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mercoledì 15 dicembre 2021

6. AREE GEOGRAFICHE E CULTURALI 1. LA FASE SUDAMERICANA “VIRTUALE”: 13/14-19/20 anni d’età, ca.: 1960-1966

 


Lotta tra indios nel Parque do Xingu 
( Marcello Casal- Agência Brasil)

PREMESSA

In più di un’occasione chi mi conosceva da poco tempo (colleghi, membri della Società Geografica Italiana, redattori del mio giornale) si domandava se fossi sempre io lo stesso antropologo, che aveva fatto ricerca in Africa, o tra gli eschimesi del Canada. 

Del resto nella Storia dell’Antropologia figurano diversi grossi personaggi, che hanno indirizzato i loro interessi con uguale efficacia, sia verso i tropici, che verso l’Artico. 

Il mio percorso esistenziale e scientifico nei decenni mi ha portato in continenti diversi. 

A partire, sia pure “virtualmente”, dall’età adolescenziale. 

Quando i miei studi erano pressoché completamente focalizzati sul Sud America.

Ma c’è ancora un'altra domanda che spesso mi è stata rivolta. Riguarda la mia laurea in Economia e Commercio, certamente ben lontana da quella in Lettere, forse più consona per un futuro antropologo. 

Ciò si deve al fatto che mia madre voleva che avessi un diploma, per poter lavorare (mio fratello non era riuscito a conseguire la licenza liceale). 

Così nel 1965, quando mi sono diplomato Ragioniere e Perito Commerciale, la Facoltà di Economia e Commercio era quasi l’unica alla quale poter accedere in quel periodo. 

Anche se, usufruendo di un Piano di Studi “aperto”, sarò in grado di sostenere esami in discipline insegnate a Lettere, Scienze Politiche, Magistero.

Ho ancora da dire qualcosa sull’Istituto Tecnico Maffeo Pantaleoni, dove entrai nel 1960. 

La mia sezione, la C, era sperimentale. 

Disponeva di tutti i laboratori. Invece di un anno di dattilografia, se ne fecero due (tolsero la Calligrafia). 

Il mio corpo docente era estremamente selezionato. 

Tutti i miei insegnanti avevano pubblicato libri, compreso quello di Religione, che era stato Cappellano della Folgore e ad El Alamein. Per quanto riguarda l’inglese, oltre a studiare la lingua direttamente sui libri della Oxford University Press (a quei tempi una didattica invero rivoluzionaria), ci si basava sulla grammatica di Gremigni, il mio professore, che l’aveva scritta assieme ad Amato (sarà mio insegnante all’Università). 

I.T.C. Maffeo Pantaleoni, V sez. C, a.s. 1964-65.
Sono il terzo da sinistra, in alto. Sono immensamente grato a Luisa Natali, alias "Tip Tap" su Facebook, per averla "postata" nel Gruppo del Pantaleoni 

Per completare l’aspetto linguistico, sposerò una ragazza sudafricana di Città del Capo (padre di discendenza scozzese, madre di discendenza francese): ben presto la mia seconda lingua diventerà l’inglese!

 

Giovani indie Kayapo, Stato del Pará, Brasile 
(, http://veton.picq.fr)

IL FASCINO DELL’AMAZZONIA. I PRIMI LIBRI DI SPEDIZIONI ESPLORATIVE, ETNOLOGICHE, ANTROPOLOGICHE

Da ragazzo, ancor prima di frequentare Biblioteche e Musei, mi ero notevolmente entusiasmato leggendo i resoconti delle avventurose imprese realizzate tra Amazzonia e Mato Grosso da diversi grandi esploratori ed etnologi. 
Ad esempio, quelle del colonnello inglese Fawcett. 
Scomparso nel nulla nel 1925, nel corso della sua ultima esplorazione sudamericana, alla ricerca di una civiltà perduta
E Fawcett, senza ombra di dubbio, rappresenta l’archetipo del moderno esploratore. 
È lui l’autentico e l’originale Indiana Jones
Perché l'autore delle avvincenti storie dell’archeologo-glottologo-avventuriero, un blend di scienza, azione e rischio in ugual misura, allorché disegnò personaggio e contenuti del suo personaggio non può non essersi ispirato alle imprese del colonnello. 
Specialmente a quella che sarebbe stata l’ultima sua spedizione, la più misteriosa di tutte!


Fawcett
Clark

E dire che ero venuto a conoscenza di questa importantissima figura della Storia delle Esplorazioni, leggendo un passo tratto da: I fiumi scendevano a Oriente
Altro libro di esplorazioni, che mi era stato regalato da mia madre per il mio quindicesimo compleanno (1961). “Per ciascun famoso colonnello Fawcett ci sono centinaia di uomini come lui, che sono scomparsi e dei quali nessuno ha più sentito parlare”. 
Così affermava nel 1946 il Presidente della Società Geografica Peruviana al già famoso esploratore Leonard Clark, anche lui un ex ufficiale. 
In procinto di spingersi nell’Inferno Verde dell’Amazzonia peruviana, dove vivevano indios tagliatori di teste (Jivaros) e cannibali.

A questi primi due libri, anno dopo anno ne avrei aggiunti tanti altri, non solo di pura esplorazione geografica, ma anche di scoperta scientifica, sia etno-antropologica, che naturalistica. 

Volumi che costituiscono vere e proprie "enciclopedie" dell'Avventura, dove tutto ciò che, di fascinoso e straordinario, esisteva al mondo, era realmente accaduto!

 LIBRI, RIVISTE, LIBRERIE, EDICOLE SPECIALIZZATE

Negli anni, incoraggiato da mia madre, un’insegnante elementare “vecchio stile”, amante della cultura, sono gradatamente transitato dai classici libri per ragazzi, Salgari e Verne ovviamente compresi, ai racconti autentici, diremmo oggi non fiction 
Letture alle quali, sistematicamente e con costanza, mi sono dedicato per anni. 
Dapprima sfogliando le pagine dei dieci volumi dell’Enciclopedia di famiglia (la Labor), dove osservavo le foto dei mille popoli dei vari continenti. 
Poi, avendo deciso di diventare da grande un etnologo (allora quello era il mio obiettivo), riserverò un’ora (tra le 21 e le 22) di tutti, o quasi, i giorni della mia vita alla lettura di libri. 
Che parlavano di popoli e tribù allora definite primitive (l’Istituto di Etnologia della Facoltà di Lettere della Sapienza di Roma un tempo si chiamava Istituto delle Civiltà Primitive). 
Descrivevano gli incontri con gli indios, l’attraversamento di giungle impenetrabili, la navigazione di fiumi maestosi e impetuosi. 
Così avrei compulsato i libri sulle spedizioni in Amazzonia del geologo Alfonso Vinci, un nostro italiano, che aveva anche insegnato in un’università venezuelana (Samatari, 1956), quelle di von Hagen, o il famosissimo Tristi Tropici, lo straordinario libro sugli indios brasiliani del grande antropologo francese Claude Lévi-Strauss, e tanti altri ancora. 
Volumi che figurano negli scaffali della mia biblioteca, diversificati a seconda della regione (o continente) e delle tematiche affrontate.

7

Flornoy


Lewis Cotlow


Intanto, mentre continuavo a frequentare la scuola secondaria superiore, iniziavo ad acquisire una conoscenza generale di base sulle aree culturali degli altri continenti. 

Leggendo, ad esempio, i libri di Fosco Maraini (Giappone), di Tucci (Nepal), di Quilici (Polinesia). 

Mentre mi sarei avvalso delle riviste Storia Illustrata, della Mondadori, e di Historia, della Cino del Duca, il cui direttore era allora il Prof. Cutolo, famoso e simpatico personaggio televisivo (ma anche docente universitario). 

Entrambe ospitavano in ogni numero interessanti articoli illustrati di etnologia e antropologia. 

Inoltre, proseguendo il contemporaneo apprendimento dell’inglese e del francese, senza essere socio o abbonato, riuscivo a reperire la rivista della National Geographic nelle fornitissime edicole di Via Veneto. 

Infine nel 1965, appena diplomato e subito iscritto all’Università, seguendo il consiglio del Prof. Grottanelli, che mi aveva consigliato di imparare il tedesco, all’epoca dominante nella letteratura etnologica mondiale, decisi di frequentare un corso di tedesco per un anno.   



E che dire delle assidue “ricognizioni” in un paio di librerie romane, per acquisire nuovi libri? 

La Gremese (di via Cola di Rienzo) e la Bonacci (di via Vittoria Colonna) 

Così, dopo il ripetersi delle mie “incursioni” all’interno delle due librerie, con relativi acquisti di libri con i soldi delle mie “paghette” settimanali, quando ad un certo punto sembrava che non ci fossero più nuovi arrivi nel campo etno-antropologico, ero uso vagabondare solitario tra le varie scaffalature. 

Anche servendomi di una scala, perché: “hai visto mai che sugli scaffali più alti posso trovare ancora qualcosa che mi manca”?

In un secondo tempo mi sarei comunque rivolto “all’estero”.

Saulnier

Qualche pregiato volume l’avrei infatti acquisito nella storica libreria francese (Piazza di S. Luigi dei Francesi). 
Ad esempio sulla Nuova Guinea il voluminoso e superbamente illustrato: Les Papous Coupers de têtes- 167 jours dans la prehistoire, di Tony Saulnier del 1960. 
Che racconta la pericolosa spedizione effettuata nel 1959 nell’interno inesplorato della Nuova Guinea olandese (oggi Irian Jaya), diretta dal documentarista ed esploratore francese Pierre-Dominique Gaisseau. 
Poiché area considerata estremamente pericolosa, tutti i suoi membri erano armati e la spedizione era scortata da sei poliziotti. 
In proposito, ricorda Saulnier, come: “i Mappi, tribù vicina degli Asmat, designassero un’altra tribù dell’interno, che non era mai stata contattata [dagli europei], con il nome di Mannuwaé (…) che voleva semplicemente dire: il nostro cibo” (Saulnier, pag. 36). 
Erano in effetti dei cannibali! 
Purtroppo, appena un anno dopo, in quello stesso settore costiero della Nuova Guinea occidentale sarebbe scomparso il giovane Michael Rockfeller. 
Probabilmente ucciso e, a quanto pare, viste le testimonianze nel tempo acquisite dalle forze di sicurezza, prima olandesi, poi indonesiane, anche mangiato dagli Asmat.

Nell’altra storica libreria inglese, la Lion Bookshop, allora in via del Babuino, tra gli altri volumi avrei acquistato White Waters and Black, di Gordon MacCreag del 1961 (1926). 

Riguardava una spedizione nella regione amazzonica tra il Rio Negro e Branco, ai confini tra Brasile e Venezuela.

 Gordon MacCreag


 

DOCUMENTARI TELEVISIVI E CINEMATOGRAFICI

Negli anni ‘1960 avrei “assorbito” ogni documentario disponibile, trasmesso sia dalla televisione, che proiettato nei cinema. 

A quell’epoca risalgono i documentari di Gualtiero Jacopetti (1919-2011), con l’apporto del naturalista Franco Prosperi (1928-) e quello dello scrittore Stanislao Nievo (1928-2006), 

Le sale cinematografiche erano sempre stracolme. 

Anche se per un “aspirante” cultore delle Scienze dell’Uomo (in proposito scrissi una recensione, rimasta ovviamente nel cassetto) avevano un “taglio” decisamente un po’ troppo sensazionalistico, un paio dei suoi documentari furono addirittura premiati con il David di Donatello (il primo fu anche candidato al premio Oscar, per la migliore colonna sonora, comprendente la celeberrima More di Riz Ortolani e Nino Oliviero). 

Mi riferisco a Mondo Cane 1 (1962), Mondo Cane 2 (1963), La donna nel mondo (1963), Africa Addio (1966).

Maria Nanni Germano

 LA MIA PRIMA “COLLABORAZIONE” BIBLIOGRAFICA E ICONOGRAFICA

Intorno al 1964-65 con i miei libri su Amazzonia e Brasile ho agevolato la realizzazione di un libro sul Rio delle Amazzoni della Prof.ssa Maria Nanni Germano, moglie del mio docente di Lettere dell’Istituto Tecnico Commerciale (Loescher, Torino, 1966).


CONTATTI, SIA PURE “INDIRETTI”, CON IL MONDO INDIO E AMAZZONICO:

MOTILONES DEL VENEZUELA

All’inizio degli anni ‘1960 fui letteralmente affascinato dalle parole di un carissimo amico di mio padre, che andammo a trovare a casa sua. 

Conoscendo il mio interesse per i popoli del mondo, mi mostrò un articolo riccamente illustrato, probabilmente pubblicato su Epoca. Riguardava una tribù di indios del Venezuela e le foto che avrei osservato, disse, erano particolarmente rare. 

Avrei poi scoperto il perché… 

Ricordo come le sue descrizioni fossero particolarmente dettagliate e andassero ad arricchire quanto riportato dall’autore del servizio. Marcello non aveva visto personalmente gli indios, ma c’erano stati suoi amici e colleghi di lavoro che si erano malauguratamente imbattuti in alcuni di questi indios, riuscendo comunque a scampare ai loro attacchi. 

Perché i Motilones, si tratta di loro, costituivano un popolo particolarmente bellicoso, che si serviva di archi e frecce per respingere le intrusioni dei bianchi, che tentavano di inoltrarsi nelle loro terre, localizzate tra le montagne della Sierra Nevada, a non molta distanza dalla grande laguna di Maracaibo e dai suoi ricchi campi petroliferi.

Quindi, sia pure indirettamente, quello fu il mio primo “contatto” con una tribù india “primitiva”. 

Va detto come l’amico di famiglia per ragioni politiche avesse lasciato l’Italia dopo la guerra, andando a lavorare come geometra in Venezuela, nel settore delle costruzioni, soprattutto di strade.

Oggi leggo sul Web che i Motilones, che vivono sia in Venezuela, che in Colombia, nel 1960 furono suddivisi in due distinti gruppi: Yukpas e Baris
Ciò in base ad un progetto di civilizzazione:proyecto civilizatorio emprendido por los Estados colombiano y venezolano” (“Motilones: from the «mansos» or «bravos» Indians to Yukpas and Baris (1910-1960)”, Marisol Grisales Hernández, pp. 71-72; Boletín Americanista, lxix, 1, 78, Barcellona, 2019, 71-90. PDF 23021-Texto del artículo-64924-1-10-20190730, 8.12.2021). 
Opera di pacificazione portata avanti da numerose spedizioni, che nel corso di mezzo secolo, dal 1910 al 1960, cercarono di “reducir o amansar a los nativos” a suo tempo definiti, a seconda delle loro reazioni nei confronti dei bianchi, “miti” o “selvaggi” (p. 78).  
Infatti “il 22 luglio del 1960 missionari cappuccini castigliani entrarono nel territorio dei Motilones del Catatumbo, sia via terra, che in elicottero, con l'accompagnamento di dodici Yukpas e diversi abitanti del villaggio; dopo essere scesi dall'elicottero nei pressi di due capanne indigene annunciarono la pacificazione e il primo contatto con i Catatumbo Motilones dalla parte venezuelana (…) Questo contatto ha permesso l'ingresso non solo di missionari ma anche di antropologi interessati allo studio di questa tribù, di cui fino ad allora si avevano solo pochi dati” (p.85).    


YANOAMA DEL RIO NEGRO, BRASILE


Biocca

Il mio, sia pure indiretto, “secondo contatto” con gli indios amazzonici, ha avuto diverse opportunità di estrinsecarsi nel tempo. Iniziando nel novembre del 1963 e terminando negli anni ‘1980. 

Il più lontano risale, infatti, al 1963. 

Quando nell’Aula Magna del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma furono annunciati alla stampa i risultati della missione scientifica italiana condotta nella foresta vergine equatoriale, a cavallo tra il bacino del Rio delle Amazzoni e quello dell'Orinoco, in Sud America. 

Spedizione diretta dal Prof. Biocca e composta, tra gli altri, dai Proff. Baschieri, Mangili, Bagalino, Ponzo. 

Scopo della missione era lo studio di una delle più "primitive" popolazioni del globo: i nomadi cacciatori-collettori Yanoáma (etnonimo che significa: "quelli del villaggio"), che praticano anche delle elementari forme di arboricoltura e di "agricoltura". 

Resoconto che avrei letto sul Messaggero il giorno dopo. Contemporaneamente venne diffusa l’eccezionale notizia riguardante la vicenda personale di Helena Valero. 

Donna di lingua spagnola rapita venti anni prima da un gruppo Yanoáma, quando era ancora una bambina. 

Dopo svariate peripezie, da pochi anni era riuscita fortunosamente a fuggire, ritornando al mondo dei bianchi. 

Tra l’altro proprio lei era stata l'inconsapevole filo conduttore della doviziosa ricerca sul campo, grazie al racconto della sua straordinaria esperienza di vita tra gli indios.

In quell'epoca riuscii ad ottenere dal Prof. Baschieri, direttore dello Zoo di Roma, una speciale autorizzazione per osservare ed ammirare i numerosi reperti biologici (per lo più animali imbalsamati) ed etnografici (armi, abbigliamento, copricapi di piume, ecc.), temporaneamente collocati nel Museo Zoologico, allora chiuso al pubblico. 

Ricordo che trascorsi una mezza e straordinaria giornata, osservando “rapito” il contenuto di quelle vetrine.

In seguito più volte compulserò, nella Biblioteca del CNR, i quattro voluminosi tomi dei Viaggi tra gli Indi. Alto Rio Negro Alto Orinoco. Appunti di un Biologo nel 1965-1966. 

Mentre acquisterò il resoconto integrale della vita della Valero, così come fu registrata dal Biocca (Yanoáma, dal racconto di una donna rapita dagli Indi, Bari, del 1965). 

Più tardi mi procurerò anche Mondo Yanoáma, sempre del Biocca, Bari, 1969. 

Nell’estate del 1968 con mia moglie e mio figlio mi trovavo in un campeggio di Albinia (GR). 

A quei tempi ero segretario del Liceo Classico di Orbetello. 

Una mattina (la sera prima ero stato a cena in un ristorante di Porto Santo Stefano) mi sentii così male, che la direzione del camping fece un appello, chiedendo se tra i campeggiatori ci fosse un medico. 

Un dottore così si presentò alla mia tenda. 

Venuto a conoscenza dei miei sintomi, disse che avevo una gastroenterocolite acuta e che, per sicurezza, dovevo subito andare all’ospedale di Orbetello. 

Il medico si chiamava Ezio Ponzo… 

Rimase molto meravigliato, come prima lo ero stato io, sentendo il suo nome, per il fatto che fossi a conoscenza della sua partecipazione alla missione amazzonica in qualità di psicologo (ma era anche un medico).

Nel 1975 scrissi un articolo su Cimento intitolato: Il Problema della Traduzione nella Antropologia Culturale, facendo esplicito riferimento alla pluriennale vicenda della Helena Valero. 

Articolo che anni dopo riproposi, sia pure in una veste diversa, sulla Terza Pagina dell’Osservatore Romano.

                               

Giovane Waika [Yanoama] pronto per la festa, 1973 (Ludwig Winklhofer, )

Nella prima metà degli anni ‘1980 scoprii che Franco Russo, il marito di una mia cara amica, negli anni ‘1960 era stato in Amazzonia, assieme al compianto Gerardo Bamonte (un amico americanista, che conoscevo fin dagli anni ’1970), quando erano studenti universitari. 

Là avevano avuto modo di incontrare la Valero e di registrare alcune interviste. 

La loro presenza nella foresta pluviale (dove, per la scarsità di cibo, in qualche occasione dovettero far ricorso alla carne dei serpenti che, a quanto pare, non era poi tanto male…) servì a “preparare” la spedizione Biocca-Baschieri. 

E dire che Gerardo non aveva mai fatto alcun cenno a quella loro avventurosa missione giovanile.

In seguito, mentre Gerardo iniziava con successo la sua brillante carriera accademica, Franco, se non ricordo male, era diventato un importante funzionario dell’ENI. 

Purtroppo sarebbe morto qualche tempo dopo il nostro incontro. Quando l’albergo di Istanbul, dove si trovava, andò a fuoco. 

Così, venuto a conoscenza del giorno del suo funerale a Roma, mi sarei subito dato da fare, riuscendoci, per avvisare Gerardo, in quei giorni in navigazione nel Mediterraneo a bordo di uno yacht. 

Ieri (26 dicembre 2021) prendendo in mano uno dei due libri di Biocca, ho scoperto che tanti anni fa vi avevo inserito un ritaglio di giornale (Mengoni G.,“Lui prof, lei india yanomani: quando l’amore è impossibile”, Il Messaggero, 1° febbraio 1997, pag. 10). 

L’articolo riguardava un antropologo, Kenneth Good (1942- ), che nel 1978, nel corso del suo soggiorno di ricerca tra gli Yanoama (oggi Yanomami), aveva conosciuto l’india Yarima, che allora aveva nove anni. 

Quattro anni dopo la sposerà con una cerimonia tradizionale e da lei avrà un figlio. 

Alla fine del suo lavoro, la porterà nel New Jersey, dove Yarima avrà altri due figli. 

Nel 1992 un team della televisione brasiliana Globo la raggiunse negli USA, scoprendo la sua infinita tristezza, perché non era riuscita ad adattarsi alla nuova situazione. 

Un anno dopo (1993) Yarima lascerà marito e figli, per tornare nella foresta. 

Dove si risposerà ed avrà un altro figlio. 

Un fotografo brasiliano, che l’aveva raggiunta, invierà una sua foto all’antropologo, che “stentò a riconoscerla: nuda con il corpo dipinto, il viso adornato da bastoncini sotto al naso e al labbro inferiore, col nuovo marmocchio sulle spalle, e venti chili di meno rispetto ai tempi in cui mangiava patatine e hamburger”.  

Sul Web scopro oggi il seguito. Good con David Chanoff aveva pubblicato nel 1997: Into the Heart: One Man’s Pursuit of Love and Knowledge Among the Yanomami. 

Inoltre nel 2011 David, uno dei loro figli, è tornato nella giungla per visitare la madre e, in seguito, ha avviato The Good Project, un'organizzazione no profit destinata ad aiutare il futuro degli Yanomami.

Anche se l’antropologo non ha ovviamente “rapito” Yarima, l’intera vicenda assomiglia molto a quella della Valero, sia pure a parti rovesciate…  

Un'ultima annotazione: non a caso il mio pseudonimo come Wikipediano è Yanoama...


Donna Waika [Yanoama] con il cesto per il trasporto, 1973 (Ludwig Winklhofer, )



中文(臺灣): 環形草屋的結構透視圖 (cinese di Taiwan): una vista prospettica della struttura della casa circolare con il tetto di paglia (shabono) (foto Kuliw, 2017 )

Il volume IV (E-Book e cartaceo) della mia tetralogia: ALLA SCOPERTA DEL MONDO. 
Archeologi, Esploratori, Grandi Viaggiatori, Geologi, Naturalisti, Paletnologi, include i seguenti personaggi che si sono interessati al Sudamerica: 

Lungo il Rio delle Amazzoni. Fu il luogotenente di Pizarro, Francisco de Orellana, che per primo discese il grande fiume

Quell'irrequieto misuratore della terra: Charles-Marie de la Condamine, matematico, geodeta nonché avventuroso esploratore

I Tropici visti da un prussiano. Nel 1804 il Barone Friedrich Heinrich Alexander von Humboldt, naturalista e geografo, ultimava la sua storica esplorazione in Sudamerica

La vita avventurosa di un paleontologo: il francese Alcide d'Orbigny, viaggiatore, naturalista e padre della micropaleontologia

L'uomo che esplorò la Guyana: l'esploratore e naturalista sir Robert H. Schomburgk, prussiano di nascita, al servizio dell'Inghilterra

John Louis Rudolphe Agassiz, lo scienziato celebrato da Longfellow. Zoologo, naturalista, paleontologo, glaciologo svizzero-statunitense

I tesori dissepolti del Perù archeologico: Max Uhle, uno tra i principali studiosi delle antiche culture andine

Uno dei grandi misteri della storia delle esplorazioni. "L'archetipo di "Indiana Jones", il colonnello ed esploratore inglese Percy Harrison Fawcett, scomparve nel 1925, cercando una fantomatica città perduta nel Mato Grosso brasiliano

L'Amazzonia di Alexander Hamilton Rice. Una singolare figura di esploratore, medico e geografo statunitense nel Sudamerica degli anni venti

Machu Picchu: la "Vecchia Cima" perduta tra le nuvole. La città degli Incas scoperta nel 1911 dall’archeologo americano Hiram Bingham

Avventure etnologiche di un grande geologo. Versatile e intrepida figura quella di Victor Oppenheim, scienziato franco-lettone, studioso del Sudamerica

E-Book:https://www.amazon.it/dp/B0837Y4DWD



Cartaceo: https://www.amazon.it/dp/1653579420