Uno shiraa, il velo di una tenda, nasconde una donna Swahili dell’isola di
Lamu (foto A.C. Hollis, inizio XX secolo) |
Perché l’Alba veniva da oriente, ma
era un Alba Africana”[i].
Anche se fino a
non molto tempo addietro veniva generalmente misconosciuto il basilare apporto
africano alla formazione della cultura Swahili, e si parlava delle città
scomparse come di colonie arabe tout court, quella Swahili è una
cultura sincretistica, che ha sapientemente utilizzato idee ed elementi non
africani, in particolar modo nel campo tecnologico, rimanendo essenzialmente e
prevalentemente africana. Le sue cittadine erano popolate da musulmani, che
parlavano il kiswahili, avevano il medesimo tipo di case, moschee,
fortificazioni e tombe a pilastro, utilizzavano porcellane cinesi blu e
bianche, commerciavano avorio e schiavi. Fino a che, all’inizio del XIX secolo,
i governanti di Zanzibar indebolirono l’attività commerciale, e così molte
decaddero e vennero abbandonate.
Secondo gli
accurati studi del Prins, uno dei più profondi conoscitori di questa cultura, i
popoli che appartengono all’area della “cultura mista costiera” dovrebbero
essere suddivisi in Arabi, Shirazi e Swahili propriamente
detti. Se per quanto riguarda i primi non è necessario alcun cenno
chiarificatore, anche se non sono completamente esenti da lontane mescolanze
etniche, si deve notare che gli Shirazi rivendicano lontane origini
persiane, mentre il termine Swahili dovrebbe esclusivamente essere
applicato all’amalgama costituito dall’incrocio di africani, arabi e persiani.
In definitiva agli africani islamizzati della costa, che parlano il kiswahili
come madre lingua. Anche se, sempre secondo il Prins, queste differenziazioni
non rappresenterebbero vere e proprie categorie alle quali poter ascrivere, con
sufficiente sicurezza, ogni individuo. Il senso di tali termini per lo più
dipenderebbe dal contesto nel quale essi vengono impiegati. Come spesso accade,
fattori socio-politici condizionerebbero la scelta degli individui nel
dichiararsi appartenenti al gruppo arabo, anziché a quello Shirazi, Swahili,
o “africano”.
I Swahili/Shirazi,
secondo il censimento del 2009, ammonterebbero a poco più di diecimila unità[ii].
La lingua Swahili, il Kiswahili
Compresa tra le prime 12 lingue più rilevanti del mondo, il kiswahili
appartiene alla famiglia Bantu, ma include forti apporti lessicali
arabi, mentre solo più tardi avrebbe risentito dell’influenza portoghese prima,
e dell’inglese, poi. Ha un’antica tradizione letteraria (cronache, opere di
carattere storico, poesie[iii]) in
caratteri arabi. Solo recentemente si è andato diffondendo l’uso del kiswahili
in caratteri latini. Privo dei toni musicali tipici del Bantu, con
una semplificata morfologia, il kiswahili deve la propria fortuna al
fatto di essere stato adoperato come lingua franca nei rapporti inter-tribali,
prima dagli arabi, poi dagli inglesi. La sua area di influenza nell’Africa
orientale si estende dalla Somalia, a nord, al confine con il Mozambico, a sud.
Spingendosi ad ovest fino al Congo. Mentre ad est tocca il gruppo delle isole
Comore, al largo del Madagascar.
Utendi Wa Inkishafi, celebre poema che rimpiange i
fasti del passato
Una delle composizioni poetiche più belle di questa regione africana,
creata circa duecento anni fa, è Al-Inkishafi, il “Risveglio dell'anima”[iv]. Poema
lungo 79 strofe traslitterato e tradotto da Hitchens (1972)[v].
Venne composto tra il 1810 e il 1820 da Sayyid Abdallah bin Ali Nasir
(1720-1820). È considerato dagli studiosi il più bel poema in lingua Swahili.
Ci racconta le meraviglie dell’isola di Pate (arcipelago di Lamu) e di un mondo
ormai scomparso[vi]. Oltre ad
essere un accorato rimpianto-nostalgia per la gloria della civiltà Swahili
di un tempo, cioè dello zamani (“passato), costituisce anche un “avvertimento
per tutti coloro che cercano la salvezza accumulando tesori sulla terra”[vii].
Ecco alcune
strofe:
“I grandi
uomini di Pate vivevano in splendide case caratterizzate da un'illuminazione
aggraziata, splendidi utensili e strati su strati di abiti fantasiosi. In
queste case, allegria e gioia erano all'ordine del giorno/ Ci viene detto: Le
loro dimore illuminate brillavano di lanterne di cristallo e ottone/ Le notti
passavano come giorni/ Circondati erano di fama e onore/ Abbelliti erano da
porcellane selezionate/ E ogni calice era inciso/ In mezzo a loro collocavano
brocche di cristallo/ Tra ornamenti incantevoli/ Strati di abiti fantasiosi/ Lo
giuro su Dio, Signore/ Abbondante era il legno di teak ed ebano/ Strati su
strati/ Le sale degli uomini
risuonavano/ e quelle interne vibravano/ Con voci di schiavi e servi/ La
felicità e l'allegria risuonarono (…) Le camere da letto di queste case avevano
letti e materassi lussuosi/ Dormivano: In attraenti camere da letto/ In letti
dotati di materassi/ Cuscini verdi alla testa e ai piedi/ Ricamati con squisita
finezza/ Tessuti incantevoli che avevano/ a baldacchino sopra i divani/
Cosparso di acqua profumata/ E profumato di legno di sandalo ed essenza di rose”.
Pate indubbiamente
era la più ricca di tutte, se. “divenne proverbiale che i nobili salivano su
scale d'argento in letti d'avorio, ma abbiamo una descrizione dei ricchi uomini
di Pate che inarcano i loro lunghi colli e agitano le loro braccia dalle molte
articolazioni verso la gente comune, che li fissa, un comportamento, questo,
africano, certo non arabo”[viii].
NOTE
[i] Mathew,
1973: 52.
[ii] Il
gruppo Swahili (composto da Amu, Bagiuni, Chitundi, Jomvu, Munyoyaya,
Mvita, Ngare, Pate, Siu, Vumba, Wachangamwe, Wafaza, Wakatwa, Wakilifi,
Wakilindini, Wamtwapa, Washaka,
Watangana, Watikuu) comprenderebbe 110.614 individui (“Population and
Housing Census e Ethnic Affiliation”, 2011 (Web Page 13.11.2022).
[iii] Mashairi.
Ecco Swifa za Mahaba (“Elogio dell'Amore”), una poesia d’amore: “Dammi
una lavagna di legno indiano, inchiostro e una penna preziosa, lascia che loda
l'amore per te/ È entrato nel mio cuore certo, o pupilla del mio occhio, sei
come un fresco antimonio/ Mi prenderò cura di te, vieni da me, come mio figlio
maggiore, il tuo amore non è forte la metà del mio/ Permettimi di lodare
l'amore per te/ lascia che ti dica cosa sento, in modo che tu possa guardare
nel mio cuore/ Il mio cuore è pieno d'amore, se avesse un coperchio, Lo aprirei
per te./ Per te lo aprirei, affinché tu possa conoscere il mio amore, sta
facendo esplodere il mio essere più intimo/ Mi sta spaccando dentro, eppure non
provo dolore, tanto ti amo/ La gioia è il frutto dell'amore, quando il mio
scopo [per farmi amare] è compiuto/ Ti farò un regalo per tutta la vita/
Non ti lascerò per tutta la vita, finché la morte non possa seguire, possiamo
vivere nell'affetto reciproco”.
L’originale Swahili: “Nipa loho ya kihindi/
wino na kalamu kandi nikuswifie mapendi./Yameningia moyoni kwa sahihi ya aini
kana wanja wa machoni./ 'Takutunza uje kwangu kana wa kwanza mwanangu yako si
nusu wa yangu/Mapendi nikuswifie nilo nayo nikwambie moyoni unangalie/Umejaa
pendo lako Lau una kifiniko ningalifunua kwako/Kwako ningalifunuwa mahaba
ukayajuwa
ya ndani
huyapasuwa/ Hunipasuwa ya ndani wala uchungu sioni kwa kukupenda fulani/Sururi
tunda ya huba yatimupo matilaba/
.../ .../ heyati takupa
hiba./Sikuachi kwa heyati /hata yafwate mauti/na tuishi kwa widati” (Jan
Knappert, Four Centuries of Swahili Verse, Londra, 1979).
[iv] Vedi
anche Kithaka wa Mberia, “Al-Inkishafi: A Ninteenth Century Swahili Poem”, International
Journal of Liberal Arts and Social Science, 3, 3 marzo, 2015, University of
Nairobi, PDF 29.22.2022. W. Hichens (1972: 7).
[v] Oltre
mezzo secolo fa fui introdotto alla poesia Swahili grazie al libro
curato da Lyndon Harries: Swahili Poetry, che recensii per la rivista Africa
di Roma (marzo 1968).
[vi] Centro
del sultanato di Pate dall'inizio del XIII secolo fino al 1895. Il XVIII secolo
è stata la sua "età d'oro”. La città, all'apice del suo potere, prosperava
nelle belle arti. Venivano costruite le case più belle della costa Swahili.
Gli orafi realizzavano gioielli elaborati. I falegnami producevano raffinati
mobili in legno. Famosa era la realizzazione dello strumento musicale del Siwa
(Wikipedia “Pate Island”, 27.11.2022). Thomas Boteler, che visitò Pate nel
1823, vide le rovine del forte portoghese. Tutto il resto sembrava però assai
povero (Thomas Boteler, Narrative of a Voyage of Discovery to Africa and
Arabia, Londra, 1835).
[vii]
Davidson, 1966: 303.
[viii]
Matthew, 1973: 51.
(DA: MAASAI. GENTI
E CULTURE DEL KENYA, COLLANA: VIAGGI E RICERCHE DI UN
ANTROPOLOGO TRA VECCHIO E NUOVO MONDO, VOL. 20)
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Il titolo "Maasai" è stato invece scelto per
celebrare un popolo le cui imprese guerresche hanno lasciato un segno
indelebile nella storia dell'Africa e nell'immaginario collettivo europeo. A
questi nomadi pastori ho dedicato uno dei capitoli più corposi del libro. Perché,
ampiamente conosciuti attraverso la letteratura e la filmografia, costituirono
una formidabile barriera fisica alla penetrazione dell’interno. Le loro razzie
li spingeranno anche a molta distanza dalla loro terra. Solo un coraggioso
giovanotto inglese riuscirà ad attraversare per primo la loro pericolosa terra.
Giungendo fino al lago Victoria. Il capitolo include anche elementi poco noti.
Come il “governo diffuso” e le profezie del grande laibon Mbatian.
Grazie ai miei diari, ho integrato e vivacizzato il
testo, con narrazioni “dal vivo” di fatti, luoghi, situazioni, imprevisti,
stati d’animo, emozioni, incontri con “l’altro da noi”. Così è anche un libro
sul Kenya, come l’ho conosciuto e apprezzato durante i miei due lunghi
soggiorni di ricerca antropologica effettuati nel 1976 e nel 1980.
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