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sabato 23 settembre 2023

108 BIS. UNA "VOCE", LA MIA, CHE NON TROVERETE SU WIKIPEDIA! PARTE SECONDA: LE RICERCHE SUL CAMPO

 



LE RICERCHE SUL CAMPO

L'INIZIAZIONE ANTROPOLOGICA SUL CAMPO: ISIOLO, KENYA SETTENTRIONALE, 1976

Nel 1976 effettua la sua prima ricerca sul campo in Africa orientale, nel centro multietnico e multiculturale di Isiolo: "Studio della situazione etnico sociale di Isiolo, Kenya settentrionale”, su suggerimento del suo mentore, il Prof. Bernardo Bernardi, uno dei Maestri dell'Antropologia Culturale italiana(1). In Kenya si associa come Ricercatore all'Institute of African Studies dell'Università di Nairobi(2).

INTERLUDIO MESOAMERICANO, 1978

Nel 1978 effettua una ricerca di comunità nel villaggio di Santa Maria del Mar (Istmo di Tehuantepec, Oaxaca, Messico) abitato dagli indios pescatori Huave, per verificare sul terreno alcune ipotesi formulate dagli americanisti Gerardo Bamonte e Gilberto Mazzoleni, che in precedenza avevano realizzato una ricerca nel vicino villaggio Huave di San Mateo del Mar, nell'ambito di un team diretto da Italo Signorini dell'Università di Roma(3).

SUD SUDAN, 1979

Partecipazione politica e integrazione sociale dei Dinka, Shilluk e Nuer in Malakal, centro urbano multietnico e multiculturale dell'Upper Nile, Sud Sudan.

KENYA, 1980

Survey socio-antropologico (sviluppo) tra i popoli nomadi, transumanti e sedentari (Turkana, Merille, Borana, Rendille, Elmolo) localizzati intorno alle sponde del Lago Turkana (già Rodolfo), Kenya nord-occidentale(4).

SUD SUDAN, 1980-81

Partecipazione politica e integrazione sociale dei Dinka, Shilluk e Nuer in Malakal, centro dell'Upper Nile , Sud Sudan. E' la seconda di sessione di ricerca in questo centro multietnico e multiculturale. In Sudan si associa come Ricercatore al Department of Anthropology of the University of Khartoum.

ISOLE SHETLAND E ORCADI (SCOZIA), 1982

Grazie ad un viaggio di studio (o di reconnaissance), prima delle Shetland, poi delle meridionali Orcadi, sia pure involontariamente sarebbe stato gettato il primo seme di ciò che anni dopo si sarebbe trasformato nel suo Programma sulle Comunità Marittime dell’Atlantico Settentrionale.

In quel periodo era particolarmente attratto dalla quella che, a quei tempi, costituiva la terza "rivoluzione culturale", che gli abitanti delle isole Shetland stavano sperimentando sulla propria pelle. Il ritrovamento (1970-71) e lo sfruttamento razionale e sistematico (dal 1975) delle enormi riserve di petrolio e gas scoperte nella piattaforma continentale del Mare del Nord avevano portato alla costruzione di grandi infrastrutture a terra e comportato un conseguente afflusso di uomini, mezzi e denaro dalla Gran Bretagna e dal continente nelle isole. In quell’epoca le isole stavano perciò passando da un'economia di tipo pastorale e marittima, ad un'altra di tipo industriale, in passato anche fortemente contestata.

Il suo interesse per le più meridionali isole Orcadi era invece costituito, non solo dalla loro morfologia, ben più "dolce" rispetto alle montuose, frastagliate e aspre Shetland, ma anche dal poter verificare "in situ" la differenza, lo iato che si veniva allora formando, o che si era già aperto, tra i due arcipelaghi. Il tutto in assoluto "tempo reale". Costatando le situazioni una dopo l'altra. Temendo che un contrasto netto e cospicuo si fosse già delineato nelle posizioni raggiunte dai due arcipelaghi. Nel primo caso, tra quelle innovative e ormai sull'orlo di un'industrializzazione forzata, che dall’esterno appariva non particolarmente rispettosa dell’itinerario culturale perseguito nei secoli dagli Shetlanders. Nel secondo caso le tradizionali isole Orcadi non sembravano essere rimaste coinvolte, se non in maniera del tutto trascurabile, da turbolenti realtà economiche di tipo esogeno

INUIT DELL'ARTICO CANADESE, 1983

Indagine antropologica (sviluppo) in un campione di sei comunità Inuit dell'Artico canadese: Inuvik, Tuktoyaktuk (delta del Mackenzie, Mare di Beaufort, Artico occidentale); Qausuittuq (già Resolute Bay, Cornwallis Island, Alto Artico), Frobisher Bay (oggi Iqaluit), Pangnirtung (Baffin Island e Cumberland Sound, Artico orientale, oggi Nunavut), Kuujjuaq (già Fort Chimo, Penisola di Ungava, Nouveau Québec)(5).

ARCIPELAGO DI SAINT-PIERRE ET MIQUELON (FRANCIA) E ISOLA DI TERRANOVA (CANADA), 1987

Una Comunità Marittima Multietnica: Baschi, Normanni, Bretoni, Irlandesi. A non molta distanza dalle coste meridionali dell'immensa isola canadese di Terranova si trovano le due piccole e splendide isole di Saint-Pierre e Miquelon. Dal 1976 Dipartimento d'Oltremare e Collettività d'Oltremare francese dal 2003. I suoi poco più di seimila abitanti si concentrano nella città capoluogo di Saint-Pierre e nel villaggio dell’attigua Miquelon. Gli isolani discendono dai pescatori baschi, bretoni e normanni, che nel tempo vi si sono insediati. L’arcipelago rappresenta il più antico dei possedimenti francesi in terra americana, poiché è l'ultimo lembo della Nouvelle France(6).

L'indagine antropologica è stata resa possibile grazie ad interviste guidate a key informers individuati sia nella cittadina di Saint-Pierre, che nel villaggio di Miquelon.

Per quanto riguarda l'isola di Terranova, sono state individuate alcune comunità marttime (outports) ubicate nel settore orientale, nord e nord-occidentale dell'immensa e scarsamente popolata grande isola. Tenendo conto sia della loro dimensione demografica, che della loro importanza nel contesto economico regionale. Con particolare riguardo alle attività collegate alla pesca. Sono stati perciò "visitati" alcuni centri per la pesca offshore, come Saint John's, la capitale, che inshore. Scelri nell'ambito di quella grandiosa costellazione di piccoli e medi villaggi di pescatori sparsi lungo le innumerevoli piccole e grandi insenature della frastagliatussima linea costiera.

COMUNITA’ MONTANA DEL TURANO (LAZIO, ITALIA), 1984-1989

Ricerca sul campo “part time”, a seguito della quale sono scaturiti due progetti di ricerca “partecipata” applicata. Il primo relativo all’intera Comunità (approvato all’unanimità dal Consiglio della Comunità Montana come Piano del 1990)(7), il secondo alla cittadina di Ascrea(8).

SVALBARD (NORVEGIA), 1994

Ricerca socio-antropologica presso le comunità marittime norvegesi e russe delle isole Svalbard (Norvegia, Alto Artico): sviluppo, rapporto uomo-ambiente e integrazione multietnica in un arcipelago "ai confini del mondo"

ISOLE FÆR ØER (DANIMARCA), 1995

Un approccio etno-antropologico alle comunità marittime delle isole Fær Øer, Danimarca. Individuazione e analisi del ruolo attualmente esercitato da una tradizione culturale e linguistica di antica derivazione vichinga, in un contesto geo-politico altamente modernizzato. Come il plurisecolare isolamento geo-spaziale ha saputo indirizzare la via "autonoma" faroese allo sviluppo

EBRIDI ESTERNE (SCOZIA, UK) 1997

Ricerca socio-antropologica presso le comunità marittime delle Ebridi Esterne (Western Isles), Scozia: tradizione e cambiamento culturale in un arcipelago "Celtico" e "ai confini del mare"

1998 ISLANDA GROENLANDIA

Un Approccio Etno-Socio-Antropologico alle Comunita’ Marittime Islandesi di Antica Derivazione Vichingo-Norvegese. Con uno "studio del caso": Heimaey: Storia, Cultura, Economia (Pesca, Uccellagione, Turismo), in una comunità marittima di una giovane terra nordica e una ricognizione storico-archeologica nell’insediamento orientale della vicina "Terra Verde".


NOTE

  1. ^ " (...) 'Dott. Franco Pelliccioni, che si presenta candidato per l'insegnamento di Antropologia Culturale, mi permetto di esprimere, a sostegno della sua domanda, il mio apprezzamento per le sue qualità di studioso. Conosco il Dott. Pelliccioni dal periodo dei suoi studi secondari, quando mi sottomise, per consiglio di uno dei suoi insegnanti, un suo primissimo saggio sul problema dell'acculturazione. L'ho seguito successivamente quando il suo interesse per i problemi antropologici si è andato precisando con una notevole costanza di studio e di ricerca non solo sui problemi teorici generali ma anche sui problemi particolari dell'incontro esistenziale tra portatori di culture diverse. I suoi scritti sono di argomento prevalentemente africanistico, ma il suo interesse di studio si apre a trarre dall'esperienza specifica africana motivo di insegnamento per il superamento del pregiudizio etnocentrico". Firmato: Prof. Bernardo Bernardi, Ordinario di Antropologia Culturale, Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Bologna, 18 aprile 1977
  2. ^ 1977. "Isiolo, centro di incontro etnico nel Kenya settentrionale (Rapporto preliminare)", Africa, giugno, pp. 260-282.
  3. ^ 1979. "Il cambiamento culturale tra gli indios lagunari di Santa Maria del Mar (Oaxaca, Messico):alcune osservazioni", Rivista di Etnologia- Antropologia Culturale, VII, pp. 94-103; 1979. " Lo spazio sociale tra gli indios Huave di Santa Maria del Mar: un approccio storico-culturale", Bollettino della Società Geografica Italiana, 10, 12, pp. 665-676.
  4. ^ Sessione di ricerca che ha sostituito la seconda fase del progetto Isiolo, che non si è potuta realizzare per via della situazione in cui allora versava il paese: a) risentimento della tribù dei Kikuyu nei confronti di un governo in maggioranza non Kikuyu; b) presenza dei guerriglieri somali shiftas, che imperversavano nelle aree nord-orientali. Arrivando sulle Nyambeni Hills all'altezza della città di Isiolo. Facendo sì che tutto il traffico veicolare venisse concentrato in colonne scortate da mezzi della polizia e dell'esercito kenyota.
  5. ^ Il survey è stato reso possibile grazie alla massiccia assistenza del Governo Federale (Ottawa, Ministero degli Affari Indiani e dei Territori del Nord), di quelli Provinciali (Québéc e Yellowkife), dello Science Advisory Board of the Northwest Territories, a Yellowknife. Oltre che del Ministero degli Affari Esteri Italiano, dell’Ambasciata del Canada a Roma, dell'Ambasciata d'Italia ad Ottawa, del Consolato Generale Italiano a Vancouver, della collaborazione della Canadian Pacific.
  6. ^ I progetti di ricerca sul campo, una volta avviati, a volte devono cambiare. Cercando di adattarsi alla situazione concreta e alla realtà che deve affrontare lo studioso. Come nel 1987. Quando, per insormontabili difficoltà di diversa natura, una volta arrivato a Montréal (Canada), ha dovuto cambiare campo di indagine sic et simpliciter. Grazie al fatto che le notizie che periodicamente arrivavano a Roma dal Canada, oltre che dal nostro Ministero degli Affari Esteri, aveva presagito l'impossibilità di proseguire, approfondendola, la sua ricerca sugli Inuit dell'Artico canadese, in questo caso della Baia di Hudson (Sanikiluaq, Isole Belcher). Sicché, con il cosiddetto "Piano B.", che in qualche misura aveva già predisposto nelle sue linee principali prima di partire, avrebbe dato corpo e sostanza, rivitalizzandolo, al suo Programma sulle Comunità Marittime del Nord Atlantico.
  7. ^ Una ricerca socio-antropologica "partecipata" applicata ad un progetto di sviluppo integrato della Comunità Montana del Turano: ipotesi ed eventuali future implicazioni operative ai fini di un concreto miglioramento della "qualità" della vita" (sviluppo) degli abitanti della Comunità' medesima, Aprile 1989, DOI: 10.13140/RG.2.2.21664.40968
  8. ^ Ascrea e la Valle del Turano: analisi socio-economica e culturale di un borgo montano dell'Alta Sabina, aprile 1989, DOI: 10.13140/RG.2.2.28561.25449

venerdì 28 aprile 2023

90. E' IN CORSO DI PUBBLICAZIONE SU AMAZON IL MIO E-BOOK: BALENE E BALENIERI, TRA NORD ATLANTICO, PACIFICO SETTENTRIONALE, MAR GLACIALE ARTICO. VAGABONDAGGI ALLA RICERCA DELLE TESTIMONIANZE DELL’ERA DELLA CACCIA ALLE BALENE

 

COLLANA: VIAGGI E RICERCHE DI UN ANTROPOLOGO TRA VECCHIO E NUOVO MONDO, VOL. 19


PRESENTAZIONE

Nel corso dei viaggi di ricerca che mi hanno condotto in diversi settori dell'emisfero boreale, mi sono spesso imbattuto nei resti e nelle, più o meno vistose, tracce di stabilimenti e di stazioni di caccia alle balene. 
Sovente abbandonate da molto tempo, altre volte solo da pochi decenni, costituiscono il simbolo di un'era ormai lontana nel tempo, alla quale la maggioranza di noi si sente oggi totalmente estranea.
 Nonostante le numerose e complesse implicazioni inerenti alla tecnica e all'oggetto stesso della caccia, la sanguinosa mattanza dei cetacei, per lunghi secoli e per diversi popoli, in particolare di regioni e aree marittime, ha rappresentato una parte invero non secondaria, se non di determinante importanza, della loro cultura. 
Caratterizzata da uno stretto rapporto con l'habitat e l'ambiente marittimo.   
Bisogna infatti ricordare, e ciò è valido ed è ugualmente estensibile a tanti altri campi del nostro vivere quotidiano, come del tutto "recenti" siano le conquiste operate da ecologi ed etologi, da "verdi" ed animalisti.
Il problema nacque e si impose all'attenzione dell'opinione pubblica internazionale e dei governi, con sempre più forza e determinazione, non a causa della caccia in se stessa. 
Ma, come al solito, dal "progresso", che anche in questo campo ha comportato l'impiego di tecnologie sempre più devastanti e distruttrici. 
A partire dall'invenzione, nel 1864, del celebre cannoncino fiocinatore esplosivo, ad opera del norvegese Svend Foyn. 
Per cui quello che era un "prelievo" di risorse marine, nel tempo si sarebbe trasformato nell’indiscriminato sterminio dei cetacei, alcuni dei quali erano, e sono tuttora, minacciati di estinzione!
Se le vecchie stazioni baleniere abbandonate, che mostrano oggi abbondanti tracce  del degrado provocato dallo scorrere del tempo e dalle avverse condizioni climatiche, ci ricordano anche "realtà" che possono anche non piacerci, poiché indissolubilmente collegate alla morte di tanti grandi mammiferi marini, l'avvistamento delle balene, sia volontario, nel corso di appositi e gradevoli whale-watching, o casuale,  ha sempre provocato, in chi scrive, un'eccitazione ed un'esaltazione indescrivibili, quasi fanciullesche, che mai erano state altrove provate.
 In Africa il paragone va ai tanti elefanti, rinoceronti, od addirittura ai leopardi, intravisti, fotografati, e perfino inseguiti, tra Kenya settentrionale e Sudan meridionale. 
Strano a dirsi, ma l'incontro con i grandi abitatori della savana non riesce a reggere il confronto con quello delle balene. 
È un contatto visivo, ma non solo..., che trascende il rapporto occhi-cervello: è emotivo, istintivo. 
Si collega alla parte più nascosta di noi, quella che gli psicanalisti definiscono l'io, che riesce a smuovere perfino le "acque" del nostro subconscio.  
E quella, in effetti, rappresenta un'imprevedibile e sorprendente realtà del mare che è riuscita sempre a stupirmi. 
Ad attrarmi per tutte le sue implicazioni, di fantasia e di mistero, ma anche per quell'alone di poesia, che pure quel mastodontico abitatore delle profondità oceaniche, con i suoi comportamenti di superficie, a volte flessuosi come quelli di una ballerina d'opera, è riuscita sempre a evidenziare. 
Suscitando profondi, indimenticabili, turbamenti.
 Ecco le tappe del nostro lungo itinerario nello spazio e nel tempo: Alaska sud-orientale (USA); isola di Vancouver (Colombia Britannica, Canada); Tuktoyaktuk (Mare di Beaufort, Artico occidentale, Canada); Qausuittuq (Alto Artico canadese); Iqaluit e Pangnirtung (isola di Baffin, Artico orientale, Canada); Narsaq (costa occidentale della Groenlandia meridionale); Svalbard (Norvegia); Norvegia; Islanda; Shetland, Orcadi, Ebridi Esterne, St Kilda (Scozia, UK); Fær Øer (Danimarca); Saint-Pierre et Miquelon (Francia), Terranova, Québec (Canada). E, in Appendice: Madeira (Portogallo);  Canarie (Spagna).

 151 pp, 131 foto (102 a colori), 249 note.


domenica 12 marzo 2023

84. "DAL KENYA ALLE BALENE"... ECCO IL SOMMARIO DEL MIO PROSSIMO LIBRO: BALENE E BALENIERI, TRA NORD ATLANTICO, PACIFICO SETTENTRIONALE, MAR GLACIALE ARTICO. VAGABONDAGGI ALLA RICERCA DELLE TESTIMONIANZE DELL’ERA DELLA CACCIA ALLE BALENE

E' la foto d'epoca che apparirà sulla copertina dell'E-Book. Per le versioni stampate (a colori e in bianco e nero) ho scelto due illustrazioni a colori: uno storico dipinto olandese e una mia foto   . 

 A dicembre, a margine di un post, avevo fatto presente che stavo lavorando alla stesura di una: BREVE INTRODUZIONE ETNO-ANTROPOLOGICA AI POPOLI DEL KENYA. 


Infatti, sulla spinta della forte ondata emotiva, provocata dalla pubblicazione sul blog del mio incompiuto romanzo giovanile ambientato in Kenya, e risalente ad esattamente sessanta anni fa, da ex africanista avevo deciso che fosse ora di elaborare un mio vecchio progetto sui “Popoli del Kenya”. Dove negli anni ‘1970 e ‘1980 avevo effettuato due sessioni di ricerca. 


Purtroppo ancora una volta mi sono lasciato “trasportare” dalla mia vecchia abitudine di ricercatore “a tutto tondo”: biblioteca, archivio, Internet, diari di viaggio, diari di ricerca, registrazioni audio, diapositive. 

Per cui ritengo che l’introduzione, se non sarà certamentebreve”, sarà perlomeno interessante!


A Capodanno ho deciso di interrompere per un periodo la compilazione del libro sul Kenya. 


Iniziando a portare avanti un secondo progetto, che riguardava balene e balenieri”. Da tempo gelosamente conservato, sia pure nelle sue grandi linee, nel “forziere”, pardon… nel mio computer!


Una volta completamente ultimato (testo e illustrazioni), il libro darà modo al lettore di effettuare un articolato itinerario nello spazio e nel tempo. 


Con una lunga navigazione virtuale tra Alaska sud-orientale (USA); l’isola di Vancouver (Colombia Britannica, Canada); Tuktoyaktuk (Mare di Beaufort, Artico occidentale, Canada); Qausuittuq (Cornwallis Island, Alto Artico canadese); Iqaluit e Pangnirtung (isola di Baffin, Artico orientale, Canada); Narsaq (costa occidentale della Groenlandia meridionale); Svalbard (Norvegia); Norvegia; Islanda; Shetland, Orcadi, Ebridi Esterne, St Kilda (Scozia, UK); Fær Øer (Danimarca); Saint-Pierre et Miquelon (Francia), Terranova, Québec (Canada), Madeira (Portogallo);  Canarie (Spagna).

IL TESTO DEL NUOVO LIBRO È OGGI PRESSOCHÉ COMPLETO. ECCO IL SOMMARIO:

1. PREMESSA

2. INTRODUZIONE

LA CACCIA NELLA PREISTORIA: ALTA, NORD NORGE

I BALENIERI E L'ESPLORAZIONE

LA CACCIA ALLE BALENE, TRADIZIONALE ATTIVITÀ ECONOMICA DI ALCUNE COMUNITÀ MARITTIME EUROPEE

I balenieri europei ed americani e gli Inuit

3. LA CACCIA ALLE BALENE PRESSO ALCUNE POPOLAZIONI AUTOCTONE AMERICANE

INUIT

I PRE-INUIT: THULE (800-1700 D.C.)

INDIANI DEL NORD-OVEST

4. GLI AVVISTAMENTI DI BALENE

IL MIO PRIMISSIMO “INCONTRO” CON UNA BALENA È AVVENUTO A… ROMA!

A DISTANZA DI QUASI SETTANTA ANNI, UN’IMPREVISTA E SORPRENDENTE INTEGRAZIONE!

NELL’AMERICA DEL NORD

Québec

Alaska Sud-Orientale

L’isola di Terranova, Canada

Mare di Beaufort, Artico occidentale canadese, Northwest Territories

L’insediamento di Tuktoyaktuk, già Port Brabant

5. LA CACCIA ALLE BALENE: STORICA

NELLA COLOMBIA BRITANNICA (CANADA)

Indiani Nootka (oggi Nuu-chah-nulth) dell’isola di Vancouver

Stazioni di caccia canadesi e statunitensi

La caccia alle balene nelle acque della Colombia Britannica

A SAINT-PIERRE ET MIQUELON (FRANCIA)

LE STAZIONI BALENIERE DI TERRANOVA (PROVINCIA DI TERRANOVA E LABRADOR, CANADA)

NELL’ARTICO CANADESE ORIENTALE

LA STORIA DELLA RISCOPERTA DEL CUMBERLAND SOUND, NELL’ISOLA DI BAFFIN, DA PARTE DEL BALENIERE ED ESPLORATORE SCOZZESE WILLIAM PENNY

CUMBERLAND SOUND, ISOLA DI BAFFIN, NUNAVUT: 

LA STAZIONE BALENIERA DELLA COMPAGNIA DELLA BAIA DI HUDSON DI PANGNIRTUNG, NELL’OMONIMO FIORDO

LE STAZIONI DI CACCIA ALLE BALENE DEL CUMBERLAND SOUND

La stazione fondata da William Penny nell’isola di Kekerten (lato orientale del Sound)

KEKERTEN, IL CUMBERLAND SOUND E L’INIZIAZIONE ANTROPOLOGICA SUL CAMPO DI FRANZ BOAS

La stazione sull’isola di Blacklead (lato occidentale del Sound)

NELLE ISOLE SHETLAND (SCOZIA, UK)

Un altro “mancato” avvistamento...

NELLE ISOLE ORCADI (SCOZIA, UK)

NELLE ISOLE SVALBARD, NORVEGIA

Il “Fiordo Verde” (Grønfjorden)

Smeerenburg, la “città del grasso”, XVII secolo, Svalbard

NELLE EBRIDI ESTERNE (SCOZIA, UK)

Isola di Lewis

Bunavoneadar, la stazione a terra norvegese dell’isola di Harris

St Kilda

6. LA CACCIA ALLE BALENE: ATTUALE

IQALUIT (GIÀ FROBISHER BAY, ISOLA DI BAFFIN, ARTICO ORIENTALE, NUNAVUT, CANADA)

A RESOLUTE BAY (OGGI QAUSUITTUQ, CORNWALLIS ISLAND, HIGH ARCTIC, NUNAVUT, CANADA)

Le tracce lasciate dai cacciatori di balene di Thule sull’isola Cornwallis

La caccia alle balene da parte degli Inuit nuovi arrivati

NARSAQ (COSTA OCCIDENTALE DELLA GROENLANDIA MERIDIONALE, DANIMARCA)

Dalla caccia alle balene dei “preistorici” Thule a quella degli odierni Kalaallit

LA GROENLANDIA OCCIDENTALE E LA CACCIA ALLE BALENE NELLO STRETTO DI DAVIS

NELLE ISOLE FÆR ØER (DANIMARCA): IL GRINDADRÁP, LA CACCIA COMUNITARIA

Diario di viaggio da Tórshavn, capitale delle isole Fær Øer

IN ISLANDA

Dal diario di viaggio

IN NORVEGIA, QUANDO LA CACCIA ALLE BALENE NON È COSÌ PUBBLICIZZATA, COME L’ISLANDESE, LA FAROESE (O LA GIAPPONESE)

LA PROLIFERAZIONE DELLE STAZIONI DI CACCIA NORVEGESI NELL’ATLANTICO DEL NORD, FINE XIX SECOLO-CA. 1920

Diario di viaggio dall’isola faroese di Streymoy

7. BALENE, UNA SCHEDA

PICCOLE:

MEDIE:

GRANDI:

8. APPENDICE

LA CACCIA ALLE BALENE NELL’ARCIPELAGO DI MADEIRA (PORTOGALLO), 1941-1986

L’«isola-giardino» sub-tropicale di Madeira

Balene, tra caccia (1941-1986) e attuale Whale Watching 

Il programma originario del viaggio e l’incendio di Monte

La caccia alla balena e l’Empresa Baleeira do Arquipélago da Madeira 

IL GIGANTESCO FLOP DELLA CACCIA ALLE BALENE NELL’ARCIPELAGO DELLE CANARIE (SPAGNA), 1784-1806

Breve introduzione all'arcipelago

Lanzarote

Fuerteventura

La grave situazione socio-economica e sanitaria del secolo XVIII nelle Canarie, provocata da eruzioni vulcaniche, fame, povertà, epidemie

La caccia alle balene per ottenere olio per illuminazione e per sfamare gli isolani: cronologia di un fallimento ventennale

 

9. BIBLIOGRAFIA

 

 

venerdì 13 gennaio 2023

81. L'ULTIMO LEMBO DELLA NOUVELLE FRANCE IN TERRA D’AMERICA È NELL’ATLANTICO DEL NORD: L’ARCIPELAGO DI SAINT-PIERRE E MIQUELON

 

Stagno ghiacciato di Vigie sull'isola di Saint-Pierre. Questa foto ha vinto il concorso "Fotografa i territori d'oltremare", categoria Patrimonio immateriale, nel 2019 ed è stata esposta durante le Giornate del Patrimonio presso l'hotel Montmorin, che ospita il Ministero d'oltremare, gennaio 2016 (CC Some Rights reserved, Bernard975)  

.

A non molta distanza dalle coste meridionali dell'immensa isola canadese di Terranova si trovano le due piccole e splendide isole di Saint-Pierre e Miquelon, dal 1976 un Dipartimento d'Oltremare francese (Collettività d'Oltremare dal 2003). Poco più di seimila abitanti sono concentrati nella città capoluogo di Saint-Pierre e nel villaggio di Miquelon.

Mappa di Saint-Pierre et Miquelon, 1902 (da Bellet, Adolphe, Grande Peche de la Morue a Terre-Neuve : Depuis la Decouverte du Nouveau Monde par les Basques au XIVe Siecle, Freshwater and Marine Image Bank, University of Washington)    

   Scoperta nel 1520, Saint Pierre era frequentata da imbarcazioni francesi già all'epoca del viaggio di Cartier del 1536. Per secoli il possesso dell’arcipelago fu disputato da Francia ed Inghilterra, tanto da diventare francese solo nel 1816. Per i francesi costituisce il più antico dei loro possedimenti americani. È infatti l'ultimo lembo rimasto dei vastissimi territori occupati un tempo in Nord America della Nouvelle France.

Carta della Nouvelle-France, 1562-1763, 2011 (CC Some Rights reserved, Parigot)

Il legame che lega l'arcipelago alla metropoli è ancora più importante se si tiene presente come le isole si trovino relegate su un duplice piano di lontananza.

Culturale, innanzitutto. Prossime a Terranova ed alla Nova Scotia, costituiscono una minuscola "isola" culturale francese rispetto al prospiciente mondo anglofono canadese.

Poi geografico-spaziale e comunicativo. Una distanza, quest’ultima, ben più profonda di quanto dicono le carte geografiche, non esistendo finora collegamenti aerei diretti con la Francia e l'Europa. La distanza dalla madre patria si unisce, inoltre, al fatto che molti francesi ignorano del tutto l'esistenza di queste piccole isole, americane sì, ma sotto bandiera francese.

O non sappiano dove siano. Basti dire come i contingenti militari composti da saint-pierrais, che parteciparono alla Grande Guerra, furono consegnati in caserme d'adattamento al clima metropolitano, assieme ad altre truppe "indigene"!

Gli abitanti dell’arcipelago discendono dai pescatori baschi, bretoni e normanni che nel tempo vi si sono insediati. Già dalla fine del XV secolo avevano iniziato a ritornare in estate a Saint-Pierre per le loro campagne, stabilendo stazioni a terra.

I baschi, dapprima attirati dalla caccia alle balene, si convertirono alla pesca al merluzzo, così come in seguito fecero normanni, bretoni e Rochelais

Oggi essi fanno parte integrante di una comunità marittima autenticamente multi-etnica e multi-culturale, anche se va aggiunto come la componente basca, tra le prime a percorrere ed esplorare questi mari, sia la più attiva. 

Tale feeling è immediatamente avvertibile non appena si sbarca a Saint-Pierre. 

Saint-Pierre dalla collina, agosto 1999 (CC Some Rights Reserved, Ken Eckert)

Il porto di Saint-Pierre, 2006 (CC Some rights reserved, Miquelon)



Al di là della visibilità dei simboli baschi, quali lo Zazpiak Bat, il "muro" utilizzato per il gioco della pelota - Jai-alai -, che si innalza nella piazza Richard Briand, o la regolare organizzazione di danze folcloristiche, ecc.

Questo gruppo etnico-culturale fin dal 1931 ha costituito l'associazione Orok Bat. Estremamente propulsiva sul piano culturale (tradizione orale, musiche, ecc.). 

Un dirigente mi spiegò come il muro della pelota rappresenti il simbolo stesso dell'origine e dell'identità individuale e collettiva basca, "perché tutti, una volta o l'altra, hanno giocato alla pelota su quel muro". 

I baschi, che fino alla prima guerra mondiale costituivano la maggioranza della popolazione dell'arcipelago, attualmente costituiscono il 35/40% della popolazione. 

Oggi non sono più bilingui. Molti conoscono le parole dei canti tradizionali, ma pochi capiscono il basco (euskara). 

Pur non parlandolo, intrattengono ottime relazioni con l'Euzkadi (i paesi baschi), dove si recano frequentemente per approfondire e vivificare i legami culturali.

Secondo lo storico, conservatore del museo, già sindaco per molti anni della città di Saint-Pierre, Joseph Lehuenen, da me intervistato, le percentuali relative agli altri gruppi presenti nelle isole sarebbero le seguenti: normanni e bretoni (30/35%), francesi del Poitu, corsi e alsaziani (30%), irlandesi e, infine, "misti". Poiché i matrimoni interetnici nel tempo sono stati numerosi. 

Tra l'altro va ricordato come durante il proibizionismo negli Stati Uniti, Saint-Pierre fosse divenuta un importante centro di contrabbando di alcolici. Le finanze dell'arcipelago si erano straordinariamente arricchite, grazie alle tasse pagate all'amministrazione dagli importatori.

L’inaspettata ricchezza ebbe tre conseguenze:1) l'abbandono dell'attività della pesca; 2) la venuta di centinaia di ragazze dall’isola di Terranova, che lavorarono come domestiche nelle famiglie saint-pierrais. Trovando poi un marito locale; 3) la capacità per la piccola Saint-Pierre di fare un prestito di alcuni milioni di franchi alla madre patria.

C'è ancora da aggiungere come sia avvertibile una discreta integrazione pan-etnica e culturale tra le varie componenti saint-pierrais. Tanto che c’è chi teorizza l’esistenza di una "saint-pierritude". 

In effetti va detto come i francesi di Saint-Pierre nei secoli si siano costruiti una loro specificità. Ancora più accentuata per il fatto che i saint-pierrais hanno dei "glossari" saint-pierrais-francese e propongono ai media locali testi scritti in saint-pierrais

Il loro è un parlare rapido, certamente non affine al québécois. 

Il lessico è quello che più evidenzia l'influenza della cultura marittima sulla lingua. 

Vengono utilizzati termini da tempo desueti nella metropoli (clavé = bloccata, per una nave, dai ghiacci), od utilizzati in provincia (graler = grigliare), termini franco-canadesi (buttereau = duna di sabbia), indiani (doris, imbarcazione tipica di Saint-Pierre), inglesi (switch = interruttore). 

Molti lemmi derivano dalla vita marittima (se calfater = coprirsi con abiti pesanti, caldi), oltre a quelli tradizionali - dialettali -, che si riferiscono ad un linguaggio, che è sempre di tipo marinaro, anche un po' ironico.

Avrei avuto un riscontro diretto della loro expertise marinara quando, dopo l’arrivo da Montréal, scoprii che la mia Samsonite era rimasta piuttosto ammaccata in un angolo. Niente di grave. Non era certo la prima volta che le mie valigie venivano danneggiate nel corso di un volo. Possibilmente venivano riparate o, se necessario, sostituite. Il problema, mi dissero nella piccola agenzia aerea locale, che a Saint Pierre non era possibile: “solo a Montréal”. Purtroppo il progetto antropologico di quell’anno prevedeva di proseguire dopo pochi giorni per St John’s e Terranova, per continuare la mia ricerca sulle comunità marittime.  

Ma il mio gentile ospite, Yannick Cambray, Consigliere del Comune di Saint-Pierre e Direttore dell'Hotel Central, dove avrei alloggiato, visto il danno e, soprattutto, il tipo di materiale con il quale la valigia era realizzata, mi disse di non preoccuparmi. L’avrei avuta in tempo per la mia partenza per Terranova.

E così è stato.

Un giorno prima del volo la valigia è in albergo e il danno sembra pressoché sparito. La valigia era stata consegnata nelle abili mani di un maestro d’ascia, che di imbarcazioni se ne intendeva...   

Sono isole, queste, dove la natura, la terra, il cielo ed il mare si compenetrano vicendevolmente. Annichilendo e dissimulando i rispettivi limiti e confini. Sono terre dove si aprono panorami aspri e si stagliano scogliere imponenti. 

Mappa di Saint-Pierre e Miquelon, Central Intelligence Agency's World Factbook

In cui si può ammirare l'inaspettata bellezza dei boschi di conifere e della Belle-Rivière, il corso d'acqua più lungo, che li attraversa a Langlade, nella parte meridionale dell'isola di Miquelon. 

Il villaggio di Miquelon dall'aereo, 2010 (CC Some Rights ReservedCdetch)

In proposito ricordo come solo dalla fine del XVIII secolo Langlade risulti collegata alla Miquelon - propriamente detta - da un basso istmo (lungo 12 Km e largo dai 200 metri ai 3 Km), composto da dune sabbiose. L'azione delle correnti marine sui bassi fondali e l'imprevisto apporto di decine e decine di carcasse e di rottami di navi naufragatevi durante qualche tempesta, nei secoli hanno facilitato l'accumularsi del materiale sabbioso. Sigillando in tal modo assieme le due isole. 

Relitto sull'Île aux Marins, 2004 (CC Some Rights reserved, Arne List)

Sembra che il numero dei naufragi a Saint-Pierre e Miquelon riesca addirittura a superare quello della famigerata "Isola della Sabbia", al largo delle coste della Nova Scotia.

Le tempeste che impietose battono le isole, il gelido vento che d’improvviso si alza, colpendo velocemente ogni cosa, anche d'estate, anche nel mese più caldo, fanno parte integrante del suo habitat. 

Le brume e le nebbie, che d'un tratto sorgono dalle acque dell'oceano, diventate rapidamente cupe, celano ed avviluppano, nel loro sempre più impenetrabile manto, l'intero territorio e le caratteristiche case dai colori vivaci. 

In un attimo tutto scompare: le case verdi, rosse, azzurre, gialle, con i loro piccoli giardini, ma anche gli uomini e gli animali (i branchi dei cavalli semi-selvaggi ed i "cervi di Virginia" di Miquelon, le foche distese al sole sulle piccole isole emergenti con la bassa marea), il porto… Per riapparire improvvisamente, quasi d'incanto, dopo poco, o dopo tanto tempo. A volte dopo interi giorni.

Certo è che i rigori climatici caratterizzano profondamente la vita degli isolani. Specialmente durante la stagione invernale. 



L'Eglise de Notre Dame des Marins, sull'omonimo isolotto innevato, dicembre 2018 (CC Some Rights Reserved, PASCAL CARRERE)


Quando il termometro arriva a toccare i -20° e i -22°. Quando il mare davanti a Saint-Pierre può ghiacciare e ci si può recare a piedi all'Ile aux Marins. Isolotto che, con il suo abitato "fantasma", sorge davanti alla baia (dal 1965 è stato abbandonato dagli abitanti per le difficili condizioni di vita esistenti nei lunghi e rigidi periodi invernali; riprenderà vita solo in estate. Allorché alcune famiglie vi faranno ritorno durante il periodo della pesca).

Tutti fatti, questi, che ci rappresentano le difficoltà di un ambiente estremo ed aspro, specialmente nei tempi passati.

Graviers al lavoro, ca. 1904, di Mickaël Dhoste (Musée d'ethnographie de l'Université de Bordeaux)

Quando l'unica fonte di sostentamento era la pesca al merluzzo e, grazie ad un lavoro massacrante, venivano formate immense distese di pesce lasciato seccare al sole sulle graves.

Quando il naufragio di una nave era considerato una "manna dal cielo" per il carico che si poteva recuperare e per i "tesori" che si potevano trovare sottocoperta.

Quando centinaia di velieri di ogni parte del mondo vi si ancoravano per svernarvi, approvvigionarvisi, per le riparazioni. O vi si rifugiavano nel corso di qualche tempesta.

Era realmente una dura vita quella dei saint-pierrais. Così fino alla fine del XIX secolo l’isola era considerata dalle autorità francesi buona solo per deportarvi i condannati ai lavori forzati. Per non parlare dei ricorrenti incendi, che devastavano caseggiati (anche all’epoca della mia ricerca) e quartieri.

Eppure bisognava sopravvivere.

Anche grazie al contrabbando di superalcolici negli Stati Uniti (1922-1933). 

Quando il famigerato Al Capone poteva tranquillamente trascorrere qualche giorno all'Hotel Robert…

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sabato 13 agosto 2022

55. I PINGUINI DELL'EMISFERO SETTENTRIONALE

 

La Grande Alca. Incisione di Thomas Bewick, in: A History of British Birds, Volume 2, 1804

Fin dalla mia lontana indagine nelle isole scozzesi delle Orcadi, un pensiero mi ha costantemente accompagnato, a mo' di "tormentone", in tutti questi anni. Portandomi ad approfondire luoghi, circostanze, fatti, costumi e storia. 

L'antropologo, calatosi nei panni di uno Scherlock Holmes, indagando tra natura-storia-etno-antropologia, fame e… passate infamie, è andato di isola in isola, di arcipelago in arcipelago, da una sponda all'altra del grande oceano: Orcadi, Terranova, Fær Øer, St. Kilda, infine Islanda. Mettendosi testardamente sulle tracce… di un curioso animale scomparso. 

Nel tempo ho così osservato, avvicinato, conosciuto alcuni tra i luoghi dove si riproduceva. Qua uno scoglio, là una ripida scogliera, poi un isolotto, infine una grande isola. Tutti gli indizi in mio possesso facevano sì che esso fosse dato per estinto da oltre un secolo. Ma prove sulla sua esistenza non ne avevo, se non in qualche antica raffigurazione. D'altronde non era proprio così che affermavano, nel XIX secolo, alcuni studiosi con ipocrita sicumera? L'animale non era mai esistito. Chi l'aveva visto, aveva guardato male. Quindi, un puro parto di fantasia, forse solo un mito o una leggenda. Insomma, un altro dei tanti kraken dei sette mari, sia pure molto bonaccione. 

Eppure esso mi apparirà nel 1998. E' "solo" un grande uccello. Per le sue dimensioni, assomiglia a un pinguino. E ai piedi ha la sua discendenza! Un uovo… Ma non lo sta fecondando. Nonostante sia un esemplare sano e salvo - dagli altri, gli umani -. E' sì, ben conservato, ma anche altrettanto "impagliato". Al di là di una vetrina che gelosamente lo custodisce. Ricordandolo ai visitatori come uno tra gli ultimi esemplari di quella razza ancora visibili, sia pure all'interno di un'istituzione. 

Ecco infine l'alca gigante (Pinguinus Impennis), detto anche "uccello-lancia" (il geirfugel  vichingo), "becco-lancia" (spearbill - inglese - o arponaz - basco -) o, più comunemente, "pinguino del nord", nel Náttúrufræðistofnun Íslands, il Museo di Storia Naturale di Reykjavík.

L'alca gigante, appartenente alla famiglia degli alcidi, come urie e puffini, la cui presenza in Atlantico è ancora fortunatamente numerosa, aveva una caratteristica: quella di avere solo dei moncherini di ali, che non gli consentivano di volare. Ma di immergersi e di nuotare sott'acqua per catturare i pesci fino alla ragguardevole profondità di 100 m. 

Insomma, più che un uccello, ci troviamo di fronte ad una sorta di sommozzatore, che prendeva terra solo per  riprodursi, per poco più di un mese. 

Aveva un corpo grande (era alto 70 cm), grasso e muscoloso e sul terreno si muoveva con una buffa andatura ballonzolante da ubriaco. E per secoli, direi anche millenni, ha costituito un ottimo e abbondante bocconcino per gli umani. 

Perché si sono ritrovate rappresentazioni di alche nei graffiti rupestri norvegesi - 6200/2500 anni fa -. Ma anche numerosissime ossa nelle sepolture degli Indiani Marittimi arcaici di Port-aux-Choix, a Terranova - 4290/3500 anni fa -. Come avevo osservato nelle vetrine del Visitor Centre del Port au Choix National Historic Site. 

Eppure per secoli le colonie esistenti da una parte all'altra dell'Atlantico non avrebbero risentito di questa caccia.

Anche perché i singoli superpredatori umani "piluccavano" sul posto solo quanto bastava loro per la sopravvivenza. Non si erano ancora organizzati in gruppi per sterminarli scientificamente. 

Fino al tempo delle grandi imprese esplorative e commerciali dirette verso il Nord America. Ricordo solo: Jacques Cartier: "ognuna delle nostre navi ne ha messi sotto sale quattro o cinque barili, senza contare quelli che siamo riusciti a mangiare freschi" (1534) e Samuel de Champlain: "uccelli così abbondanti che si possono ammazzare a bastonate"(1620). 

Le colonie degli uccelli esistenti in Nord America davano modo agli equipaggi delle navi, che si avventuravano in quei mari subartici, di rifornirsi con  facilità di uova e carne. Le navi ben presto presero l'abitudine di ancorarsi nei pressi di alcune località ben specifiche, e gli uccelli, non solo i pinguini, diventarono l'alimento preferito di pescatori e, poi, degli stessi coloni. Più tardi ci si sarebbe riforniti anche per il viaggio di ritorno. Era infatti regola comune, per l'armatore, rifornire le navi di cibo per la sola andata.

Lo sterminio delle alche giganti si sarebbe terribilmente velocizzato quando: si iniziarono a raccogliere le uova fresche, distruggendo tutte le altre deposte da tempo (l'alca depone un solo uovo all'anno); vennero utilizzate per ricavarne olio; si raccolsero penne e piume per imbottire materassi, cuscini, sedie e poltrone. 

Nel 1802, dopo tre secoli di frequentazioni europee, l'alca gigante si estinse nel principale luogo di riproduzione di tutto il Nord America, l'isola di Funk, al largo della costa settentrionale di Terranova

Ma il massacro delle alche gridò vendetta. 

E l'ottenne, sia pure indirettamente! 

Nel XIX secolo numerosi furono i naufragi in quel settore nord-atlantico. 

Forse alcuni di essi potevano essere evitati se le alche fossero state ancora in vita. Per anni la loro numerosa presenza nelle acque dei Banchi aveva segnalato, alle navi in avvicinamento, l'approssimarsi di scogliere o di altre infide conformazioni rocciose. 

Zone, queste, dove la nebbia e il suo rapido propagarsi è una nota costante. 

Così l'English Pilot  poteva ancora avvertire nel 1774. Nel 1792 "questo sicuro punto di riferimento era oramai scomparso". 

Ancora all'inizio del XIX secolo nell'isola settentrionale di Papa Westray, nelle Orcadi scozzesi, c'era una coppia di alche. La femmina morì o venne uccisa. Un collezionista sparò al maschio nel 1813. 

Nel 1840 gli isolani di Hirta (St Kilda, Scozia) uccisero la loro ultima alca nei pressi del  faraglione di Stac An Armin, avendola scambiata per una strega. 

La presenza delle alche in queste isole è sicura, comunque, fino al 1829.

Alcuni esemplari del grande uccello rimasero in vita nell'isolotto di Eldey, un pilastro roccioso che per 77 m fuoriesce dall'oceano, al largo della costa sud occidentale dell'Islanda, a 14 Km dalla penisola di Reykjanes. 

Ancora all'inizio del secolo la colonia contava un centinaio di esemplari. Tra il 1830 e il 1843 almeno 50-73 uccelli (oltre ad un imprecisato numero di uova) passarono nelle mani dell'esportatore di Reykjavik Siemson. Finendo immancabilmente nei gabinetti naturalistici di mezza Europa. 

E sì! Perché le alche giganti erano ormai divenute autentiche rarità e, perciò, preziose per i collezionisti. Che così  contribuirono a versare a Eldey la "classica" ultima goccia letale per l'innocua razza di uccelli. 

Il 3 giugno del 1844 tre pescatori di Staður, Ketil Ketilsson, Jon Brandsson e Sigurdur Isleffsson, uccisero a bastonate due alche giganti per un collezionista, gli ultimi due esemplari della loro razza rimasti in vita in tutto il mondo. 

L'unico uovo che si trovava nel nido era già rotto!  E nel marzo del 1971 il Museo di Reykjavík acquistò per una grossa cifra, raccolta attraverso una pubblica sottoscrizione, in un'asta tenutasi da Sotheby's, a Londra, la sua alca. 

Essa aveva fatto parte della collezione di un nobile danese e, con ogni probabilità, fu a suo tempo uccisa proprio ad Eldey.

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