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lunedì 22 gennaio 2024

125. LA CULTURA SINCRETISTICA SWAHILI (COSTA DEL KENYA). DA: MAASAI. GENTI E CULTURE DEL KENYA)

Uno shiraa, il velo di una tenda, nasconde una donna Swahili dell’isola di Lamu (foto A.C. Hollis, inizio XX secolo) 

   Non sappiamo esattamente quando il termine sawāhil (plurale fratto di sāhil, la “costa”) venne impiegato per designare le zone litoranee dell’Africa orientale corrispondenti all’antica Azania, in arabo Bilād as-Zanĝ. Tale denominazione successivamente venne estesa agli stessi popoli, che vivevano sulla costa, donde il termine odierno Swahili si può riferire a quell’interessante amalgama scaturito dai secolari contatti degli originari abitanti della costa, i Bantu, con le variegate e tecnologicamente “superiori” culture asiatiche

Perché l’Alba veniva da oriente, ma era un Alba Africana[i].

   Anche se fino a non molto tempo addietro veniva generalmente misconosciuto il basilare apporto africano alla formazione della cultura Swahili, e si parlava delle città scomparse come di colonie arabe tout court, quella Swahili è una cultura sincretistica, che ha sapientemente utilizzato idee ed elementi non africani, in particolar modo nel campo tecnologico, rimanendo essenzialmente e prevalentemente africana. Le sue cittadine erano popolate da musulmani, che parlavano il kiswahili, avevano il medesimo tipo di case, moschee, fortificazioni e tombe a pilastro, utilizzavano porcellane cinesi blu e bianche, commerciavano avorio e schiavi. Fino a che, all’inizio del XIX secolo, i governanti di Zanzibar indebolirono l’attività commerciale, e così molte decaddero e vennero abbandonate. 

   Secondo gli accurati studi del Prins, uno dei più profondi conoscitori di questa cultura, i popoli che appartengono all’area della “cultura mista costiera” dovrebbero essere suddivisi in Arabi, Shirazi e Swahili propriamente detti. Se per quanto riguarda i primi non è necessario alcun cenno chiarificatore, anche se non sono completamente esenti da lontane mescolanze etniche, si deve notare che gli Shirazi rivendicano lontane origini persiane, mentre il termine Swahili dovrebbe esclusivamente essere applicato all’amalgama costituito dall’incrocio di africani, arabi e persiani. In definitiva agli africani islamizzati della costa, che parlano il kiswahili come madre lingua. Anche se, sempre secondo il Prins, queste differenziazioni non rappresenterebbero vere e proprie categorie alle quali poter ascrivere, con sufficiente sicurezza, ogni individuo. Il senso di tali termini per lo più dipenderebbe dal contesto nel quale essi vengono impiegati. Come spesso accade, fattori socio-politici condizionerebbero la scelta degli individui nel dichiararsi appartenenti al gruppo arabo, anziché a quello Shirazi, Swahili, o “africano”.

   I Swahili/Shirazi, secondo il censimento del 2009, ammonterebbero a poco più di diecimila unità[ii] 

La lingua Swahili, il Kiswahili

   Compresa tra le prime 12 lingue più rilevanti del mondo, il kiswahili appartiene alla famiglia Bantu, ma include forti apporti lessicali arabi, mentre solo più tardi avrebbe risentito dell’influenza portoghese prima, e dell’inglese, poi. Ha un’antica tradizione letteraria (cronache, opere di carattere storico, poesie[iii]) in caratteri arabi. Solo recentemente si è andato diffondendo l’uso del kiswahili in caratteri latini. Privo dei toni musicali tipici del Bantu, con una semplificata morfologia, il kiswahili deve la propria fortuna al fatto di essere stato adoperato come lingua franca nei rapporti inter-tribali, prima dagli arabi, poi dagli inglesi. La sua area di influenza nell’Africa orientale si estende dalla Somalia, a nord, al confine con il Mozambico, a sud. Spingendosi ad ovest fino al Congo. Mentre ad est tocca il gruppo delle isole Comore, al largo del Madagascar.

 

Utendi Wa Inkishafi, celebre poema che rimpiange i fasti del passato

   Una delle composizioni poetiche più belle di questa regione africana, creata circa duecento anni fa, è Al-Inkishafi, il “Risveglio dell'anima”[iv]. Poema lungo 79 strofe traslitterato e tradotto da Hitchens (1972)[v]. Venne composto tra il 1810 e il 1820 da Sayyid Abdallah bin Ali Nasir (1720-1820). È considerato dagli studiosi il più bel poema in lingua Swahili. Ci racconta le meraviglie dell’isola di Pate (arcipelago di Lamu) e di un mondo ormai scomparso[vi]. Oltre ad essere un accorato rimpianto-nostalgia per la gloria della civiltà Swahili di un tempo, cioè dello zamani (“passato), costituisce anche un “avvertimento per tutti coloro che cercano la salvezza accumulando tesori sulla terra[vii].

   Ecco alcune strofe:

   “I grandi uomini di Pate vivevano in splendide case caratterizzate da un'illuminazione aggraziata, splendidi utensili e strati su strati di abiti fantasiosi. In queste case, allegria e gioia erano all'ordine del giorno/ Ci viene detto: Le loro dimore illuminate brillavano di lanterne di cristallo e ottone/ Le notti passavano come giorni/ Circondati erano di fama e onore/ Abbelliti erano da porcellane selezionate/ E ogni calice era inciso/ In mezzo a loro collocavano brocche di cristallo/ Tra ornamenti incantevoli/ Strati di abiti fantasiosi/ Lo giuro su Dio, Signore/ Abbondante era il legno di teak ed ebano/ Strati su strati/  Le sale degli uomini risuonavano/ e quelle interne vibravano/ Con voci di schiavi e servi/ La felicità e l'allegria risuonarono (…) Le camere da letto di queste case avevano letti e materassi lussuosi/ Dormivano: In attraenti camere da letto/ In letti dotati di materassi/ Cuscini verdi alla testa e ai piedi/ Ricamati con squisita finezza/ Tessuti incantevoli che avevano/ a baldacchino sopra i divani/ Cosparso di acqua profumata/ E profumato di legno di sandalo ed essenza di rose”.

   Pate indubbiamente era la più ricca di tutte, se. “divenne proverbiale che i nobili salivano su scale d'argento in letti d'avorio, ma abbiamo una descrizione dei ricchi uomini di Pate che inarcano i loro lunghi colli e agitano le loro braccia dalle molte articolazioni verso la gente comune, che li fissa, un comportamento, questo, africano, certo non arabo[viii].

 

NOTE



[i] Mathew, 1973: 52.

[ii] Il gruppo Swahili (composto da Amu, Bagiuni, Chitundi, Jomvu, Munyoyaya, Mvita, Ngare, Pate, Siu, Vumba, Wachangamwe, Wafaza, Wakatwa, Wakilifi, Wakilindini,  Wamtwapa, Washaka, Watangana, Watikuu) comprenderebbe 110.614 individui (“Population and Housing Census e Ethnic Affiliation”, 2011 (Web Page 13.11.2022).  

[iii] Mashairi. Ecco Swifa za Mahaba (“Elogio dell'Amore”), una poesia d’amore: “Dammi una lavagna di legno indiano, inchiostro e una penna preziosa, lascia che loda l'amore per te/ È entrato nel mio cuore certo, o pupilla del mio occhio, sei come un fresco antimonio/ Mi prenderò cura di te, vieni da me, come mio figlio maggiore, il tuo amore non è forte la metà del mio/ Permettimi di lodare l'amore per te/ lascia che ti dica cosa sento, in modo che tu possa guardare nel mio cuore/ Il mio cuore è pieno d'amore, se avesse un coperchio, Lo aprirei per te./ Per te lo aprirei, affinché tu possa conoscere il mio amore, sta facendo esplodere il mio essere più intimo/ Mi sta spaccando dentro, eppure non provo dolore, tanto ti amo/ La gioia è il frutto dell'amore, quando il mio scopo [per farmi amare] è compiuto/ Ti farò un regalo per tutta la vita/ Non ti lascerò per tutta la vita, finché la morte non possa seguire, possiamo vivere nell'affetto reciproco”.

L’originale Swahili: “Nipa loho ya kihindi/ wino na kalamu kandi nikuswifie mapendi./Yameningia moyoni kwa sahihi ya aini kana wanja wa machoni./ 'Takutunza uje kwangu kana wa kwanza mwanangu yako si nusu wa yangu/Mapendi nikuswifie nilo nayo nikwambie moyoni unangalie/Umejaa pendo lako Lau una kifiniko ningalifunua kwako/Kwako ningalifunuwa mahaba ukayajuwa

 ya ndani huyapasuwa/ Hunipasuwa ya ndani wala uchungu sioni kwa kukupenda fulani/Sururi tunda ya huba yatimupo matilaba/  .../   .../ heyati takupa hiba./Sikuachi kwa heyati /hata yafwate mauti/na tuishi kwa widati” (Jan Knappert, Four Centuries of Swahili Verse, Londra, 1979).

[iv] Vedi anche Kithaka wa Mberia, “Al-Inkishafi: A Ninteenth Century Swahili Poem”, International Journal of Liberal Arts and Social Science, 3, 3 marzo, 2015, University of Nairobi, PDF 29.22.2022. W. Hichens (1972: 7).

[v] Oltre mezzo secolo fa fui introdotto alla poesia Swahili grazie al libro curato da Lyndon Harries: Swahili Poetry, che recensii per la rivista Africa di Roma (marzo 1968).

[vi] Centro del sultanato di Pate dall'inizio del XIII secolo fino al 1895. Il XVIII secolo è stata la sua "età d'oro”. La città, all'apice del suo potere, prosperava nelle belle arti. Venivano costruite le case più belle della costa Swahili. Gli orafi realizzavano gioielli elaborati. I falegnami producevano raffinati mobili in legno. Famosa era la realizzazione dello strumento musicale del Siwa (Wikipedia “Pate Island”, 27.11.2022). Thomas Boteler, che visitò Pate nel 1823, vide le rovine del forte portoghese. Tutto il resto sembrava però assai povero (Thomas Boteler, Narrative of a Voyage of Discovery to Africa and Arabia, Londra, 1835).

[vii] Davidson, 1966: 303.

[viii] Matthew, 1973: 51.

(DA: MAASAI.  GENTI E CULTURE DEL KENYA, COLLANA: VIAGGI E RICERCHE DI UN ANTROPOLOGO TRA VECCHIO E NUOVO MONDO, VOL. 20)

 

versione a colorihttps://www.amazon.it/dp/B0CPSNZ9BW 

versione in bianco e nerohttps://www.amazon.it/dp/B0CPVC5QBM

Versione cartacea a colori di grande formato (174 pp. e 173 foto, di cui 94 a colori "premium"). Oltre ad una versione in bianco e nero e all'E-Book. Infine una versione non illustrata, che può essere utilmente impiegata nei corsi di Antropologia Culturale, Etnologia, Storia dell'Africa, Storia e Istituzioni dei Paesi afro-asiatici, Geografia, contiene le seguenti carte e mappe del Kenya: politica; fisica; demografica; etnografica; Periplo del Mare EritreoOperazione di “pattugliamento” militare tra i TurkanaPercorso della spedizione Teleki-von Hohnel ai laghi Rodolfo e Stefanie;  Distribuzione delle tribù Somale; Villaggi dei Bon nel distretto di Lamu; Mappa dell'area meridionale Galla e Waboni insieme ai paesi somali adiacenti: dopo i suoi viaggi del 1866 e 1867 di von R. Brenner".
 
Il libro, come indicato dal sottotitolo, è una rassegna etno-antropologica delle principali tribù kenyote. Suddivise in base a economia, lingua, rapporto con il territorio e con gli altri popoli

Il titolo "Maasai" è stato invece scelto per celebrare un popolo le cui imprese guerresche hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell'Africa e nell'immaginario collettivo europeo. A questi nomadi pastori ho dedicato uno dei capitoli più corposi del libro. Perché, ampiamente conosciuti attraverso la letteratura e la filmografia, costituirono una formidabile barriera fisica alla penetrazione dell’interno. Le loro razzie li spingeranno anche a molta distanza dalla loro terra. Solo un coraggioso giovanotto inglese riuscirà ad attraversare per primo la loro pericolosa terra. Giungendo fino al lago Victoria. Il capitolo include anche elementi poco noti. Come il “governo diffuso” e le profezie del grande laibon Mbatian.

Grazie ai miei diari, ho integrato e vivacizzato il testo, con narrazioni “dal vivo” di fatti, luoghi, situazioni, imprevisti, stati d’animo, emozioni, incontri con “l’altro da noi”. Così è anche un libro sul Kenya, come l’ho conosciuto e apprezzato durante i miei due lunghi soggiorni di ricerca antropologica effettuati nel 1976 e nel 1980.

PAGINA AUTORE ITALIA;

https://www.amazon.it/Franco-Pelliccioni/e/B01MRUJWH1/ref=dp_byline_cont_book_1

 

lunedì 3 ottobre 2022

67. UN RACCONTO ESOTICO-ETNOLOGICO GIOVANILE: SECONDA PUNTATA (ROMA-KHARTOUM-ENTEBBE-NAIROBI)

Il lago Rodolfo, oggi Turkana (da: von Höhnel, 
Discovery of lakes Rudolf and Stefanie; a narrative of
Count Samuel Teleki's exploring & hunting expedition
in eastern equatorial Africa in 1887 & 1888,
Londra, 1894
)
A sedici anni (1962-63) ho scritto il mio unico romanzo. Purtroppo è rimasto incompiuto... Il protagonista è un etnologo italiano, poiché allora ero attratto dall'Etnologia. Oltre a raccontare anche dell'amore tra lui e un'affascinante, ma molto gelosa, donna, basandomi sulla letteratura di viaggio ed etno-antropologica in mio possesso (e sulle ricerche  effettuate nelle Biblioteche dell'Istituto Italo-Africano e del Museo Pigorini, al Collegio Romano), ho cercato di descrivere l'ambiente tropicale, la fauna, alcuni popoli.  Ho anche lasciato inalterato il testo. 
[I puntata: 23.9] 

NELL’ISTITUTO ITALIANO PER L’AFRICA, ROMA, 1962

I soliti convenevoli tra il Dott. Rossi e Rovi: Come state? Bene, grazie. Come sta sua moglie? Il viaggio come è andato? Ecc

Giorgio Rovi, così si chiama lo studioso, affrontò l’argomento che lo interessava.

- Ho intenzione di ripartire sabato sera con la B.O.A.C. per Nairobi, desidero soggiornare presso i Turkana del Rodolfo.

- Se posso fare qualcosa per lei me lo dica, mi sembra che non le ho mai negato alcun favore, risponde Rossi

- Certamente! L’unica cosa che vorrei è che lei mi desse una lettera dj presentazione per il Prof. Giorgetti, che è distaccato a Nairobi, in modo da accompagnarmi nella mia spedizione (se possiamo chiamarla così nel 1962), verso il nord-ovest del Kenya.

- Senz’altro!

Salirono entrambi le scale, che portavano fuori della biblioteca, quindi l’ascensore, infine l’ufficio. Il dottore stilò in breve tempo una lettera, che consegnò a Giorgio.

Ringraziò, stretta di mano e di nuovo giù. Dopo aver salutato la signorina e l’usciere, risalì sulla Jaguar. Pioveva ancora.

Il giallo della macchina era diventato più scuro, il suo “bidone” era quasi del tutto infangato. Pensò tra sé e sé: “deve essere quel maledetto pulviscolo radioattivo portato da tutte quelle bombe atomiche, che russi e americani, per uno sciocco puntiglio di prestigio, si sono ostinati a sperimentare (Ma che sciocchezza sto dicendo. Sto diventando peggio di una donnetta! Mah…)

Ingranò la marcia, e via. Non volle correre troppo forte. Una frenata improvvisa ed addio Kenya!

Dopo essere giunto nel suo appartamento, si riposò un istante. Trasse dal mobile bar la bottiglia di Haig’s, riempii un bicchierino fino all’orlo, lo trangugiò tutto di un fiato. Si adagiò sulla poltrona preferita. Una telefonata e prenotò il posto dell’aereo. Tutto bene, pensò!  

DA ROMA A NAIROBI, VIA ENTEBBE, UGANDA

Da molte ore il DC 8 si era lasciata dietro la tanto noiosa, ma tanto amata, Roma e, con lei, l’Italia. Il Mare Nostrum era già stato sorvolato, e così il Cairo.

A Khartoum, uno dei pochi scali della linea, che arriva fino a Johannesburg e da lì a Cape Town, Rovi volle fare una deviazione - così, per capriccio - al programma che si era preventivamente fissato. Infatti, insieme a pochi altri europei prese una carretta di un trimotore, che gli ricordava i vecchi Caproni. La “signorina”, così era stato battezzato l’aereo dagli scherzosi piloti inglesi, lo portò ad Entebbe.

Il giardino botanico di Entebbe, 1971 (CC Some rights reserved, Guus Gorter) 

Una volta capitale dell’Uganda, famosa per il clima eternamente primaverile, Entebbe sorge in riva al Victoria. Conserva tuttora edifici inglesi di stile coloniale.

Giorgio era la terza volta che vi ritornava e francamente lo faceva volentieri.

- Che peccato! Pensò. Dato che la sosta era solo di poche ore. Vorrà dire che ne approfitterò per andare a bere un goccetto al Safari Hotel.

Al bar fece la conoscenza di una coppia di giovani inglesi, che si recavano nel Kenya per un safari.

Lui, tipo sportivo, sui 25 anni, laureato ad Oxford in filosofia, abile giocatore di rugby, fin da bambino aveva sognato di effettuare una partita di caccia grossa nel Continente Nero. 

Lei, una bella ragazza bionda sui vent’anni, aveva occhi azzurri, dita affusolate, un naso un po’ lungo, ma molto dritto, una bocca larga, con labbra lievemente carnose, ma molto ben tagliate. Molto alta, aveva delle belle gambe e anche un bel seno da quello che si poteva scorgere dal vestito. Nel complesso un bel tipino, che aveva indubbiamente attirato la cupidigia - prontamente repressa - dell’italiano.

Accompagnava il marito nel suo viaggio – sebbene di malavoglia – e avrebbe fatto le funzioni di fotografa.

Non sapevano una parola di kiswahili e quindi Giorgio ordinò per tutti tre Martini “Maui mbile” [doppio] al boy negro.

Sorseggiarono il liquido gelato un po’ per volta e incominciarono a parlare del più e del meno.

John parlò del suo passato di professore e del suo futuro; Giorgio disse il motivo per cui andava in Kenya.

- Ma lei passa la sua vita tra quelle genti primitive e selvagge, che neppure lontanamente si sognano cosa sia la civiltà mentre, continuò John, lei con il suo denaro potrebbe fare la “dolce vita” in Italia. Goda delle bellezze che Madre Natura ha concesso alla vostra penisola e magari si faccia dei viaggetti – se ama viaggiare - sulla Costa Azzurra o, magari, a Rio!

- A parte il fatto che sarei defraudato della mia dignità se non facessi nulla – rispose Rovi -lei si è laureato in filosofia ed insegna in un College, io mi sono specializzato in Etnologia e studio i popoli protomorfi “in loco”. Non mi sembra che ci sia nulla di strano! Due passioni, due mestieri (se il mio si può chiamarlo in questo modo).

- Perché non la finite di discutere? Tra poco l’aereo riparte e il pulmino sta aspettandoci! Continuerete in volo il vostro scambio di idee, s’intromise Milly

- Va bene, disse Giorgio.

- Okay, disse John.

Il pulmino Volkswagen li riportò all’aerostazione, dove salirono sull’aereo, insieme a molte altre persone di diverse condizioni sociali e di differenti razze. Tutti avevano come unica destinazione il Kenya.

Giornalisti, fotoreporters, facoltosi e vecchi industriali o comunque magnati americani con le consuete giovani mogli, che regolarmente avrebbero messo le corna ai rispettivi anziani mariti, farmers inglesi, Kikuyu laureatisi nelle migliori università europee ed americane e, forse, anche nell’Università Lumumba di Mosca. Vecchi “coloniali” inglesi affetti dal mal d’Africa, e così via.

Francobollo russo del 1960. L'Università Lumumba di Mosca. Oggi Università russa dell'amicizia tra i popoli
   (RUDNРоссийский университет дружбы           народов)

I motori dell’aereo furono accesi, l’apparecchio cominciò a rollare sulla pista, prima pian piano, poi sempre più velocemente, fino a che le ruote anteriori e quelle posteriori non abbandonarono il cemento armato. Via per il Kenya!

Addio Uganda, terra di foreste, steppe, grandi fiumi, laghi meravigliosi! Addio Montagne della Luna!

Lago Victoria, 1968

In breve tempo, l’aereo sorvolò a bassa quota il Victoria Nyanza. 

Il secondo lago al mondo per superficie era solcato regolarmente da battelli più o meno grossi (quando il lago è in burrasca, le onde raggiungono anche l’altezza di qualche metro). 

Quasi indistintamente, lungo le insenature della costa, si poteva scorgere l’attività dei pescatori Kavirondo. Con il loro primitivo metodo di pesca, potevano trarre di che sostentarsi. Uno “sbarramento” fatto di papiri mesi uno accanto all’altro, era portato al largo con delle zattere. Trascinato poi a riva, in qualche piccolo seno, i poveri pesciolini, che venivano intrappolati nella rozza gabbia, non avevano più scampo, se non quello di andare a finire in “padella”.

Pescatori Luo del Lago Victoria, 1949 (CC some rights reserved, Emile Dubois)

Coltivatrici Kavirondo (da: Peter MacQueen, In wildest Africa: the record of a hunting and exploration trip through Uganda, Victoria Nyanza, the Kilimanjaro region and British East Africa, with an account of an ascent of the snowfields of Mount Kibo, in East Central Africa, and a description of the various native tribes, 1910)


Giorgio era assorto in quei pensieri, quando Milly, che era seduta un po’ distante dal marito, gli fece una domanda – a dir poco - imbarazzante…

-È vergine? Disse la graziosa inglesina.

Giorgio strabuzzò un po’ gli occhi, per sincerarsi che non stava dormendo, poi:

- Lei mi fa una domanda alla quale non so se posso rispondere.

- Milly: Vede, so che tutti coloro che hanno la possibilità di andare in Africa (e lei ci è andato spesse volte), riescono sempre più ad accoppiarsi (scusi la parola) con qualche ragazza anche se negra! -  e incominciò a guardarlo fisso negli occhi.

Giorgio non era per niente timido, però quella domanda, fatta in tono molto pacato, quegli occhi di un colore così azzurro, che lo guardavano insistentemente nei suoi occhi, il fatto che Milly fosse sposata e lui no… ebbene tutto ciò lo rese alquanto nervoso.

Prese la sua pipa, la caricò con del tabacco “Prince Albert”, l’accese e tirò una, due boccate. Si volse verso Milly.

- Non sono vergine -, disse in maniera piuttosto asciutta ed anche un po’ seccata.

- Milly, sempre non distogliendo il suo sguardo dai suoi occhi… - Me lo sarei immaginato! Un tipo, diciamo all’italiana, “fusto” come lei, non poteva non aver provato l’amore. Con chi?

- Mi scusi se la interrompo, disse l’etnologo.

- Steward tra quanto tempo si atterra a Nairobi?

- Tra una decina di minuti, signore.

Nessuno dei due parlò più. Milly pensò che aveva fatto una “gaffe”, era stata troppo invadente! Una domanda indiscreta. Forse, pensò, era stato l’effetto di quel Martini “Malui” o come diavolo era stato chiamato, che l’aveva resa così euforica e priva di inibizioni.

L’uccello d’acciaio stava sorvolando quel caratteristico fenomeno geologico che si stende dal lago di Tiberiade in Palestina, fino alla regione dei Grandi Laghi ed oltre, che aveva il nome di Rift Valley o Valle Spaccata. 

Era stato proprio l’attraversamento di quella frattura che molti anni prima, nella costruzione della ferrovia dall’isola di Mombasa a Kampala, aveva causato la perdita di molte vite umane.

Ormai la meta era molto vicina.

Dopo aver piegato a destra, l’aereo si preparò ad atterrare.

Il grande apparecchio si abbassò sulla pista, sobbalzò un poco, frenò, voltò e si diresse verso gli edifici dell’aerodromo.  

NAIROBI

La grande capitale del Kenya indipendente è l’unico centro di tutta l’East Africa che si possa designare con il nome di città. Grattacieli, ampie vie, negozi elegantissimi come si possono trovare a Via Frattina o a Via del Tritone. Grandi magazzini di vendita al minuto tipo Standa trovano anche qui i loro clienti. Bungalows nei sobborghi e se vogliamo, anche le bidonvilles, gli slums dove vivono tutti gli urbanizzati Kikuyu, Masai, Kipsigi, Nandi, e chi più ne ha, più ne metta… 

Anche in Africa esiste il fenomeno dell’urbanesimo che, più che in Europa, date le ataviche tradizioni tribali, assume un aspetto ben più preoccupante. Gli agricoltori, in questo caso dobbiamo dire gli allevatori di bestiame, che vanno nella città per lavorare, o di solito, per cercare di sbarcare alla meglio il lunario facendo un po’ di tutto, dal ruffiano alla prostituta, creano vuoti spaventosi nelle file delle tribù. Queste vengono a trovarsi nella maggior parte dei casi senza uomini. Solo bambini, donne e vecchi rimangono nelle loro capanne. I popoli primitivi così, come per molte altre ragioni, sono destinati all’estinzione. Comunque questo è un problema che va trattato in separata sede, e non qui.

Nairobi, ca. 1950

Ritornando a Nairobi, questa si può definire la Johannesburg del Kenya. La sua popolazione, rispetto a quella del ricco centro minerario ed industriale del Transvaal, è esigua: non più di 297.000 abitanti, compresi europei, indiani e, naturalmente, gli arabi.

A Nairobi fanno capo le più importanti linee aeree dell’intero continente. 

“Il centro dell’acqua”, così vuol dire in Masai, è la capitale del turismo equatoriale e punto di partenza dei safari. Solo Arusha, nella East Africa ex britannica, le può fare concorrenza.

CONTINUA


Nairobi e la ferrovia Mombasa Kampala figurano nel Cap. 3 del mio libro Amazon (E-Book e versioni cartacee a colori e in  bianco e nero): IL GIRO DEL MONDO… IN 15 TRENI: TRANSCONTINENTALI E DI LUSSO, DI PENETRAZIONE COLONIALE E MILITARE, DEI CERCATORI D’ORO, DEGLI HAJJI, “ALPINISTICI”



PAGINA AUTORE ITALIA

PAGINA AUTORE USA

p.s. Attualmente (novembre 2022) sto lavorando alla stesura di una: BREVE INTRODUZIONE ETNO-ANTROPOLOGICA AI POPOLI DEL KENYA.
IN QUESTO PAESE DELL’AFRICA ORIENTALE HO AVUTO MODO DI EFFETTUARE DUE SESSIONI DI RICERCA. LA PRIMA NELLA CITTA’ MULTIETNICA E MULTICULTURALE DI ISIOLO, A NORD DEL MONTE KENYA. LA SECONDA TRA I POPOLI NOMADI, TRANSUMANTI E SEDENTARI (TURKANA, MERILLE, BORANA, RENDILLE, ELMOLO) LOCALIZZATI INTORNO ALLE SPONDE DEL LAGO TURKANA (GIÀ RODOLFO), KENYA NORD-OCCIDENTALE.