendaria Spedizione Antartica di Shackleton" del 1914, nella quale il pubblico potè osservare  150 fotografie, molte delle quali esposte per la prima volta. Oltre ad estratti del diario e a reperti della spedizione. Tra cui una barca di salvataggio "speciale", la James Caird, oggi visibile nel Dulwich College (Londra).

Mappa delle rotte delle navi Endurance e Aurora, la rotta della squadra di supporto e la rotta trans-antartica pianificata della Spedizione Trans-Antartica Imperiale Britannica guidata da Ernest Shackleton nel 1914–15 (CC some rights reserved, Finetooth, Like tears in rain, U.S Central Intelligence Agency) 

Si mette in acqua la James Caird dalla riva di Elephant Island, 24 aprile 1916 (da Ernest Shackleton, South, Londra 1919)

Fu infatti grazie ad essa che Shackleton riuscì a raggiungere una stazione baleniera sita nella lontana Georgia del Sud, dopo un tremendo viaggio di 800 miglia nell'Oceano. Qui organizzò i soccorsi per salvare tutti i membri del suo equipaggio, che era ancora rimasto a bordo della nave Endurance, per dieci mesi bloccata dai ghiacci della banchisa. L'intenzione originaria dello Shackleton, prima della sua disavventura, era quella di compiere la traversata del Polo Sud.

Giacca di pelle di taglio europeo con perline. Sono raffigurati indiani a cavallo, le cui code sono legate, in vista di una battaglia. Indiani Lakota, ca 1890 
(© Franco Pelliccioni)

Tornando a parlare delle ricerche che fanno capo al Dipartimento di Antropologia, sapevo come per un lungo periodo di tempo fosse stata  sua Curatrice quella che, al tempo della mia prima visita, era considerata la più grande antropologa contemporanea, Margaret Mead

Nel 1926 la Mead era già aiuto conservatore di etnologia. Un personaggio straordinario, che per molti anni costituì il simbolo vivente e di riferimento culturale per moltissimi: come donna anticonformista, moglie, affettuosa madre, nonna, insigne scienziata, grandissima divulgatrice. Forse quest'ultimo è stato il suo più grande merito: "penso che la cosa più importante che ho fatto sia stata quella di avvicinare l'antropologia al pubblico più largo, di media cultura. La gente agli inizi non capiva assolutamente che cosa gli antropologi facessero, o perché andassero a studiare quegli strani popoli dall'altra parte del mondo". Essa ha saputo insinuare nella coscienza americana il suo messaggio contro il razzismo e l'etnocentrismo. 

E mosse i suoi primi passi scientifici proprio grazie agli impulsi, di teoria e di metodo, ricevuti dal Museo. Con ricerche sul campo in Polinesia (Samoa, 1925-26), Melanesia (Isole dell'Ammiragliato, 1928; Nuova Guinea - Arapesh, cannibali Mundugumor, Ciambuli, 1931-1933), Pellerossa Omaha (Nebraska, 1930), Bali (1936-38), ancora in Nuova Guinea (Iatmul,1939).

Molti sarebbero stati ancora gli studiosi che legarono la loro attività di ricerca e di studio al Museo. Come lo Wissler, prima conservatore e poi Direttore del Dipartimento (1906-1941), lo stesso  Boas (uno dei Maestri americani della disciplina), lo Spier. O, in tempi a noi più vicini, il Turnbull. Che, come Curatore Associato di Etnologia Africana, ha cercato di sistematizzare in Man in Africa (oggi African Peoples) una collezione di oltre quarantamila pezzi provenienti da tutto il continente. 

John  Lloyd Stephens figura nel vol. IV, America, del mio: Alla Scoperta del Mondo

La grande antropologa Margaret Mead compare nel vol. II delle Grandi Avventure dell'Antropologia

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