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domenica 14 aprile 2024

142. A PROPOSITO DEL LAVORO ANTROPOLOGICO SUL CAMPO IN UN PAESE DEL TERZO MONDO: DIFFICOLTA’, IMPREVISTI, COMPLICAZIONI, PERICOLI NEL CORSO DELLA MIA SECONDA RICERCA IN UN SUD SUDAN, NON ANCORA INDIPENDENTE

Una piroga Shilluk (scherok) si porta velocemente verso il battello che sta lentamente risalendo il Nilo Bianco, per vendere qualche mango o per permettere ad un passeggero di imbarcarsi. Sud Sudan, 1979 (© Franco Pelliccioni)


Carta politica del Sudan del 1989 (University of Texas at Austin, Perry-Castañeda Library Map Collection)

Ieri mi è casualmente capitata tra le mani la relazione ufficiale della seconda ricerca sul campo effettuata nella cittadina multietnica di Malakal, capoluogo della Provincia del Nilo Superiore, a ca. 850 km a sud di Khartoum, lungo lo storico Nilo Bianco. Reso celebre dai libri dello scrittore australiano Alan Moorhead.
Raggiunta in aereo. Non come nel 1979, quando per un intero giorno attraversai in Land Rover il deserto, fino alla cittadina di Kosti. 
Dove il giorno dopo mi sarei imbarcato a bordo di un vetusto battello a pale posteriori, che sospingeva tre chiatte (di 3 classe), ed era affiancato da altre due (di 1 e 2 classe). 
Arrivando a destinazione dopo aver lentamente risalito il Nilo per quattro lunghi e straordinari giorni!

Dopo il primo giorno di navigazione, sulla riva est del Nilo Bianco sorge l'aurora, illuminando il cielo con i suoi colori magici,1979
(© Franco Pelliccioni)


Il rapporto era indirizzato alla Fondazione Alighiero Panzironi di Roma, al CNR (Comitato Nazionale per le Scienze Economiche Sociologiche e Statistiche), al Centro per le Relazioni Italo Arabe, al Ministero degli AA.EE., all’Ambasciata d’Italia a Khartoum.

Il battello che arriva da Juba discende lentamente il fiume. Si nota un coacervo di chiatte sospinte e/o affiancate, esattamente come il mio, 1979 (© Franco Pelliccioni)

Nella cabina di comando della nave, 1979 (© Franco Pelliccioni)
 

 Nella chiatta di seconda classe di un'altra nave, che discende il fiume diretta a Kosti, soldati in uniforme o indossanti la bianca jellabia, 1979 (© Franco Pelliccioni) 

Al punto 2 facevo notare che, grazie all'AGIP, avevo potuto disporre di due fusti di benzina a Malakal, che avrebbero consentito, a me e alla collega Cecilia Gatto Trocchi (allora all'Università di Perugia), che si era aggregata alla missione, di effettuare indagini collaterali, sia tra i Mesakin Nuba (sia pure minoritari, i Nuba delle montagne del vicino Kordofan meridionale [Dar Nuba], resi celebri dalle fotografie della Leni Riefenstahl, fanno parte integrante del panorama multietnico della cittadina), che tra i Nuer del fiume Sobat.

Surveys che avrei comunque dovuto realizzare da solo. Perché la mia compianta amica Cecilia era dovuta rientrare a Roma da Khartoum. 

E che comunque non si svolsero, per la “difficile situazione in cui versa tutto il medio corso del fiume Sobat e l’area di Nasir, a causa delle frequenti scorribande di elementi Anya-Nya - guerriglieri -, che non disdegnano di assaltare autoveicoli arabi e della polizia, provocando morti e feriti.

Ricomparsi nel 1979, in coincidenza con la mia prima ricerca sul campo, gli Anya-Nya hanno ricevuto vitalità dalla diatriba politica provocata dalle recenti scoperte petrolifere nell’ambito della Regione Autonoma Meridionale. 

Guerrieri Anya-Nya ("veleno di serpente")

Durante la mia ultima permanenza nel Nilo Superiore si erano verificati anche assalti a camion, che percorrevano la pista, che collega Malakal a Khartoum, a sud della città di Renk. 

Quindi, nonostante avessi a disposizione due preziosissimi fusti di benzina (…) ho forzatamente dovuto rinunciare ai surveys, poiché non è stato possibile ottenere qualsivoglia fuoristrada in dotazione alle pochissime agenzie internazionali operanti in città. 

Mentre il commerciante arabo, che detiene il monopolio dei pochi mezzi privati funzionanti in città, non ha voluto affittarmi un autoveicolo. Terrorizzato sia dall’idea di perderlo, che di avere l’autista (arabo) ferito o ucciso. Non nascondendo, per giunta, di temere per la mia stessa incolumità.

Altro punto del rapporto, forse ancora più interessante del precedente, è il 4:

Anche durante l’ultima sessione di ricerca [1980-81] ho avuto modo di constatare come la situazione locale, nonché quella dell’intera regione meridionale, fosse precaria e certamente al limite, in particolare nei confronti dei pochi residenti europei (missionari, fratelli laici, volontari, esperti) (…)
 
In una situazione del genere le  difficoltà che si incontrano giornalmente, direi passo passo, diventano enormi, spesso insormontabili ed ogni nuova acquisizione di dati, di elementi utili per comprendere il mondo che circonda chi si “immerge sul campo”, come l’antropologo che adopera l’osservazione partecipante come tecnica fondamentale di ricerca, costa, e molto, in termini di fatica, privazioni, ecc. 

Vanno superate epidermiche reazioni di diffidenza e persino di ostilità, quasi a livello istintivo, da parte di coloro che vengono in contatto con l’operatore della cultura, e ciò anche se in ogni modo ci si sforza di mantenere la calma e la predisposizione verso gli “altri”, che non “capiscono”. 

Del resto è chiaro, è umano, che in un situazione di perenne crisi esistenziale, qual è quella che giorno per giorno vive la stragrande maggioranza dei cittadini: 
(a) scarsità di cibo, fino ad arrivare a periodi di carestia e, quindi, alla morte per fame; 

b) isolamento geografico della città, anche a causa della lunga e pesante stagione delle grandi piogge

c) tribalismo urbano (durante il mio ultimo soggiorno per futilissimi morivi sono stati uccisi in pieno centro uno Shilluk e un Jellaba (arabo), proprio quando uno dei miei assistenti di ricerca, anch’egli Shilluk, si trovava in quei paraggi per lavoro, ecc.), risulta veramente difficile, quasi “pazzesco”, cercare di capire un khaga (bianco del nord), che continua a porre domande e ad osservare come la gente vive, lavora, o si ubriaca con la merissa e l’arachi [più forte]. 

Certamente non hanno torto se, a volte, si rifiutano di ascoltarmi o cacciano in malo modo uno dei miei assistenti africani. Potrei sempre essere identificato per una spia del governo, e simpatizzare, od essere io stesso un “odiato” Northener Jellaba

Dall’altro lato, quello governativo e dell’amministrazione, si colloca una simmetrica diffidenza. 
Sembra veramente strano e sospetto che un europeo, un italiano che non sia un missionario, vada a stare male laggiù, solo per porre domande – a volte senza senso apparente – alla gente, o per vedere come gli abitanti riescono a sopravvivere e a non morire in un posto dove c’è molto poco o niente, se non la miseria, la fame e il caldo ossessivo.

Malakal, particolare di un mercato, 1979 (© Franco Pelliccioni)

Un altro mercato di Malakal, 1979 (© Franco Pelliccioni) 

Il fatto che quella del 1980-81 fosse la continuazione e l’approfondimento di un’analisi antropologica iniziata nel 1979, ha fatto sì che dalla maggior parte dei cittadini di Malakal, comunque avvicinati, nonché da diversi settori dell’amministrazione locale, ci fosse un po’ di tolleranza, se non di simpatia, a volte perfino di stretta ed amichevole collaborazione, ai fini del buon esito della mia ricerca.

In piroga con i miei due assistenti Shilluk e due pagaiatori, anch'essi Shilluk, alla ricerca di testimonianze storiche lungo il Nilo Bianco, 1980 (© Franco Pelliccioni) 

Se ci sono stati rischi per la mia incolumità, essi sono venuti in particolare nel villaggio nei pressi di Tawfikyya [insediamento abbandonato, all'inizio del XX secolo aveva 300 abitanti ed era la residenza di un Mamur egiziano], ma si trattava solo di guerrieri Shilluk ubriachi ed esaltati. In possesso di lance acuminate, si sono sentiti in grado di disturbare la raccolta di informazioni storiche che andavo raccogliendo su quella località.

(…) altre difficoltà hanno contribuito a rendere incandescente, il momento della ricerca:

1)    Il problema delle frontiere tra le regioni del nord, arabe od arabizzate, e la regione autonoma meridionale. Con un colpo di mano parlamentare le aree petrolifere del sud dovevano passare al settentrione. Ho avuto modo di apprendere come, poco prima del mio arrivo a Malakal, ci doveva essere un ammutinamento delle truppe negre di stanza nei settori meridionali, previa uccisione degli ufficiali arabi. Fortunatamente non è avvenuto;

2)   Il problema del contrabbando di armi, anche pesanti, nelle regioni meridionali, provenienti da elementi del disciolto esercito ugandese di Idi Amin penetrati illegalmente in Sudan. 

GGià parecchi mesi prima del mio arrivo c’erano state diverse razzie e contro-razzie di bestiame, ad opera di nomadi equipaggiati con armamento automatico, che avevano causato numerose perdite di vite umane.

InInfine ricordo i tradizionali contrasti tra Nuer, Dinka e Shilluk, tanto da provocare l’indizione di una conferenza dei capi dei vari gruppi tribali, con la partecipazione dei Commissioners governativi.