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lunedì 22 gennaio 2024

125. LA CULTURA SINCRETISTICA SWAHILI (COSTA DEL KENYA). DA: MAASAI. GENTI E CULTURE DEL KENYA)

Uno shiraa, il velo di una tenda, nasconde una donna Swahili dell’isola di Lamu (foto A.C. Hollis, inizio XX secolo) 

   Non sappiamo esattamente quando il termine sawāhil (plurale fratto di sāhil, la “costa”) venne impiegato per designare le zone litoranee dell’Africa orientale corrispondenti all’antica Azania, in arabo Bilād as-Zanĝ. Tale denominazione successivamente venne estesa agli stessi popoli, che vivevano sulla costa, donde il termine odierno Swahili si può riferire a quell’interessante amalgama scaturito dai secolari contatti degli originari abitanti della costa, i Bantu, con le variegate e tecnologicamente “superiori” culture asiatiche

Perché l’Alba veniva da oriente, ma era un Alba Africana[i].

   Anche se fino a non molto tempo addietro veniva generalmente misconosciuto il basilare apporto africano alla formazione della cultura Swahili, e si parlava delle città scomparse come di colonie arabe tout court, quella Swahili è una cultura sincretistica, che ha sapientemente utilizzato idee ed elementi non africani, in particolar modo nel campo tecnologico, rimanendo essenzialmente e prevalentemente africana. Le sue cittadine erano popolate da musulmani, che parlavano il kiswahili, avevano il medesimo tipo di case, moschee, fortificazioni e tombe a pilastro, utilizzavano porcellane cinesi blu e bianche, commerciavano avorio e schiavi. Fino a che, all’inizio del XIX secolo, i governanti di Zanzibar indebolirono l’attività commerciale, e così molte decaddero e vennero abbandonate. 

   Secondo gli accurati studi del Prins, uno dei più profondi conoscitori di questa cultura, i popoli che appartengono all’area della “cultura mista costiera” dovrebbero essere suddivisi in Arabi, Shirazi e Swahili propriamente detti. Se per quanto riguarda i primi non è necessario alcun cenno chiarificatore, anche se non sono completamente esenti da lontane mescolanze etniche, si deve notare che gli Shirazi rivendicano lontane origini persiane, mentre il termine Swahili dovrebbe esclusivamente essere applicato all’amalgama costituito dall’incrocio di africani, arabi e persiani. In definitiva agli africani islamizzati della costa, che parlano il kiswahili come madre lingua. Anche se, sempre secondo il Prins, queste differenziazioni non rappresenterebbero vere e proprie categorie alle quali poter ascrivere, con sufficiente sicurezza, ogni individuo. Il senso di tali termini per lo più dipenderebbe dal contesto nel quale essi vengono impiegati. Come spesso accade, fattori socio-politici condizionerebbero la scelta degli individui nel dichiararsi appartenenti al gruppo arabo, anziché a quello Shirazi, Swahili, o “africano”.

   I Swahili/Shirazi, secondo il censimento del 2009, ammonterebbero a poco più di diecimila unità[ii] 

La lingua Swahili, il Kiswahili

   Compresa tra le prime 12 lingue più rilevanti del mondo, il kiswahili appartiene alla famiglia Bantu, ma include forti apporti lessicali arabi, mentre solo più tardi avrebbe risentito dell’influenza portoghese prima, e dell’inglese, poi. Ha un’antica tradizione letteraria (cronache, opere di carattere storico, poesie[iii]) in caratteri arabi. Solo recentemente si è andato diffondendo l’uso del kiswahili in caratteri latini. Privo dei toni musicali tipici del Bantu, con una semplificata morfologia, il kiswahili deve la propria fortuna al fatto di essere stato adoperato come lingua franca nei rapporti inter-tribali, prima dagli arabi, poi dagli inglesi. La sua area di influenza nell’Africa orientale si estende dalla Somalia, a nord, al confine con il Mozambico, a sud. Spingendosi ad ovest fino al Congo. Mentre ad est tocca il gruppo delle isole Comore, al largo del Madagascar.

 

Utendi Wa Inkishafi, celebre poema che rimpiange i fasti del passato

   Una delle composizioni poetiche più belle di questa regione africana, creata circa duecento anni fa, è Al-Inkishafi, il “Risveglio dell'anima”[iv]. Poema lungo 79 strofe traslitterato e tradotto da Hitchens (1972)[v]. Venne composto tra il 1810 e il 1820 da Sayyid Abdallah bin Ali Nasir (1720-1820). È considerato dagli studiosi il più bel poema in lingua Swahili. Ci racconta le meraviglie dell’isola di Pate (arcipelago di Lamu) e di un mondo ormai scomparso[vi]. Oltre ad essere un accorato rimpianto-nostalgia per la gloria della civiltà Swahili di un tempo, cioè dello zamani (“passato), costituisce anche un “avvertimento per tutti coloro che cercano la salvezza accumulando tesori sulla terra[vii].

   Ecco alcune strofe:

   “I grandi uomini di Pate vivevano in splendide case caratterizzate da un'illuminazione aggraziata, splendidi utensili e strati su strati di abiti fantasiosi. In queste case, allegria e gioia erano all'ordine del giorno/ Ci viene detto: Le loro dimore illuminate brillavano di lanterne di cristallo e ottone/ Le notti passavano come giorni/ Circondati erano di fama e onore/ Abbelliti erano da porcellane selezionate/ E ogni calice era inciso/ In mezzo a loro collocavano brocche di cristallo/ Tra ornamenti incantevoli/ Strati di abiti fantasiosi/ Lo giuro su Dio, Signore/ Abbondante era il legno di teak ed ebano/ Strati su strati/  Le sale degli uomini risuonavano/ e quelle interne vibravano/ Con voci di schiavi e servi/ La felicità e l'allegria risuonarono (…) Le camere da letto di queste case avevano letti e materassi lussuosi/ Dormivano: In attraenti camere da letto/ In letti dotati di materassi/ Cuscini verdi alla testa e ai piedi/ Ricamati con squisita finezza/ Tessuti incantevoli che avevano/ a baldacchino sopra i divani/ Cosparso di acqua profumata/ E profumato di legno di sandalo ed essenza di rose”.

   Pate indubbiamente era la più ricca di tutte, se. “divenne proverbiale che i nobili salivano su scale d'argento in letti d'avorio, ma abbiamo una descrizione dei ricchi uomini di Pate che inarcano i loro lunghi colli e agitano le loro braccia dalle molte articolazioni verso la gente comune, che li fissa, un comportamento, questo, africano, certo non arabo[viii].

 

NOTE



[i] Mathew, 1973: 52.

[ii] Il gruppo Swahili (composto da Amu, Bagiuni, Chitundi, Jomvu, Munyoyaya, Mvita, Ngare, Pate, Siu, Vumba, Wachangamwe, Wafaza, Wakatwa, Wakilifi, Wakilindini,  Wamtwapa, Washaka, Watangana, Watikuu) comprenderebbe 110.614 individui (“Population and Housing Census e Ethnic Affiliation”, 2011 (Web Page 13.11.2022).  

[iii] Mashairi. Ecco Swifa za Mahaba (“Elogio dell'Amore”), una poesia d’amore: “Dammi una lavagna di legno indiano, inchiostro e una penna preziosa, lascia che loda l'amore per te/ È entrato nel mio cuore certo, o pupilla del mio occhio, sei come un fresco antimonio/ Mi prenderò cura di te, vieni da me, come mio figlio maggiore, il tuo amore non è forte la metà del mio/ Permettimi di lodare l'amore per te/ lascia che ti dica cosa sento, in modo che tu possa guardare nel mio cuore/ Il mio cuore è pieno d'amore, se avesse un coperchio, Lo aprirei per te./ Per te lo aprirei, affinché tu possa conoscere il mio amore, sta facendo esplodere il mio essere più intimo/ Mi sta spaccando dentro, eppure non provo dolore, tanto ti amo/ La gioia è il frutto dell'amore, quando il mio scopo [per farmi amare] è compiuto/ Ti farò un regalo per tutta la vita/ Non ti lascerò per tutta la vita, finché la morte non possa seguire, possiamo vivere nell'affetto reciproco”.

L’originale Swahili: “Nipa loho ya kihindi/ wino na kalamu kandi nikuswifie mapendi./Yameningia moyoni kwa sahihi ya aini kana wanja wa machoni./ 'Takutunza uje kwangu kana wa kwanza mwanangu yako si nusu wa yangu/Mapendi nikuswifie nilo nayo nikwambie moyoni unangalie/Umejaa pendo lako Lau una kifiniko ningalifunua kwako/Kwako ningalifunuwa mahaba ukayajuwa

 ya ndani huyapasuwa/ Hunipasuwa ya ndani wala uchungu sioni kwa kukupenda fulani/Sururi tunda ya huba yatimupo matilaba/  .../   .../ heyati takupa hiba./Sikuachi kwa heyati /hata yafwate mauti/na tuishi kwa widati” (Jan Knappert, Four Centuries of Swahili Verse, Londra, 1979).

[iv] Vedi anche Kithaka wa Mberia, “Al-Inkishafi: A Ninteenth Century Swahili Poem”, International Journal of Liberal Arts and Social Science, 3, 3 marzo, 2015, University of Nairobi, PDF 29.22.2022. W. Hichens (1972: 7).

[v] Oltre mezzo secolo fa fui introdotto alla poesia Swahili grazie al libro curato da Lyndon Harries: Swahili Poetry, che recensii per la rivista Africa di Roma (marzo 1968).

[vi] Centro del sultanato di Pate dall'inizio del XIII secolo fino al 1895. Il XVIII secolo è stata la sua "età d'oro”. La città, all'apice del suo potere, prosperava nelle belle arti. Venivano costruite le case più belle della costa Swahili. Gli orafi realizzavano gioielli elaborati. I falegnami producevano raffinati mobili in legno. Famosa era la realizzazione dello strumento musicale del Siwa (Wikipedia “Pate Island”, 27.11.2022). Thomas Boteler, che visitò Pate nel 1823, vide le rovine del forte portoghese. Tutto il resto sembrava però assai povero (Thomas Boteler, Narrative of a Voyage of Discovery to Africa and Arabia, Londra, 1835).

[vii] Davidson, 1966: 303.

[viii] Matthew, 1973: 51.

(DA: MAASAI.  GENTI E CULTURE DEL KENYA, COLLANA: VIAGGI E RICERCHE DI UN ANTROPOLOGO TRA VECCHIO E NUOVO MONDO, VOL. 20)

 

versione a colorihttps://www.amazon.it/dp/B0CPSNZ9BW 

versione in bianco e nerohttps://www.amazon.it/dp/B0CPVC5QBM

Versione cartacea a colori di grande formato (174 pp. e 173 foto, di cui 94 a colori "premium"). Oltre ad una versione in bianco e nero e all'E-Book. Infine una versione non illustrata, che può essere utilmente impiegata nei corsi di Antropologia Culturale, Etnologia, Storia dell'Africa, Storia e Istituzioni dei Paesi afro-asiatici, Geografia, contiene le seguenti carte e mappe del Kenya: politica; fisica; demografica; etnografica; Periplo del Mare EritreoOperazione di “pattugliamento” militare tra i TurkanaPercorso della spedizione Teleki-von Hohnel ai laghi Rodolfo e Stefanie;  Distribuzione delle tribù Somale; Villaggi dei Bon nel distretto di Lamu; Mappa dell'area meridionale Galla e Waboni insieme ai paesi somali adiacenti: dopo i suoi viaggi del 1866 e 1867 di von R. Brenner".
 
Il libro, come indicato dal sottotitolo, è una rassegna etno-antropologica delle principali tribù kenyote. Suddivise in base a economia, lingua, rapporto con il territorio e con gli altri popoli

Il titolo "Maasai" è stato invece scelto per celebrare un popolo le cui imprese guerresche hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell'Africa e nell'immaginario collettivo europeo. A questi nomadi pastori ho dedicato uno dei capitoli più corposi del libro. Perché, ampiamente conosciuti attraverso la letteratura e la filmografia, costituirono una formidabile barriera fisica alla penetrazione dell’interno. Le loro razzie li spingeranno anche a molta distanza dalla loro terra. Solo un coraggioso giovanotto inglese riuscirà ad attraversare per primo la loro pericolosa terra. Giungendo fino al lago Victoria. Il capitolo include anche elementi poco noti. Come il “governo diffuso” e le profezie del grande laibon Mbatian.

Grazie ai miei diari, ho integrato e vivacizzato il testo, con narrazioni “dal vivo” di fatti, luoghi, situazioni, imprevisti, stati d’animo, emozioni, incontri con “l’altro da noi”. Così è anche un libro sul Kenya, come l’ho conosciuto e apprezzato durante i miei due lunghi soggiorni di ricerca antropologica effettuati nel 1976 e nel 1980.

PAGINA AUTORE ITALIA;

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