PREMESSA
In più di un’occasione chi mi conosceva da poco tempo (colleghi,
membri della Società Geografica Italiana, redattori del mio giornale) si
domandava se fossi sempre io lo stesso antropologo, che aveva fatto ricerca in
Africa, o tra gli eschimesi del Canada.
Del resto nella Storia
dell’Antropologia figurano diversi grossi personaggi, che hanno indirizzato i
loro interessi con uguale efficacia, sia verso i tropici, che verso l’Artico.
Il mio percorso esistenziale e scientifico nei decenni mi ha portato in continenti diversi.
A partire, sia pure
“virtualmente”, dall’età adolescenziale.
Quando i miei studi erano pressoché
completamente focalizzati sul Sud America.
Ma c’è ancora un'altra domanda che spesso mi è stata rivolta.
Riguarda la mia laurea in Economia e Commercio, certamente ben lontana da
quella in Lettere, forse più consona per un futuro antropologo.
Ciò si deve al fatto
che mia madre voleva che avessi un diploma, per poter lavorare (mio fratello non
era riuscito a conseguire la licenza liceale).
Così nel 1965, quando mi sono diplomato
Ragioniere e Perito Commerciale, la Facoltà di Economia e Commercio era quasi l’unica
alla quale poter accedere in quel periodo.
Anche se, usufruendo di un Piano di Studi
“aperto”, sarò in grado di sostenere esami in discipline insegnate a Lettere,
Scienze Politiche, Magistero.
Ho ancora da dire qualcosa sull’Istituto Tecnico Maffeo Pantaleoni,
dove entrai nel 1960.
La mia sezione, la C, era sperimentale.
Disponeva di tutti
i laboratori. Invece di un anno di dattilografia, se ne fecero due (tolsero la
Calligrafia).
Il mio corpo docente era estremamente selezionato.
Tutti i miei insegnanti
avevano pubblicato libri, compreso quello di Religione, che era stato Cappellano
della Folgore e ad El Alamein. Per quanto riguarda l’inglese, oltre a studiare
la lingua direttamente sui libri della Oxford University Press (a quei tempi una
didattica invero rivoluzionaria), ci si basava sulla grammatica di Gremigni, il
mio professore, che l’aveva scritta assieme ad Amato (sarà mio insegnante all’Università).
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I.T.C. Maffeo Pantaleoni, V sez. C, a.s. 1964-65. Sono il terzo da sinistra, in alto. Sono immensamente grato a Luisa Natali, alias "Tip Tap" su Facebook, per averla "postata" nel Gruppo del Pantaleoni |
Per completare l’aspetto linguistico, sposerò una ragazza sudafricana di Città
del Capo (padre di discendenza scozzese, madre di discendenza francese): ben
presto la mia seconda lingua diventerà l’inglese!
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Giovani indie Kayapo, Stato del Pará, Brasile
(, http://veton.picq.fr) |
IL FASCINO DELL’AMAZZONIA. I PRIMI LIBRI DI SPEDIZIONI
ESPLORATIVE, ETNOLOGICHE, ANTROPOLOGICHE
Da ragazzo, ancor prima di
frequentare Biblioteche e Musei, mi ero notevolmente entusiasmato leggendo i
resoconti delle avventurose imprese realizzate tra Amazzonia e Mato Grosso da diversi
grandi esploratori ed etnologi.
Ad esempio, quelle del colonnello inglese Fawcett.
Scomparso nel nulla nel 1925, nel corso della sua ultima
esplorazione sudamericana, alla ricerca di una civiltà perduta.
E Fawcett, senza
ombra di dubbio, rappresenta l’archetipo del moderno esploratore.
È lui l’autentico
e l’originale Indiana Jones.
Perché l'autore delle avvincenti storie
dell’archeologo-glottologo-avventuriero, un blend di scienza, azione e
rischio in ugual misura, allorché disegnò personaggio e contenuti del suo
personaggio non può non essersi ispirato alle imprese del colonnello.
Specialmente a quella che sarebbe stata l’ultima sua spedizione, la più
misteriosa di tutte!
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Fawcett |
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Clark |
E dire che ero venuto a conoscenza di questa
importantissima figura della Storia delle Esplorazioni, leggendo un passo tratto
da: I fiumi scendevano a Oriente.
Altro libro di esplorazioni, che mi
era stato regalato da mia madre per il mio quindicesimo compleanno (1961). “Per
ciascun famoso colonnello Fawcett ci sono centinaia di uomini come lui, che
sono scomparsi e dei quali nessuno ha più sentito parlare”.
Così affermava
nel 1946 il Presidente della Società Geografica Peruviana al già famoso
esploratore Leonard Clark, anche lui un ex ufficiale.
In procinto di spingersi
nell’Inferno Verde dell’Amazzonia peruviana, dove vivevano indios
tagliatori di teste (Jivaros) e cannibali.
A questi primi due libri, anno dopo anno ne
avrei aggiunti tanti altri, non solo di pura esplorazione geografica, ma anche
di scoperta scientifica, sia etno-antropologica, che naturalistica.
Volumi che
costituiscono vere e proprie "enciclopedie" dell'Avventura,
dove tutto ciò che, di fascinoso e straordinario, esisteva al mondo, era
realmente accaduto!
LIBRI, RIVISTE, LIBRERIE, EDICOLE SPECIALIZZATE
Negli anni, incoraggiato da mia madre,
un’insegnante elementare “vecchio stile”, amante della cultura, sono gradatamente
transitato dai classici libri per ragazzi, Salgari e Verne ovviamente compresi,
ai racconti autentici, diremmo oggi non fiction…
Letture alle quali, sistematicamente e con costanza, mi sono dedicato per
anni.
Dapprima sfogliando le pagine dei dieci volumi dell’Enciclopedia di
famiglia (la Labor), dove osservavo le foto dei mille popoli dei vari
continenti.
Poi, avendo deciso di diventare da grande un etnologo (allora quello
era il mio obiettivo), riserverò un’ora (tra le 21 e le 22) di tutti, o quasi,
i giorni della mia vita alla lettura di libri.
Che parlavano di popoli e
tribù allora definite primitive (l’Istituto di Etnologia della Facoltà
di Lettere della Sapienza di Roma un tempo si chiamava Istituto delle Civiltà
Primitive).
Descrivevano gli incontri con gli indios, l’attraversamento di giungle
impenetrabili, la navigazione di fiumi maestosi e impetuosi.
Così avrei compulsato
i libri sulle spedizioni in Amazzonia del geologo Alfonso Vinci, un nostro
italiano, che aveva anche insegnato in un’università venezuelana (Samatari,
1956), quelle di von Hagen, o il famosissimo Tristi Tropici, lo
straordinario libro sugli indios brasiliani del grande antropologo francese Claude
Lévi-Strauss, e tanti altri ancora.
Volumi che figurano negli scaffali della
mia biblioteca, diversificati a seconda della regione (o continente) e delle
tematiche affrontate.
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Flornoy |
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Lewis Cotlow |
Intanto, mentre continuavo a frequentare la
scuola secondaria superiore, iniziavo ad acquisire una conoscenza generale di
base sulle aree culturali degli altri continenti.
Leggendo, ad esempio, i libri
di Fosco Maraini (Giappone), di Tucci (Nepal), di Quilici (Polinesia).
Mentre
mi sarei avvalso delle riviste Storia Illustrata, della Mondadori, e di Historia,
della Cino del Duca, il cui direttore era allora il Prof. Cutolo, famoso e simpatico personaggio
televisivo (ma anche docente universitario).
Entrambe ospitavano in ogni numero interessanti
articoli illustrati di etnologia e antropologia.
Inoltre, proseguendo il
contemporaneo apprendimento dell’inglese e del francese, senza essere socio o
abbonato, riuscivo a reperire la rivista della National Geographic nelle
fornitissime edicole di Via Veneto.
Infine nel 1965, appena diplomato e subito iscritto
all’Università, seguendo il consiglio del Prof. Grottanelli, che mi aveva consigliato
di imparare il tedesco, all’epoca dominante nella letteratura etnologica
mondiale, decisi di frequentare un corso di tedesco per un anno.
E che dire delle assidue “ricognizioni” in un
paio di librerie romane, per acquisire nuovi libri?
La Gremese (di via
Cola di Rienzo) e la Bonacci (di via Vittoria Colonna)
Così, dopo il
ripetersi delle mie “incursioni” all’interno delle due librerie, con relativi
acquisti di libri con i soldi delle mie “paghette” settimanali, quando ad un
certo punto sembrava che non ci fossero più nuovi arrivi nel campo etno-antropologico,
ero uso vagabondare solitario tra le varie scaffalature.
Anche servendomi di
una scala, perché: “hai visto mai che sugli scaffali più alti posso trovare ancora
qualcosa che mi manca”?
In un secondo tempo mi sarei comunque rivolto “all’estero”.
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Saulnier
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Qualche pregiato volume l’avrei infatti acquisito
nella storica libreria francese (Piazza di S. Luigi dei Francesi).
Ad esempio
sulla Nuova Guinea il voluminoso e superbamente illustrato: Les Papous
Coupers de têtes- 167 jours dans la prehistoire, di Tony Saulnier del 1960.
Che racconta la pericolosa spedizione effettuata nel 1959 nell’interno
inesplorato della Nuova Guinea olandese (oggi Irian Jaya), diretta dal documentarista
ed esploratore francese Pierre-Dominique Gaisseau.
Poiché area considerata
estremamente pericolosa, tutti i suoi membri erano armati e la spedizione era scortata
da sei poliziotti.
In proposito, ricorda Saulnier, come: “i Mappi, tribù
vicina degli Asmat, designassero un’altra tribù dell’interno, che non era mai
stata contattata [dagli europei], con il nome di Mannuwaé (…) che
voleva semplicemente dire: il nostro cibo” (Saulnier, pag. 36).
Erano in
effetti dei cannibali!
Purtroppo, appena un anno dopo, in quello stesso settore
costiero della Nuova Guinea occidentale sarebbe scomparso il giovane Michael
Rockfeller.
Probabilmente ucciso e, a quanto pare, viste le testimonianze nel
tempo acquisite dalle forze di sicurezza, prima olandesi, poi indonesiane, anche
mangiato dagli Asmat.
Nell’altra storica libreria inglese, la Lion
Bookshop, allora in via del Babuino, tra gli altri volumi avrei acquistato White
Waters and Black, di Gordon MacCreag del 1961 (1926).
Riguardava una
spedizione nella regione amazzonica tra il Rio Negro e Branco, ai confini tra
Brasile e Venezuela.
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Gordon MacCreag |
DOCUMENTARI TELEVISIVI E CINEMATOGRAFICI
Negli anni ‘1960 avrei “assorbito” ogni
documentario disponibile, trasmesso sia dalla televisione, che proiettato nei cinema.
A quell’epoca risalgono i documentari di Gualtiero Jacopetti (1919-2011), con
l’apporto del naturalista Franco Prosperi (1928-) e quello dello scrittore Stanislao
Nievo (1928-2006),
Le sale cinematografiche erano sempre stracolme.
Anche se per
un “aspirante” cultore delle Scienze dell’Uomo (in proposito scrissi una
recensione, rimasta ovviamente nel cassetto) avevano un “taglio” decisamente un
po’ troppo sensazionalistico, un paio dei suoi documentari furono addirittura premiati
con il David di Donatello (il primo fu anche candidato al premio Oscar,
per la migliore colonna sonora, comprendente la celeberrima More di Riz
Ortolani e Nino Oliviero).
Mi riferisco a Mondo Cane 1 (1962), Mondo
Cane 2 (1963), La donna nel mondo (1963), Africa Addio (1966).
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Maria Nanni Germano |
LA
MIA PRIMA “COLLABORAZIONE” BIBLIOGRAFICA E ICONOGRAFICA
Intorno al 1964-65 con i miei libri su
Amazzonia e Brasile ho agevolato la realizzazione di un libro sul Rio delle
Amazzoni della Prof.ssa Maria Nanni Germano, moglie del mio docente di
Lettere dell’Istituto Tecnico Commerciale (Loescher, Torino, 1966).
CONTATTI,
SIA PURE “INDIRETTI”, CON IL MONDO INDIO E AMAZZONICO:
MOTILONES DEL VENEZUELA
All’inizio degli anni ‘1960 fui letteralmente
affascinato dalle parole di un carissimo amico di mio padre, che andammo a
trovare a casa sua.
Conoscendo il mio interesse per i popoli del mondo, mi
mostrò un articolo riccamente illustrato, probabilmente pubblicato su Epoca.
Riguardava una tribù di indios del Venezuela e le foto che avrei osservato, disse, erano particolarmente rare.
Avrei poi scoperto il perché…
Ricordo come le
sue descrizioni fossero particolarmente dettagliate e andassero ad arricchire quanto
riportato dall’autore del servizio. Marcello non aveva visto personalmente gli
indios, ma c’erano stati suoi amici e colleghi di lavoro che si erano malauguratamente
imbattuti in alcuni di questi indios, riuscendo comunque a scampare ai loro
attacchi.
Perché i Motilones, si tratta di loro, costituivano un popolo particolarmente
bellicoso, che si serviva di archi e frecce per respingere le intrusioni dei
bianchi, che tentavano di inoltrarsi nelle loro terre, localizzate tra le montagne
della Sierra Nevada, a non molta distanza dalla grande laguna di Maracaibo
e dai suoi ricchi campi petroliferi.
Quindi, sia pure indirettamente, quello fu il
mio primo “contatto” con una tribù india “primitiva”.
Va detto come l’amico di famiglia
per ragioni politiche avesse lasciato l’Italia dopo la guerra, andando a
lavorare come geometra in Venezuela, nel settore delle costruzioni, soprattutto
di strade.
Oggi leggo sul Web
che i Motilones, che vivono sia in Venezuela, che in Colombia, nel 1960 furono
suddivisi in due distinti gruppi: Yukpas e Baris. Ciò in
base ad un progetto di civilizzazione: “proyecto civilizatorio
emprendido por los Estados colombiano y venezolano” (“Motilones: from the
«mansos» or «bravos» Indians to Yukpas and Baris (1910-1960)”, Marisol Grisales
Hernández, pp.
71-72; Boletín
Americanista, lxix, 1, 78, Barcellona, 2019, 71-90. PDF 23021-Texto del
artículo-64924-1-10-20190730, 8.12.2021).
Opera di pacificazione portata avanti
da numerose spedizioni, che nel corso di mezzo secolo, dal 1910 al 1960, cercarono
di “reducir o amansar a los nativos” a suo tempo definiti, a seconda
delle loro reazioni nei confronti dei bianchi, “miti” o “selvaggi” (p. 78).
Infatti “il 22 luglio del 1960 missionari
cappuccini castigliani entrarono nel territorio dei Motilones del Catatumbo, sia
via terra, che in elicottero, con l'accompagnamento di dodici Yukpas e diversi
abitanti del villaggio; dopo essere scesi dall'elicottero nei pressi di due
capanne indigene annunciarono la pacificazione e il primo contatto con i
Catatumbo Motilones dalla parte venezuelana (…) Questo contatto ha
permesso l'ingresso non solo di missionari ma anche di antropologi interessati
allo studio di questa tribù, di cui fino ad allora si avevano solo pochi dati”
(p.85).
YANOAMA DEL RIO NEGRO, BRASILE
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Biocca
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Il mio, sia pure indiretto, “secondo contatto” con
gli indios amazzonici, ha avuto diverse opportunità di estrinsecarsi nel tempo.
Iniziando nel novembre del 1963 e terminando negli anni ‘1980.
Il più lontano risale, infatti, al 1963.
Quando
nell’Aula Magna del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma furono
annunciati alla stampa i risultati della missione scientifica italiana condotta
nella foresta vergine equatoriale, a cavallo tra il bacino del Rio delle
Amazzoni e quello dell'Orinoco, in Sud America.
Spedizione diretta dal Prof.
Biocca e composta, tra gli altri, dai Proff. Baschieri, Mangili, Bagalino,
Ponzo.
Scopo della missione era lo studio di una delle più
"primitive" popolazioni del globo: i nomadi cacciatori-collettori Yanoáma
(etnonimo che significa: "quelli del villaggio"), che praticano
anche delle elementari forme di arboricoltura e di "agricoltura".
Resoconto
che avrei letto sul Messaggero il giorno dopo. Contemporaneamente venne diffusa
l’eccezionale notizia riguardante la vicenda personale di Helena Valero.
Donna
di lingua spagnola rapita venti anni prima da un gruppo Yanoáma, quando
era ancora una bambina.
Dopo svariate peripezie, da pochi anni era riuscita
fortunosamente a fuggire, ritornando al mondo dei bianchi.
Tra l’altro proprio
lei era stata l'inconsapevole filo conduttore della doviziosa ricerca sul campo,
grazie al racconto della sua straordinaria esperienza di vita tra gli indios.
In quell'epoca riuscii ad ottenere dal Prof.
Baschieri, direttore dello Zoo di Roma, una speciale autorizzazione per
osservare ed ammirare i numerosi reperti biologici (per lo più animali
imbalsamati) ed etnografici (armi, abbigliamento, copricapi di piume, ecc.),
temporaneamente collocati nel Museo Zoologico, allora chiuso al
pubblico.
Ricordo che trascorsi una mezza e straordinaria giornata, osservando “rapito”
il contenuto di quelle vetrine.
In seguito più volte compulserò, nella
Biblioteca del CNR, i quattro voluminosi tomi dei Viaggi tra gli Indi. Alto
Rio Negro Alto Orinoco. Appunti di un Biologo nel 1965-1966.
Mentre acquisterò
il resoconto integrale della vita della Valero, così come fu registrata dal
Biocca (Yanoáma, dal racconto di una donna rapita dagli Indi, Bari, del 1965).
Più tardi mi procurerò anche Mondo Yanoáma, sempre del Biocca, Bari,
1969.
Nell’estate del 1968 con mia moglie e mio
figlio mi trovavo in un campeggio di Albinia (GR).
A quei tempi ero segretario
del Liceo Classico di Orbetello.
Una mattina (la sera prima ero stato a cena in
un ristorante di Porto Santo Stefano) mi sentii così male, che la direzione del
camping fece un appello, chiedendo se tra i campeggiatori ci fosse un medico.
Un
dottore così si presentò alla mia tenda.
Venuto a conoscenza dei miei sintomi, disse
che avevo una gastroenterocolite acuta e che, per sicurezza, dovevo subito andare
all’ospedale di Orbetello.
Il medico si chiamava Ezio Ponzo…
Rimase molto meravigliato,
come prima lo ero stato io, sentendo il suo nome, per il fatto che fossi a
conoscenza della sua partecipazione alla missione amazzonica in qualità di psicologo
(ma era anche un medico).
Nel 1975 scrissi un articolo su Cimento intitolato:
Il Problema della Traduzione nella Antropologia Culturale, facendo
esplicito riferimento alla pluriennale vicenda della Helena Valero.
Articolo
che anni dopo riproposi, sia pure in una veste diversa, sulla Terza Pagina dell’Osservatore
Romano.
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Giovane Waika [Yanoama] pronto per la festa, 1973
(Ludwig Winklhofer, ) |
Nella prima metà degli anni ‘1980 scoprii che Franco
Russo, il marito di una mia cara amica, negli anni ‘1960 era stato in Amazzonia,
assieme al compianto Gerardo Bamonte (un amico americanista, che conoscevo fin
dagli anni ’1970), quando erano studenti universitari.
Là avevano avuto modo di
incontrare la Valero e di registrare alcune interviste.
La loro presenza nella
foresta pluviale (dove, per la scarsità di cibo, in qualche occasione dovettero
far ricorso alla carne dei serpenti che, a quanto pare, non era poi tanto male…)
servì a “preparare” la spedizione Biocca-Baschieri.
E dire che Gerardo non aveva
mai fatto alcun cenno a quella loro avventurosa missione giovanile.
In seguito, mentre Gerardo iniziava con
successo la sua brillante carriera accademica, Franco, se non ricordo male, era
diventato un importante funzionario dell’ENI.
Purtroppo sarebbe morto qualche
tempo dopo il nostro incontro. Quando l’albergo di Istanbul, dove si trovava,
andò a fuoco.
Così, venuto a conoscenza del giorno del suo funerale a Roma, mi
sarei subito dato da fare, riuscendoci, per avvisare Gerardo, in quei giorni in
navigazione nel Mediterraneo a bordo di uno yacht.
Ieri (26 dicembre 2021) prendendo in mano uno
dei due libri di Biocca, ho scoperto che tanti anni fa vi avevo inserito un
ritaglio di giornale (Mengoni G.,“Lui prof, lei india yanomani: quando l’amore è
impossibile”, Il Messaggero, 1° febbraio 1997, pag. 10).
L’articolo riguardava
un antropologo, Kenneth Good (1942- ), che nel 1978, nel corso del suo
soggiorno di ricerca tra gli Yanoama (oggi Yanomami), aveva
conosciuto l’india Yarima, che allora aveva nove anni.
Quattro anni dopo la sposerà
con una cerimonia tradizionale e da lei avrà un figlio.
Alla fine del suo lavoro,
la porterà nel New Jersey, dove Yarima avrà altri due figli.
Nel 1992 un team
della televisione brasiliana Globo la raggiunse negli USA, scoprendo la
sua infinita tristezza, perché non era riuscita ad adattarsi alla nuova
situazione.
Un anno dopo (1993) Yarima lascerà marito e figli, per tornare
nella foresta.
Dove si risposerà ed avrà un altro figlio.
Un fotografo
brasiliano, che l’aveva raggiunta, invierà una sua foto all’antropologo, che “stentò
a riconoscerla: nuda con il corpo dipinto, il viso adornato da bastoncini sotto
al naso e al labbro inferiore, col nuovo marmocchio sulle spalle, e venti chili
di meno rispetto ai tempi in cui mangiava patatine e hamburger”.
Sul Web scopro oggi il seguito. Good con
David Chanoff aveva pubblicato nel 1997: Into the Heart: One Man’s Pursuit
of Love and Knowledge Among the Yanomami.
Inoltre nel 2011 David, uno
dei loro figli, è tornato nella giungla per visitare la madre e, in seguito, ha
avviato The Good Project, un'organizzazione no profit destinata
ad aiutare il futuro degli Yanomami.
Anche se l’antropologo non ha ovviamente
“rapito” Yarima, l’intera vicenda assomiglia molto a quella della Valero, sia
pure a parti rovesciate…
Un'ultima annotazione: non a caso il mio pseudonimo come Wikipediano è Yanoama...
Il volume IV (E-Book e cartaceo) della mia tetralogia: ALLA SCOPERTA DEL MONDO.
Archeologi, Esploratori, Grandi Viaggiatori, Geologi, Naturalisti,
Paletnologi, include i seguenti personaggi che si sono interessati al Sudamerica:
Francisco de Orellana; Charles-Marie de la Condamine; Friedrich Heinrich Alexander von Humboldt; Alcide d'Orbigny; Robert H. Schomburgk; John Louis Rudolphe
Agassiz; Max Uhle; Percy Harrison Fawcett; Alexander Hamilton Rice; Hiram Bingham; Victor Oppenheim
p.s. (17.9.2024) Purtroppo non ho avuto il tempo per elaborare i post riguardanti le altre fasi della mia vita di ricercatore.