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mercoledì 1 giugno 2022

24. NEL REMOTO ARCIPELAGO ATLANTICO DI ST KILDA, AD OVEST DELLE EBRIDI ESTERNE, SCOZIA. DA: NELL'ARCIPELAGO DEGLI “UOMINI-UCCELLO” DI ST KILDA. VITA E MORTE DI UNA REMOTA COMUNITÀ' SCOZZESE

Mappa dell’Arcipelago di St Kilda (GNU Free Documentation License, Autore: Eric Gaba - Sting -, marzo 2009, con l’utilizzo di Landsat ETM+ imagery [dominio pubblico])

 Solo e con le spalle alle capanne, potevo immaginare quale vita poteva essere stata ad Hirta e fui sopraffatto dalla lontananza di una vita siffatta. Avessi viaggiato direttamente fino a St Kilda da Edimburgo o Londra, quel senso di distanza si sarebbe accresciuto ancora ulteriormente. Dopo tre mesi di saltellamenti tra un’isola e un’altra, ero condizionato da terre circondate dall’acqua. Così mi era diventata famigliare la sensazione di essere isolato dal resto del mondo. Ma la nozione di distanza [remoteness] veniva costantemente ridisegnata. Arran sembrò remota rispetto alla terraferma dello Ayrshire, ma mi sembrò ridicola tale nozione allorché visitai Colonsay e Jura. Coll, in particolare, e Tiree erano apparse ancora più isolate - più Ebridi Esterne, che Interne -, come per Rum. St Kilda portò la mia definizione di isolamento e di remoto a nuovi livelli. Qui c’era il confine, un confine geografico alla frontiera dell’Europa nord-occidentale, ma anche un confine culturale e sociale” (Jonny Muir, 2011).

   La meta di quel viaggio non si poteva certamente definire "agevole". Nella mia vita più di una volta mi sono sentito dire, a proposito della scelta "a tavolino" dei luoghi dove andare a svolgere le mie ricerche, che "me le andavo cercando con il lanternino...". Per difficoltà, logistiche, o di altra natura, evidenti anche grazie ad una lettura, neanche tanto approfondita, della carta geografica. Difficoltà che avrebbero reso spesso difficoltosa la "discesa sul terreno". Ai miei gentili interlocutori non sfuggiva comunque il fatto che, superati gli "scogli", i risultati ottenuti sarebbero stati densi di gratificazioni, anche personali.

   Avrei pensato proprio a ciò subito dopo aver appreso dalla radio di bordo che la guardia costiera scozzese da Stornoway consigliava al mio skipper di tornare indietro. Dopo due ore di navigazione passate in mezzo alle acque dell'Atlantico che, anche se non burrascose, erano senza dubbio molto inquiete. In seguito avremmo potuto tentare una nuova traversata. In quel preciso frangente avrei sperimentato cosa significasse realmente cercare di raggiungere la mia meta. Che per una lunga serie di motivazioni costituiva l’aspetto più illuminante della ricerca di quell'anno. Del resto già caratterizzata da numerosi elementi di interesse.

   La destinazione di quel giorno, anche simbolicamente, rappresentava per me moltissimo. Fin da quando, ormai molti anni addietro, avevo iniziato i miei vagabondaggi scientifici per l'Atlantico. In più di un'occasione avrei infatti ad essa fatto riferimento, senza averne conoscenza diretta. E i lineamenti della sua eccezionale storia, da un lato "unica" nel suo genere, dall'altro paradossalmente uguale a quella di tante altre situazioni riscontrabili non solo nello scacchiere europeo, mi avevano da tempo affascinato e coinvolto emotivamente. Non solo come studioso dell'uomo. Rendendomi partecipe di una straordinaria, plurisecolare vicenda umana. Storia il cui triste, anche se non del tutto inatteso, epilogo, avrebbe avuto luogo non tanti decenni addietro.

   Da tempo, quindi, avevo incluso nel mio programma antropologico sulle comunità marittime dell’Atlantico del Nord una ricognizione "in loco".

   Nei secoli precedenti, ma ancora ai giorni nostri, le difficoltà insite nella navigazione rendono sempre difficile e per niente scontato l'arrivo in quel remoto pugno di isole, costituito dall'arcipelago di St Kilda. Allorché si riesce poi a raggiungerlo (quanti viaggiatori sono arrivati nei pressi per essere poi obbligati a tornare indietro...), non è detto che vi si possa sbarcare. A causa delle precarie condizioni meteo-marine e all'assenza di un sicuro, protetto ancoraggio, che spesso sconsigliano l'ormeggio nella Village Bay [il villaggio evacuato dalla Marina britannica nel 1930], nell'isola di Hirta. Ove ciò sia   possibile, le non numerose imbarcazioni che riescono ad arrivare, si ancorano al largo. Facendo scendere i passeggeri su gommoni o dinghies, che raggiungeranno il piccolo molo senza ulteriori problemi.

La foto-simbolo dell’arcipelago di St Kilda: il “parlamento” fotografato da George Washington Wilson nel 1885.
Lungo la strada del villaggio nei pressi dell'ufficio postale ogni giorno, salvo la domenica,  si radunavano infatti tutti i maschi adulti del mòd di St Kilda. Come da tempo immemorabile usavano fare davanti ad una qualsiasi delle abitazioni, per decidere il da farsi; lavori collettivi nei campi (crofts); la loro rotazione secondo l'antico sistema del runrig; le spedizioni di caccia agli uccelli nei vicini isolotti e scogli...

   Eseguito il consiglio, la Eilean Na Hearadh, in gaelico Isola di Harris, sulla quale mi ero imbarcato nel porticciolo occidentale di Tarbert, nell'omonima isola appartenente all'arcipelago delle Ebridi Esterne, al largo della Scozia nord-occidentale, invertì la rotta. Dirigendosi verso un sicuro ancoraggio interno. Cioè verso Loch Resort, uno dei profondi fiordi che caratterizzano il lato occidentale e aperto verso l'Atlantico di queste stupende isole. Riuscendo in tal modo a mitigarne la terribile potenza.

   Verso sera, a distanza di diverse ore dal brusco, ma necessario, dietro front, lo skipper si spingeva nuovamente in pieno oceano, per coprire le cinquanta miglia nautiche che ci separavano da St Kilda. Se tutto fosse andato per il verso giusto si sarebbe dovuti arrivare intorno alle due e trenta di notte. Mi fu fatto altresì notare come intorno alla mezzanotte (cosa che puntualmente si verificò) la piccola e bassa imbarcazione, un vetusto motorsailer, avrebbe considerevolmente ballato per le forti ondate. In quell'ora ci saremmo trovati sul bordo della piattaforma continentale, laddove la profondità oceanica tende ad inabissarsi. Per poi risalire in prossimità del piccolo arcipelago.


   Numerosi erano quindi i motivi di interesse che mi spingevano fino a St Kilda. In teoria facendomi rischiare anche la vita. Ma ne valeva la pena. Perché, nonostante la durata della mia permanenza nell'isola di Hirta, la maggiore del gruppo, si sarebbe giocoforza contratta, le ore passate a terra: a curiosare, indagare, cercare, individuare, prendendo appunti e fotografie, rappresentarono un'eccezionale esperienza, anche per un giramondo. .

   (...) Ecco che, gradatamente, si sono venuti enucleando i punti di forza dell'isola atlantica: esistenza di una comunità marittima; isolamento plurisecolare della stessa dalla terraferma scozzese (e britannica) e, perciò, dal cosiddetto "mondo civile"; forzato e "archetipico" abbandono dell'isola in tempi recenti; trasformazione dell'uso del territorio (militare, ma soprattutto naturalistico).


  Una comunità marittima, quella di St Kilda, i cui membri preferivano però cacciare e catturare gli uccelli marini, che vi si trovavano in grandissima quantità. E catturarli non era impresa facile. Anzi difficilissima e rischiosissima, che ogni volta metteva in gioco la vita degli “uomini-uccello”. Sia quando scalavano le scogliere o i faraglioni, ma ancora prima. Quando dalla barca dovevano cercare di raggiungere le rocce, ad esempio degli Stacs.


p.s.

A proposito del suo toponimo, nonostante alcune importanti pagine Web (in italiano) si ostinino a riportare l'aggettivo Santa (Santa Kilda), non esiste una Santa di nome Kilda. Come oggi si evince dalla corretta scrittura del toponimo in inglese, privo di punto.

   L’errore è riportato cartograficamente in una carta di L. J. Waghenaer Thresoor der Zeevaert del 1592, che ricopia malamente una mappa di Nicolas de Nicolay del 1583 (Charte de la Navigation du Royaume d'Escosse). Dove appare Skildar, dall’islandese skildir, cioè “scudi”. Mentre sempre, nell’odierno vocabolario islandese [Ensk-Íslensk, a cura di Sævar Hilbertsson e Bjarni Gunnarsson, 1985], per Kilda leggo: "acquitrino-palude". 

DA: NELL'ARCIPELAGO DEGLI “UOMINI-UCCELLO” DI ST KILDA. VITA E MORTE DI UNA REMOTA COMUNITÀ' SCOZZESE 

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SOMMARIO

Premessa           

Introduzione     

CAPITOLO 1       

Il viaggio         

L'arcipelago di St Kilda   

La natura a St Kilda          

Una comunità' di “uomini-uccello”          

L'arrivo 

Nel villaggio: le “case bianche” e i ruderi di quelle “nere”              

L’incontro tra la Euphemia MacCrimmon e il grande folclorista scozzese Carmichael          

Le comunicazioni con il mondo esterno: John Sands e la St Kilda Mail      

Il “Parlamento” 

XVIII secolo: lo strano, tragico caso di Lady Grange, deportata nell’isola; si cerca Bonnie Prince Charles a St Kilda 

I soggiorni di John Sands a St Kilda: 1875 e 1876-77       

CAPITOLO 2       

Il turismo "ante litteram" verso l'esotico britannico          

CAPITOLO 3       

La fine del Paese di Utopia: problemi ambientali, sanitari, di sopravvivenza          

Le tre fasi finali del tramonto di una remota comunità isolana: “contatto”, “scontro”, “disgregazione” culturale    

Il giorno dell’evacuazione: 29 agosto 1930           

CAPITOLO 4       

Alla scoperta dell’arcipelago       

Stac Lee, Stac an Armin, Boreray               

John Sands si arrampica su Boreray: con gli “uomini-uccello” nel 1876, con le “donne-uccello” nel 1875 

La scalata dello Stac an Armin del 1994

Quando Marylin non è la Monroe. Ovvero gli incredibili Stacs, palestra privilegiata di un pugno di alpinisti britannici, nella loro doppia sfida ai flutti dell’oceano e alle rocciose piramidi, per conquistare i più ambiti “marilyn” del Regno Unito    

Visitando Hirta  

CAPITOLO 5       

I “Viaggiatori” (1202-1929): Vescovi, religiosi e fattori; pirati, naufraghi e deportati; naturalisti e ornitologi; geologi e folcloristi; medici e chimici; nobili, politici, filantropi e commissioni d’inchiesta; pittori, fotografi e cineasti; turisti e alpinisti; il leader di una missione di soccorso; perfino un’eccezionale emula della celebre aviatrice Amelia Earhart               

1930: Due non previsti testimoni dell’evacuazione di St Kilda       

BIBLIOGRAFIA  

 ...

TUTTI I DATI (ECONOMICI, STATISTICI, DEMOGRAFICI, ETNOGRAFICI, ECC.) CONTENUTI NEI MIEI LIBRI SONO STATI ACCURATAMENTE VERIFICATI, INTEGRATI E AGGIORNATI AL MOMENTO DELLA LORO PUBBLICAZIONE.