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lunedì 2 ottobre 2023

112. LA PRIMA GRANDE AVVENTURA DELLA MIA VITA: LA TRAVERSATA NEL 1976 DEL DESERTICO E SEMI-DESERTICO KENYA SETTENTRIONALE, POPOLATO DA NOMADI ALLEVATORI DI CAMMELLI, CARATTERIZZATO DA RAZZIE E CONTRO RAZZIE DI BESTIAME, MA ANCHE DA RARI ATTACCHI DEI PREDONI DEL DESERTO, GLI SHIFTAS. I PARTE: Isiolo, Monte Kenya, Somali, Borana, Samburu, fiume Uaso Nyiro. DALL'APPENDICE DI: MAASAI. GENTI E CULTURE DEL KENYA

 

Il monte Kenya fotografato con il tele dalla barriera che blocca l'accesso alla pista, che conduce verso il nord del Kenya
(© Franco Pelliccioni)  

Ora che ho quasi ultimato il testo del mio ultimo libro concernente il Kenya (Maasai. Genti e Culture del Kenya),  in questo post e nel successivo posso ricordare quella che è stata la prima grande avventura della mia vita, che ha avuto modo di estrinsecarsi proprio in questo stupendo paese dell’Africa Orientale. (N.B. Il libro è stato pubblicato, vedi dopo).
Quando nel 1976 attraversai il desertico e semi-desertico Kenya settentrionale. 
Terra popolata da nomadi allevatori di cammelli, caratterizzata da razzie e contro razzie di bestiame, ma anche da non rari attacchi armati degli shiftas somali, i predoni del deserto. 
Terra battuta da un sole impietoso e accecante, dove da anni non c’erano state piogge. 
Una traversata durata un’intera giornata, compiuta senza acqua, nè viveri, cercando di restare sempre in piedi sul cassone aperto di un camion, che trasportava rifornimenti per i piccoli centri del nord 
Ma allora avevo ventinove anni! 
Oltre tutto ero giunto da poco dall’Italia e non c'era stato il tempo per organizzarmi. 
Nel 1976, anno in cui avrei effettuato la mia prima ricerca antropologica sul campo, due erano le opzioni che  mi si erano prospettate in Italia
La prima riguardava il centro multietnico di Marsabit, che avrei raggiunto grazie a questo viaggio straordinario. 
L’altra era la cittadina di Isiolo (anch'essa multietnica), da dove ero partito per il nord. E dove poi tornerò, per effettuare la ricerca...
Mappa della regione centro-settentrionale del Kenya

Dal diario di ricerca: "15 giugno 1976. Questa mattina mi sono svegliato molto presto. Colazione con Don Luigi [il missionario parroco di Isiolo: Luigi Locati, Vescovo dal 1995, fu ucciso nel 2005 con tre colpi di pistola], Don Pio [Bono, della Missione di Merti, piccolo centro sulla pista per Wajir], poi è venuta anche Maria Teresa, l’infermiera. 

Corriere della Sera, 21 luglio 2005, p. 16

Don Luigi dice che, se voglio andare a Marsabit, bisogna recarsi il più presto possibile alla barriera. 

Con la Land Rover della missione vengo quindi accompagnato da Don Pio al di là delle casupole della cittadina, che ancora non conosco, poiché il viaggio a Marsabit precede la ricerca ad Isiolo.

Una barriera metallica blocca la strada asfaltata. 

Sulla destra due garitte, ancora più spostata la casetta della polizia.

Un cartello avverte che solo chi è autorizzato può recarsi a nord. 

Ne possiedo una dell'Office of the President, ottenuta a Nairobi [solo giungendo in Kenya verrò a sapere che occorreva un’autorizzazione governativa per effettuare qualsiasi tipo di ricerca scientifica. 

E dire che l’anno prima (1975), ero andato nella capitale francese, non solo per visitare Parigi. 

Recandomi subito all’Ambasciata del Kenya, nei pressi degli Champs-Elysées, allora competente anche per l’Italia. Qui, “ovviamente”, mi dissero che non c’era alcun problema, non c’era bisogno di alcunché].

L'autorizzazione rilasciata dal Permanent Secretary dell'Office of the President del 12 giugno 1976. Contiene il calce una nota successiva per il D.C. di Isiolo, una del D. C. di Isiolo e una del Capo della Isiolo Location

Fotografato davanti alla barriera in attesa di partire per il nord
(© Franco Pelliccioni)

Sul posto stazionano diversi poliziotti, che scambio per soldati a causa di baschi e tute mimetiche. So che Don Pio darà 10 scellini per trovarmi un posto su qualche camion. 

Dalla casetta esce con due poliziotti e, precedendone uno, senza farsi vedere dà all’altro le banconote. Mi dirà che posso anche fotografare. 
Vado verso la barriera e Don Pio mi scatta una foto, poi se ne va, augurandomi buon viaggio. 

Il posto di blocco della polizia e la pista che qui appare asfaltata
(© Franco Pelliccioni) 
  

Così con il teleobiettivo riprendo il Monte Kenya, ora visibile, e faccio un altro paio di diapositive. 

Il Constable, un poliziotto un po’ più anziano, dice minacciosamente che non si può, e che potrebbe sequestrarmi tutto… 

Non si possono fotografare government buildings!” Mi fa spostare le valigie, che erano state addossate alla casetta, all’ombra. Adesso sono sulla strada, al sole.

 Pazientemente attendo sotto il sole di fare l'autostop africano, con le valigie e il pesante borsone, che contiene il pesante l'apparato cine-fotografico di allora e un registratore Philips. 

C'è un via vai di Somali, Borana e Samburu. 

Ai margini della strada siedono alcune donne con i bambini, e qualche uomo. Anch'essi per ore aspetteranno tranquillamente, sotto il sole, un passaggio per il nord. 

I grossi camion e le Land Rovers che transitano (non molti, in verità: in quattro ore, solo sette-otto) vanno altrove: Wajir, Maralal. 

Tre europei con l’autista africano su una jeep si recano a caccia nei paraggi. 

Alcuni ragazzi cercano di vendere ai rari turisti collane di ambra, lance e bastoni Borana, con l'anima costituita da una lama. 

So che, dopo la curva, la strada non è più asfaltata. Là ha inizio la dura pista verso il nord [A 2 per Marsabit e Moyale, al confine con l'Etiopia]. 

Tutti i conducenti dei veicoli devono presentarsi nella casetta dal Constable per il controllo. 

Lasciano le proprie generalità e quelle dell'autoveicolo, che vengono accuratamente annotate in registri divisi per località.

Si supera su un ponte l'Uaso Nyiro
(© Franco Pelliccioni)
  

Inganno un po’ il tempo parlando con il poliziotto, che dovrà fermare il veicolo diretto a Marsabit. 

Mi dice che esistono serpenti pericolosissimi e che, se si viene morsicati, non si fa in tempo a raggiungere l’ospedale. 

Aggiunge pure che il chief aveva chiesto chi mi avesse autorizzato a fotografare. Così si era molto irritato, quando ha saputo che era stato proprio lui. 

D’altronde non sapeva del divieto.

Verso le 11 arriva la Land Rover di un tedesco. 

Parla italiano, è diretto 40 km a nord di Marsabit. Potrebbe portarmi fin là, ma poi potrei impiegare anche due giorni per giungere fino alla mia meta. 

Infine mi viene suggerito di andar via: non ci saranno altri mezzi, almeno fino al pomeriggio o alla sera. Con una telefonata viene Don Pio che, poveretto, soffre per un attacco di dissenteria. 

Poi, appena rientrato alla missione un ragazzo trafelato avverte che c'è finalmente un veicolo per Marsabit... 

Velocemente gettiamo le valigie sulla Land Rover e via di corsa. Al posto di blocco, dove non c'è traccia di camion, la barriera è tosto sollevata, mentre il poliziotto sale in corsa sul retro. 

Dopo la curva, intorno a me si apre inaspettato il grandioso paesaggio del nord. Finora preclusomi per la presenza di alte siepi. Quindi termina l'asfalto e con un discreto balzo siamo dritti, dritti, scodellati sulla pista. 

Lontano, un grosso camion solleva un enorme polverone. Lo raggiungiamo e superiamo. Il poliziotto fa cenno di fermarsi (Don Pio mi dice: ecco a cosa servivano i 10 scellini…). Il viaggio mi costerà 35 scellini.

Dalla pista per Marsabit (© Franco Pelliccioni)  

Il missionario mi consiglia di salire sul retro e di restare in piedi, in modo da avvertire meno i forti scossoni a causa delle corrugazioni della pista che qui, come altrove in Africa, dovrebbe essere affrontata ad una velocità di 80 kmh. 

Alla mia domanda, risponde che non prenderò l’insolazione perché ho il cappello.

Il viaggio più straordinario che possa essere mai compiuto in Africa ha inizio. 

Sono veramente pazzo ed incosciente. Poiché oltre tutto è da pochissimi giorni che sono giunto nel paese africano… 

Ma è un'impresa che non temo di definire eccezionale. L'Africa che attraverserò è enormemente diversa da quella della Rift Valley o delle White Highlands. 

È veramente l’Africa che non ha sentito parlare di disfunzioni ecologiche e che non vede turisti. 

Certo, è rischioso spingersi fin quassù. Una volta c'erano i predoni del deserto, gli shiftas somali, che hanno ucciso molta gente. Ecco perché nel Meru, a Mandera o a Mombasa ci sono le varie Boy's Towns.

Uno struzzo corre nella steppa arbustiva (© Franco Pelliccioni)   

All’Ambasciata, sia l’Ambasciatore Frank Maccaferri, che il Primo Segretario Gianfranco Varvesi, mi avevano avvertito dell’eccezionalità dell’impresa.

Ancora steppa e qualche basso albero spinoso
(© Franco Pelliccioni)   

L'imponente camion trasporta casse di birra Tusker (locale), in maggioranza, e Guinness, oltre a farina e mais in sacchi di cartone.

 Un ragazzo aiuta il guidatore e il suo vice. 

A bordo vi sono due degli africani che erano alla barriera: un Bantu e un piccolo e indecifrabile vecchio dagli occhi semichiusi (caratteri boscimanoidi?). Mi squadra ogni tanto. Dentro di sé forse si meraviglia per ciò che faccio per proteggermi dal calore. 

Partire a mezzogiorno non è certo l'ideale! Nel corso di tutto il viaggio non mangerò e, soprattutto, non berrò quasi mai. 

Avrò invece a sazietà: polvere, sole accecante, sballottamenti infiniti sul rumoroso camion e sulle sue, altrettanto fracassone, casse di birra. 

Rischiando più volte di perdere, per colpa del vento, l'indispensabile cappello. La prima volta è stato il ragazzo a prenderlo. In un’altra occasione (gli altri dormivano) l’afferrerò appena in tempo, gettandomi a pesce, dolorosamente, sulle casse di bottiglie.

Unico sollievo al caldo ossessivo e al sole accecante è l'ombra che mi concedono troppo di rado, per la verità, le nuvole che, veloci, passano basse sulla mia verticale. 

Tra l’altro fortunatamente avevo ancora due arance dal sapore fortissimo di limone, che erano avanzate dal viaggio Nairobi-Isiolo.

 Forse è stato grazie a quelle arance, alla compressa di vitamina C, e al fatto che per due volte (il viaggio è durato fino alle 18,45) ho potuto mettere un po’ d’acqua nel fazzoletto e bagnarmi nuca e tempie, nonché al fatto che avevo le lenti aggiuntive affumicate, che non ho preso un colpo di sole. 

Anche se devo riconoscerlo, ho sofferto come non mai senza bere, senza mangiare, con la polvere in quantità industriale dappertutto e sole accecante. Mi sono riempito anche di Nivea: mezzo barattolo sulle braccia, sulle gambe, sul naso, sulle orecchie, sul collo.

Il camion corre spedito sulla pista in mezzo a territori dal deciso color rosso. 

Vedo macchie arbustive, qualche albero ad altezza d'uomo, pietre. 

È la steppa, regno incontrastato dei nomadi. 

Di tanto in tanto scorgo i tipici accampamenti Samburu, costruiti in cerchio con sterpi e sterco di animali o accanto alla pista, e donne dai seni nudi, che prendono legna per il fuoco. 

Superiamo diversi ponti su fiumi scomparsi, poiché melma e qualche decina di centimetri d'acqua li ha solo l'Uaso Nyiro.

La pista A2: Isiolo, Marsabit, Moyale (© Franco Pelliccioni)  

N.B. Per l'impossibilità di fotografare nel corso del viaggio a bordo del camion, le foto (rispettando l'itinerario) sono state scattate nel corso del viaggio di ritorno ad Isiolo, su una Land Rover.

Continua

(DALL'APPENDICE DI: MAASAI.  GENTI E CULTURE DEL KENYACOLLANA: VIAGGI E RICERCHE DI UN ANTROPOLOGO TRA VECCHIO E NUOVO MONDO, VOL. 20)

E-.Book: https://www.amazon.it/dp/B0CP2Z7QT3

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Infine una versione non illustrata : https://www.amazon.it/dp/B0CQ7FTRZX

che può essere utilmente impiegata nei corsi di Antropologia Culturale, Etnologia, Storia dell'Africa, Storia e Istituzioni dei Paesi afro-asiatici, Geografia. 
Contiene le seguenti carte e mappe del Kenya: politica; fisica; demografica; etnografica; Periplo del Mare EritreoOperazione di “pattugliamento” militare tra i TurkanaPercorso della spedizione Teleki-von Hohnel ai laghi Rodolfo e Stefanie;  Distribuzione delle tribù Somale; Villaggi dei Bon nel distretto di Lamu; Mappa dell'area meridionale Galla e Waboni insieme ai paesi somali adiacenti: dopo i suoi viaggi del 1866 e 1867 di von R. Brenner".
....

 Il libro, come indicato dal sottotitolo, è una rassegna etno-antropologica delle principali tribù kenyote. Suddivise in base a economia, lingua, rapporto con il territorio e con gli altri popoli

Il titolo "Maasai" è stato invece scelto per celebrare un popolo le cui imprese guerresche hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell'Africa e nell'immaginario collettivo europeo. A questi nomadi pastori ho dedicato uno dei capitoli più corposi del libro. Perché, ampiamente conosciuti attraverso la letteratura e la filmografia, costituirono una formidabile barriera fisica alla penetrazione dell’interno. Le loro razzie li spingeranno anche a molta distanza dalla loro terra. Solo un coraggioso giovanotto inglese riuscirà ad attraversare per primo la loro pericolosa terra. Giungendo fino al lago Victoria. Il capitolo include anche elementi poco noti. Come il “governo diffuso” e le profezie del grande laibon Mbatian.

Grazie ai miei diari, ho integrato e vivacizzato il testo, con narrazioni “dal vivo” di fatti, luoghi, situazioni, imprevisti, stati d’animo, emozioni, incontri con “l’altro da noi”. Così è anche un libro sul Kenya, come l’ho conosciuto e apprezzato durante i miei due lunghi soggiorni di ricerca antropologica effettuati nel 1976 e nel 1980.

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TUTTI I DATI (ECONOMICI, STATISTICI, DEMOGRAFICI, ETNOGRAFICI, ECC.) CONTENUTI NEI MIEI LIBRI SONO STATI ACCURATAMENTE VERIFICATI, INTEGRATI E AGGIORNATI AL MOMENTO DELLA LORO PUBBLICAZIONE.

p.s. Non tutte le foto che accompagnano il testo di questo post si trovano anche nel libro