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"Vedute d'Italia, Ariccia vicino Albano, nei dintorni di Roma",
lastra di albumina, foto Ernest Eléonor Pierre Lamy, ca.1861 - 1878,
Rijksmuseum, Amsterdam |
A cavallo tra gli anni ’1970 e ’1980, le ricerche
effettuate tra Africa orientale, nord-orientale, America e Artico avevano
consentito di raccogliere una ricca messe di foto, che ritenevo per la maggior
parte belle ed interessanti. Tanto da desiderare di metterle a disposizione del
pubblico in un libro fotografico, che avrebbe spaziato dalla natura (ambiente,
animali), all’etno-antropologia (“usi e costumi” dei popoli). Fotografie
realizzate sin dal 1975, con quella che, all’epoca, forse costituiva la
migliore attrezzatura in circolazione. Tanto che ci fu chi la definì la Rolls
Royce delle macchine fotografiche, poiché faceva concorrenza alla Hasselblad,
che con la missione Apollo era stata portata persino sulla Luna, ma le cui
caratteristiche tecniche erano decisamente diverse. Sto parlando della Nikon F,
con diversi accessori, tra cui un potente teleobiettivo da 300 mm. Dove
caricavo esclusivamente rollini di diapositive Kodak Ektachrome 35 mm, da 64 a
400 ISO. Del resto molte mie foto già corredavano, integrandoli, gli articoli
che andavo via via pubblicando su diverse riviste. Inoltre da “fotografo semiprofessionista”
avevo venduto foto (Italia meridionale, Grecia, Stati Uniti, Messico)
all’Enciclopedia della Curcio: La Grande Avventura dell’Archeologia (1980) e a
Natura Oggi, la rivista della Rizzoli, da decenni scomparsa.
Le immagini fanno parte, assieme ai disegni, alle
registrazioni sonore, ai diari, ai quaderni di ricerca e ai questionari,
dell’indispensabile documentazione, che ogni buon antropologo raccoglie sul
terreno. Inoltre non a caso negli anni ‘1980 ho fatto anche parte della Society
for the Anthropology of Visual Communication di Washington. Del resto in tutti
i miei “racconti”, sia articoli, che libri, ho sempre ritenuto essenziale
integrare il più possibile i testi con le immagini.
Quella mia
antica idea di realizzare un "book" fotografico presto si sarebbe dovuta scontrare con la dura realtà del mercato
editoriale, anche a quei tempi particolarmente difficile, certo non come
oggi... Sarei stato infatti caldamente sconsigliato dal farlo, nel corso di una
lunga conversazione notturna, avuta casualmente con una famosa editrice
siciliana, nel corridoio del vagone cuccetta del rapido, che dal nord mi
riportava a Roma.
Solo nel
2020 pubblicherò su Amazon il libro fotografico bilingue (E-Book e cartaceo): Immagini
dall’Egitto. Images from Egypt. Companion book di: Viaggi in Egitto 1980-2009.
Crociera aerea e fluviale sul Nilo; ai confini con il Sudan, alla ricerca di
Berenice Trogloditica e della “carovaniera degli 11 giorni”; nel Sinai. In
tutto 278 immagini, di cui 277 a colori. Foto riprese, nell’arco di quasi
trent’anni, sulle due sponde di el-Bahr, il Nilo, e sulla costa del Mar
Rosso, che arricchiscono e, in qualche caso, completano il ricco apparato
fotografico già presente nei Viaggi in Egitto.
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https://www.amazon.it/dp/B08DCZ7D9F ; https://www.amazon.it/IMMAGINI-DALLEGITTO-IMAGES-EGYPT-COMPANION/dp/B08DGCFSDH/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr= |
IL PONTE DI ARICCIA (RM)
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La Comet III della Bencini, la mia prima macchina fotografica (1960) |
Non potevo
non incominciare questo post sulla fotografia, da me largamente utilizzata nel
corso dei miei viaggi e delle ricerche antropologiche sul campo effettuate tra
Vecchio e Nuovo Mondo, ricordando come ho iniziato ad usare una macchina
fotografica.
LE PRIME MACCHINE FOTOGRAFICHE, ANNI ‘1960
Alla fine
degli anni ‘1950 rimasi molto turbato nell'apprendere dal giornale come un
ragazzino si fosse lasciato andare nel baratro, dal ponte di Ariccia.
Avvenimento che mi sconvolse moltissimo, anche perché aveva più o meno la
mia età.
[Solo nel
2000 verranno apposte lungo tutto il ponte delle barriere in
tensostruttura. A quanto pare non troppo funzionanti, se ancora nell’ottobre
del 2021 si sono manifestati due suicidi (un ragazzo di 18 anni e uno
psicoterapeuta di 43: Il Messaggero, Enrico Valentini, “Ponte di Ariccia, la
triste conta dei suicidi. Le reti non bastano più, Trovato il corpo senza vita
di un medico, pochi giorni fa si era gettato un 18enne”, 27 Ottobre 2021, Web
Page 18.1.2022]
I cronisti,
cercando di arricchire i loro servizi giornalistici, ricordarono come,
nonostante l'età, il ragazzino fosse un appassionato di fotografia e
l’apparecchio fotografico da lui utilizzato una Comet III Bencini.
Pubblicarono anche una foto della sua macchina, che mi apparve subito bella,
anche per il suo corpo in lucente alluminio. Oltre tutto la sua verticalità la
faceva assomigliare ad una cinepresa. Scopro oggi che aveva anche diverse ed
interessanti caratteristiche. Pertanto, dopo aver messo da parte il denaro
sufficiente per comprarla, nel 1960 avrò anch'io una Comet, quella
riportata nelle tre immagini. Farò le prime foto a Fiumicino e a
Porto Santo Stefano (Argentario), dove sono ritratto con i calzoncini corti,
come si usava all’epoca. Era maneggevolissima, si potevano scattare 16
foto, la pellicola era di formato 127.
Anni dopo, grazie
all'avvento della popolare ed economica Kodak Instamatic, mi sarei
arreso alla comodità e rapidità del caricare il film (oggi diremmo con la
facilità di un “click”), servendomi di una cartuccia di plastica. Realizzerò foto
quadrate e a colori. In quel periodo (anni ‘1960) avrei anche effettuato
le mie prime riprese "cinematografiche", utilizzando la 8 mm Kodak
Brownie, mentre avrei sperimentato la Polaroid Land Camera Swinger 20,
che non necessitava di camere oscure, perché le 8 piccole foto
stampate (5,4 x 7,3 cm) si
sviluppavano da sole. All’epoca un’autentica rivoluzione…
KENYA 1976. UTILIZZAZIONE DI UNA CINEPRESA SUPER 8 MM
Negli anni ‘1970
avrei acquisito una cinepresa Canon 518 Auto Zoom Super8, che utilizzerò anche
durante la mia prima ricerca africana in Kenya nel 1976. Molto ingenuamente,
pensavo di realizzare qualche piccolo documentario per la televisione. Così, oltre
a tutta l’attrezzatura fotografica e di registrazione sonora, porterò con me
anche un pesante treppiede d'alluminio.
Le riprese furono poche. In pratica si
limitarono a solamente due occasioni. La prima fu la visita al National Museum of
Kenya e al suo straordinario serpentario, a Nairobi. Scortato e accompagnato,
vista la mole e la pesantezza dell’attrezzatura di allora, ma anche a causa di sempre possibili problemi di criminalità, da due
inservienti africani del Flora Hostel, dove ero alloggiato: così aveva voluto la Madre Superiora...
La seconda occasione si manifesterà più
tardi. Quando nel corso della mia ricerca nella cittadina multietnica di
Isiolo, a nord del Monte Kenya, nel settentrione del paese, a bordo di una
vecchia Land Rover parzialmente scoperta, guidata da un Turkana, un ex cacciatore di leoni, con uno dei miei due
assistenti di ricerca mi recherò nella Samburu Game Reserve. Allora il turismo di
massa era solo nascente. In pratica durante tutto il corso di quella lunghissima e straordinaria giornata
non vedrò l’ombra di un turista. Salvo quando andrò a mangiare nel Samburu
Lodge. Le riprese cinematografiche saranno comunque varie (panorama, rinoceronte, elefanti,
scimmie, gazzelle, giraffe e, incredibilmente, addirittura un leopardo, di giorno...). In quell'occasione scoprirò che era meglio dedicarmi
totalmente alla fotografia. Poiché non era possibile, come dire, dividersi. Le “scoperte”, che farò nel corso di quella mia “iniziazione antropologica”, saranno in effetti due. A Roma avevo infatti cominciato a studiare il Kiswahili, la
lingua franca dell’Africa orientale (e non solo), un vero e proprio passe-partout
intertribale. Facendo esercizi su esercizi e cercando di imparare a memoria il
glossario. Non avendo le parole alcunché in comune con quelle delle lingue europee. Così, anche in questo caso decisi che mi sarei limitato a fare l’antropologo. Lasciando
l’apprendimento delle lingue ai glottologi. Perché, come molti altri colleghi, da allora in poi mi sarei servito del preziosissimo ausilio di interpreti ed assistenti africani, appartenenti
anche a tribù diverse…
LE RICERCHE ANTROPOLOGICHE E LA MIA PRIMA MACCHINA FOTOGRAFICA REFLEX
PROFESSIONALE: NIKON, 1975-1987
Nel 1975 ecco arrivare la mia prima
macchina "importante”, la Nikon F Photomic; obiettivo 50 mm Nikkor H.C 1:2;
grandangolare Nikkor 28 mm, 1:28; teleobiettivo da 300 mm. Nikkor-H Auto, 1:
4,5; filtri skylight; diapositive Kodak Ektachrome. In quello stesso
anno l’utilizzai nel corso dei miei viaggi e soggiorni a Parigi, in Grecia e nelle isole Tremiti. Era una fotocamera così importante (e costosa), che l'avrei assicurata in tutto il mondo (salvo Unione Sovietica, Cina e Corea del Nord), e per numerosi anni, con una società britannica,.al notevole costo di centomila lire l'anno. Nel caso di un'eventuale perdita, danneggiamento o furto, era l'unica compagnia che, all'epoca, poteva rimborsarmi l'intero costo di una nuova fotocamera Nikon.
Come
macchina ausiliaria, in caso di anomalie della Nikon, alcuni anni dopo mi
sarei servito anche di una Asahi Pentax, con un eccellente zoom della Tamron.
KENYA Nel 1976 la Nikon sarà
indispensabile durante la mia prima ricerca antropologica sul campo nel Kenya
settentrionale.
MESSICO Nel 1978 sarà con me durante la
mia ricerca tra gli indios Huave del piccolo villaggio di Santa Maria
del Mar, nell’Istmo di Tehuantepec, Oaxaca, Messico.
SUDAN, 1979
Nikon, Polaroid EE100, Agfa pocket 2008.
Khartoum, Festa Nazionale Sudanese, Sergio Bonelli, Tex Willer, Gerardo Bamonte, Sahara, Hoggar, Fortini Legione Straniera, albero del Ténére, Chad, Fort Lamy, Ambasciatore Filippo Anfuso
Nel 1979, quando effettuai la
mia prima ricerca nella cittadina multietnica di Malakal, nella Provincia del
Nilo Superiore, nel Sudan meridionale, ad 850 km a sud di Khartoum, oltre alla Nikon mi sarei avvalso di
altre due macchine fotografiche.
La prima era la Polaroid EE100, con le sue foto colori (sempre in
numero di 8), da consegnare alle persone da me ritratte.
Recandomi
in un paese islamico, oltre tutto sottoposto ad un regime dittatoriale (quello di Ja'far al-Nimeyri), dove i divieti di fotografia erano numerosi la seconda era l’Agfa pocket 2008.
Una macchina sottile da utilizzare, se
necessario, senza dare troppo nell'occhio. In realtà userò solo un paio di rollini,
per scattare foto in bianco e nero e a colori del tutto normali, certamente non alla "James Bond".
Fotografando una parata popolare della Festa Nazionale Sudanese (Indipendenza) a Khartoum.
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Festa Nazionale Sudanese, Khartoum, un momento della parata popolare |
Poi in
occasione di un party "molto informale", tenutosi nella frescura (tanto ricercata,
vista la temperatura di oltre 40° all’ombra, di quel mese di febbraio…) dei giardini
della nostra Ambasciata a Khartoum (e, visti i costumi da bagno, probabilmente accanto ad una piscina, di cui però non ho il ricordo...). Dove, oltre all'Ambasciatore Filippo Anfuso, incontrerò l’amico Gerardo Bamonte, un antropologo "americanista", anche lui appena arrivato in Sudan, ma per via terra… Mi
spiegherà che, assieme ad un suo amico paletnologo, presente anche lui al party,
come del resto aveva fatto in precedenza (ricordo, ad esempio, il viaggio in India e, se non sbaglio, anche in Amazzonia), questa volta aveva accompagnato in jeep
Sergio Bonelli, l’autore di Tex Willer, già rientrato a Roma. Perché Bonelli desiderava vedere i fortini della Legione Straniera. Così da Algeri avevano attraversato tutto il Sahara, imbattendosi lungo la pista anche in diverse roulotte (sic). Dopo aver raggiunto l'Hoggar ed aver oltrepassato il confine con il Mali, era "passato" per il famoso e solitario albero del deserto del Ténéré. In realtà una sua "controfigura" metallica. Perché, come sappiamo, l'acacia fu investita e abbattuta da un camionista ubriaco nel 1973.. Poi, viaggiando verso est in direzione del Sudan, nelle vicinanze
dell’aeroporto di Fort Lamy, nel Chad erano riusciti fortunosamente a scampare ai colpi di
mitragliatrice degli aerei dei ribelli, che stavano martellando le piste.
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Da sinistra: l'Ambasciatore Anfuso, il paletnologo, il compianto amico Gerardo Bamonte, infine il sottoscritto, prima della "cura dimagrante tropicale". |
Un
incontro, il nostro, del tutto inaspettato e indubbiamente carino, che ci vedeva insieme in un luogo
insolito. E non ci eravamo incontrati in precedenza, perché loro stavano all'Hilton Hotel (leggermente decentrato rispetto al centro cittadino), mentre io avevo la camera all'Arak. Inoltre ero arrivato appena un paio di giorni prima a Khartoum, a bordo di un DC8 dell’Alitalia, E dire che avevo
lasciato Roma con la neve e per questo il decollo dell’aereo era stato più volte rimandato. Tanto da temere che non sarei più partito per il Sudan, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe potuto provocare! Solo intorno alle 3 di notte arrivò la telefonata tanto attesa. Poiché, Inch'Allah!, annunciava la partenza dell'aereo per l'Africa…
Nell’estate del 1980 utilizzerò la Nikon durante la mia seconda ricerca sul campo nel Kenya nord-occidentale (Elmolo del lago Turkana), mentre nel dicembre 1980-gennaio 1981 l'avrò a Malakal, nel Sud Sudan.
Nikon che userò ancora nelle SHETLAND E ORCADI (1982), nell'ARTICO CANADESE (1983) tra gli Inuit (eschimesi) e a TERRANOVA E SAINT PIERRE ET MIQUELON (1987)
ISOLE SVALBARD 1994, ISOLE FAROER 1995, ISOLE EBRIDI ESTERNE (e St KILDA) 1997, ISLANDA E
GROENLANDIA 1998: CANON EOS 500
Nel 1994 la
Canon EOS 500 (zoom 35-80 1:4-5,6; zoom 100-300 mm ultrasonic 1:4,5.5,6;
diapositive Kodak Ektachrome) sostituirà la vecchia e pesantissima Nikon. L’utilizzerò
sia alle Svalbard, che alcuni anni dopo in Islanda. In entrambe le occasioni avrei fatto anche
delle registrazioni televisive con la mia videocamera Explorer della
Philips VHS c VKR 6840 (acquisita all'inizio degli anni ‘1990). Alla
quale, su prezioso suggerimento della dirigente della Philips di Roma, aggiunsi un ulteriore, potente teleobiettivo.
Le riprese nell’arcipelago artico norvegese furono, in realtà, poche,
mentre quelle in Islanda, grazie al fatto che in quel viaggio di ricerca non
ero solo, furono sufficientemente lunghe. In grado di arricchire ed integrare la documentazione
raccolta nella Terra del Ghiaccio e del Fuoco.
Sull'Islanda il mio libro Amazon (E-Book e versione cartacea, a colori e in bianco e nero:
https://www.amazon.it/Franco-Pelliccioni/e/B01MRUJWH1/ref=dp_byline_cont_pop_book_1
Ai Confini d’Europa: Viaggio-Ricerca nell’Islanda dei
Vulcani, dei Ghiacciai, delle Saghe, del Mondo Vichingo
L’AVVENTO
DEL DIGITALE, 2001
Nel 2001 ecco
la prima macchina digitale, una Fuji (FinePix S 304; 3,2 Mega Picxels; Zoom
ottico 6x, corrispondente a un 38-228 mm). L’userò per la prima volta nel corso
del mio primo viaggio in Tunisia. Con la Canon che diventava la macchina
ausiliaria, ma era estremamente utile per gli scatti rapidi - mercati,
persone, bambini, animali -, per i grandi spazi, grazie al suo grandangolare, e
per le foto a distanza, con il suo 300 mm).
Una macchina straordinaria, quella digitale, che consentiva
di conoscere immediatamente il risultato di ciascuna fotografia e di poter
scattare foto in numero pressoché illimitato Utilizzando le minuscole schede di
memoria XD) con un ingombro decisamente inesistente. Rispetto
al peso e alle dimensioni delle svariate decine di rollini di diapositive (in
media ciascuna consentiva 36 scatti, ma potevano essere anche di più...), che mi sono sempre portato appresso per il mondo. Una straordinaria
rivoluzione, se si considera anche il fatto che, specialmente ai tropici, i rollini
delle diapositive nel lungo termine potevano subire inconvenienti dovuti a calore e umidità
Così che nel
1980 sviluppai subito le diapositive scattate in Kenya (lago Turkana)
grazie alla Kodak (East Africa), al mio rientro a Nairobi. Ma
la mia nuova Fuji del 2001 aveva un problema non da poco. Abituato com'ero alla Nikon, ma
soprattutto alla Canon, e ai suoi due zoom ultrasonici, che consentivano scatti
fulminei. Infatti con la mia prima fotocamera digitale dovevo calcolare con la maggiore esattezza
possibile la corretta inquadratura dei soggetti che stavo riprendendo: in base al movimento di
persone, animali, o del veicolo dove mi trovavo. Perché c’era sempre un non indifferente iato tra l’istante dello scatto
e l’inquadratura finale! .
La
prima volta che vidi una piccola macchina digitale fu nel 1997. L'aveva l’amministratore della Base Dirigibile Italia nella Baia del Re, nelle artiche isole
Svalbard, che avevamo da poco inaugurato. Mi disse che con quella fotocamera poteva mandare la documentazione fotografica direttamente al CNR a Roma, allegandola ad una E-Mail.
Ricordo ancora come, poco dopo l'acquisto della Fuji, parlando con il direttore
artistico (laboratorio fotografico) del mio giornale e accennando alle sue caratteristiche, nonché al notevole
costo, mi disse che la sua macchina, che era solo un paio d’anni più vecchia, non solo aveva peculiarità decisamente inferiori alla mia fotocamera, ma era anche costata molto, ma molto di più. Non potevo, quindi, lamentarmi!
Le mie altre macchine digitali acquisite nel corso del tempo:
Fuji FinePix S 304 6 X Optical Zoom, 3,2 Megapixel, 1:8,2;
Fuji FinePix A 850, zoom ottico 3 X, 8,1 megapixel, 1:8.
Fuji FinePix A 900, 9 megapixel, zoom ottico 4 X
Fuji FinePix S1500, Bridge, 10 megapixels, caratterizzata da un potente zoom: 12 X (33-396 mm). L'utilizzerò, ad esempio, nel corso del mio viaggio in Giordania.
Infine un'altra Nikon, ma digitale, che si tiene in un taschino! La Coolpix S 3200, Obiettivo Nikkor 6X Wide Optical Zoom VR, 26-156 mm , 4.6-27.6 mm, 1:3,5-6,5; 16,8 Megapixels
TELECAMERA DIGITALE
Samsung camcorder Varioplan 65 X Intelli-Zoom f=2,1-109.2 mm, F-1,8.
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Nell'innevata Foresta Pietrificata dell'Arizona scatto una foto con la Nikon e il tele da 300 mm, 1980
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Riguardo alle foto subacquee:
nel Mar Rosso meridionale, ai confini con Sudan, userò l'Amphibia underwater 35
mm motorizzata UW 303 della Vivitar e diapositive Kodak Ektachrome. Mentre nel Mar Rosso centrale avrò a disposizione la macchina fotografica digitale Fuji FinePix A 900, 9
megapixel, zoom ottico 4 X e custodia subacquea WP-FXA800, 1: 2,9;