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domenica 19 giugno 2022

34. UNA STORIA DELL'ANTROPOLOGIA IN 61 PERSONAGGI E UNA SPEDIZIONE INTERCONTINENTALE TRA AMERICA E RUSSIA: VOLUME I°, DA ADOLF BASTIAN A VINIGI LORENZO GROTTANELLI

Indio Bororo mentre sta per scoccare una freccia. Foto Steinen
[Karl von Den Steinen, 1855-1929. Spedizione nello Xingù (Mato Grosso,  Brasile) del 1887-1888, da: Unter den Naturvolkern Zentralbrasiliens, 1894] 

Quando nel lontano 1980 apparve il sesto volume dell’Enciclopedia della Curcio: Le Grandi Avventure dell’Archeologia, ero reduce da tre sole sessioni di ricerca antropologica sul campo (Africa, Mesoamerica): nel 1976 nella cittadina multietnica di Isiolo, a nord del Monte Kenya, nel Kenya settentrionale; nel 1978 nel piccolo villaggio di indios Huave di Santa Maria del Mar, nell’istmo di Tehuantepec (Oaxaca, Messico); nel 1979 nella cittadina multietnica di Malakal, nella Provincia del Nilo Superiore (Sud Sudan).

   Oltre agli usuali problemi d’ordine burocratico e alle difficoltà logistiche, che immancabilmente attendono al varco ogni ricercatore non “da tavolino”, a quei tempi già ero incorso in diverse “avventure”, tutte comunque andate a lieto fine. Così, dopo aver collaborato con diapositive (Messico, Grecia, Italia meridionale) all’apparato fotografico dell’Enciclopedia, pensai che sarebbe stato fantastico riuscire a realizzare l’“equivalente” antropologico! Progetto che a quei tempi era forse troppo grande per le mie “possibilità”, così che non andò in porto…

   Oggi ritengo che età ed esperienza mi consentano di presentare ai lettori questa nuova trilogia interamente dedicata agli Antropologi. Vi ho raccolto, debitamente illustrate da foto d’epoca, le schede di 61 personaggi. Oltre a quella relativa ad una spedizione antropologica intercontinentale, svoltasi tra America del Nord e Asia a cavallo tra il secolo XIX e XX.

   Se possiamo affermare che, in generale, conosciamo i contributi fondamentali apportati alla disciplina dai numerosi studiosi “incontrati” sul nostro cammino, al di là di teorie, idee, correnti di pensiero e scuole nazionali, sappiamo invece poco, o nulla, dei singoli e diversificati percorsi esistenziali. Infatti spesso, al di là delle righe scritte dai ricercatori, c’è esclusivamente il nulla. Ove ad hoc non abbiamo potuto approfondirne la vita. Circostanza secondo me determinante per comprendere appieno ciò che ritroveremo all’interno di un discorso scientifico. Se poi, per ipotesi, siamo in possesso di qualche elemento in più, spesso è lì, appiccicato nel vuoto “più spinto”, slegato dalla realtà, frammentato…

   Eppure gli uomini e le donne che hanno un “posto” in questa mia galleria virtuale, ciascuno nel proprio campo e nel proprio paese, sono personaggi indubbiamente d’eccezione e valgono, non solo per ciò che hanno fatto all’Università, o sul terreno. Tutti loro hanno difatti apportato straordinari contributi a scienza e conoscenza. Molti hanno avuto echi di portata mondiale e storica. E il loro vissuto continua tuttora a stupirmi. Poiché, man mano che mi sono addentrato nelle loro vite, sono rimasto sempre più colpito ed attratto da quelle che sono state le profonde passioni, che li hanno guidati sui loro strabilianti, se non unici, itinerari esistenziali e scientifici. Peraltro spesso in tempi ed epoche dove pressoché tutto risultava difficoltoso, pionieristico, pericoloso, impossibile. Poiché ci si doveva inoltrare con pochi mezzi, a volte anche con scarsi riconoscimenti, in terreni “geografici” e “culturali” prima di allora mai violati. Osservando e partecipando alla vita dei popoli più diversi, in particolare di quelli un tempo definiti “primitivi”. Rischiando spesso la vita.

   Sempre ricercando la Verità e le risposte a mille interrogativi, hanno studiato le sfaccettature culturali dei gruppi umani. “Diversità” che rendono comunque tutti noi “uguali”: nelle emozioni, nei sentimenti, nei bisogni primari, nella dignità umana… Così, al di là delle loro asettiche descrizioni scientifiche, ho sempre cercato di apprendere: come siano arrivati sul campo e perché, cosa e chi hanno incontrato.

   Trattando di Antropologi, non posso fare a meno di citare alcuni aneddoti personali. A cominciare dal fatto che, sia pure on line, anni addietro fui accettato come membro dallo storico Explorer’s Club di New York. Il primo risale agli ultimi anni della collaborazione all’Osservatore Romano (Terza Pagina e supplemento domenicale). Quando inaspettatamente scoprii in redazione, con indubbia soddisfazione, come fossi considerato l’Indiana Jones del giornale. In quel momento il pensiero mi riportò indietro di oltre una ventina d’anni. Allorché nel 1979, al mio rientro a Khartoum dalla prima ricerca sul campo a Malakal, il Direttore dell’Agip Sudan Ltd. mi svelò come nell’ambiente degli expatriates europei, dopo la mia determinata partenza per l’ignoto…, ero stato soprannominato: Dr. Livingstone. In effetti loro, che si spostavano nelle vicine oasi con almeno un paio di fuoristrada, cuoco e kit d’emergenza medico-chirurgica al seguito, erano rimasti “sconvolti” per il fatto che, poco dopo essere giunto nella capitale sudanese, ero intenzionato a spingermi per 850 km a sud, con un paio di valigie e il borsone con il registratore e la pesante attrezzatura fotografica di quei tempi. Attraversando in jeep il deserto fino a Kosti, per poi risalire lo storico Nilo Bianco su un vetusto battello a pale posteriori per quattro lunghissimi e straordinari giorni…

Guerrieri Zande, foto Czekanowski
[Jan Czekanowski, 1882-1965, spedizione germanica nell'Africa Centrale, 1907-1908]  

Questo volume contiene i primi venti protagonisti delle Grandi Avventure dell’Antropologia. Alcuni di essi si spinsero nelle inesplorate boscaglie del Mato Grosso e del Paraguay popolate dalle tribù indie - dove un italiano vi perderà la vita -. Ma si recarono anche tra i pellerossa delle praterie e dei semi-desertici altopiani del Far West. Per conoscerli, studiarli, registrarne i canti. Addirittura vivere con loro. Come loro. Cioè: “andando nativi”. In un caso cercarono anche di “difenderli”. Nell’Insulindia incontrarono i cannibali del Borneo e studiarono gli isolani di Alor. Nell’Asia sud-orientale si imbatterono nei popoli che vivevano sulle montagne e sopra le barche. Più volte attraversarono da ovest ad est il Continente Nero e nell’Africa centro-orientale scoprirono una moltitudine di popoli, mentre in quella occidentale un colpo di fortuna li fece incappare in uno straordinario “cantastorie”, un vecchio e cieco griot. In seguito dovettero anche prendere atto come egli appartenesse ad un popolo che sapeva dell’esistenza di Sirio B, stella nana visibile solo con il telescopio. E che dire di uno dei maestri dell’antropologia, che si interessò ai nudi Nilotici, ma anche ai Zande. Noti nella letteratura ottocentesca come Niam Niam, poiché cannibali? Ecco ora arrivare colui che, con le sue molteplici spedizioni, riscoprì prima di ogni altro lo spessore culturale delle civiltà autoctone africane. Infine un altro italiano a me molto caro, conosciuto quando ero ancora un ragazzo, scelse l’Africa come campo di ricerca. Trascorrendo la sua vita scientifica tra Etiopia, Somalia e Ghana. Anche gli Inuit, cioè quelli che prima del “politically correct” tutti noi chiamavamo “eschimesi”, hanno qui un loro pregevole testimone, che potremmo definire emico, cioè “dal di dentro”, avendo una moglie Inuit… Inoltre c’è una donna coraggiosa che, all’inizio del XX secolo, si spinse in Siberia fin sulle remote coste del Mar Glaciale Artico. Grazie ai Papua della Nuova Guinea. alle Salomone e alla Polinesia qui sono rappresentati anche gli isolani degli arcipelaghi dell’Oceania.

Guerrieri di Owa Raha, isole Salomone, con lance e clave scutiformi [a forma di scudo], foto Bernatzik, 1936
[Hugo A. 
Bernatzik, 1897-1953]

Al tedesco Adolf Bastian l’onore di aprire il volume: ha fondato a Berlino il primo Museo Etnografico al mondo e trascorso quasi un terzo della sua vita in lunghi e complessi viaggi intorno alla Terra e nei paesi più lontani e sconosciuti. Trasformando la sua inesauribile curiosità per il “diverso” in una straripante passione scientifica per l’Etnologia e l’Etnografia.

LE GRANDI AVVENTURE DELL’ANTROPOLOGIA 

Antropologi culturali, sociali, fisici, applicati, etnologi, etnografi, etnomusicologi, etnostorici. Vol. 1: da Adolf Bastian a Vinigi L. Grottanelli 

E-Book e versione cartacea in bianco e nero di grande formato (16,99 x 24,4), 171 pp., 87 note, 145 immagini

E-Book: https://www.amazon.it/dp/B07GKR6BKP


Versione cartacea: https://www.amazon.it/dp/1719852340

SOMMARIO

1. Le "idee elementari" delle culture umane: lo studioso tedesco Adolf Bastian, uno dei padri dell'etnologia contemporanea

2. Tra "gli spiriti delle foglie gialle": Hugo A. Bernatzik, uno dei massimi etnologi e viaggiatori austriaci"

3. Tra i miti e le realtà del Borneo favoloso: l’esploratore ed etnografo norvegese Carl Alfred Bock, uno tra i primi studiosi dei Dayaks

4. Un artista tra gli indios del Mato Grosso: Guido Boggiani, pittore, fotografo, esploratore ed etnografo, morto in circostanze misteriose

5. George Catlin, pittore-etnografo, spese la sua vita per difendere e far conoscere il mondo in rapida scomparsa degli indiani d'America

6. La saga di Ténatsali “Fiore medicinale”: Frank H. Cushing, uno dei più singolari esponenti della Storia dell’Antropologia

7. La polacca Maria Antonina Czaplicka e la sua ricerca sul campo nell’artico siberiano

8. Un polacco in Africa centrale: l’antropologo Jan Czekanowski protagonista della prima missione scientifica nei Grandi Laghi

9. Un genovese in Nuova Guinea: Luigi M. D'Albertis, primo europeo a esplorare la terra degli uccelli del paradiso

10. La grandiosa opera etnomusicologica di Frances T. Densmore sui canti degli Indiani delle Pianure

11. Lo Xingú, un remoto angolo di mondo: Karl von den Steinen con le sue complesse esplorazioni scientifiche nel Mato Grosso è il “padre dell'etnologia brasiliana”

12. Tra i "sapienti" Dogon del Mali: gli importanti studi sull'Africa occidentale dell'etnologa francese Germaine Dieterlen

13. Storie di vita nelle Indie Olandesi: l'antropologa americana Cora A. Du Bois nell'isola di Alor compì studi fondamentali sulla cultura e la personalità dei nativi

14. Fred Eggan antropologo moderno. Lo studioso statunitense che ha saputo coniugare etnologia storica e struttural-funzionalismo

15. Lo studio sistematico del popolo dei Nuer: Edward Evans-Pritchard, maestro dell'antropologia sociale britannica

16. Un "ragazzo" tra i Maori: l'antropologo neozelandese Sir Raymond Firth

17. Il “Grande Peter” degli Inuit artici: la vita avventurosa dell’esploratore e antropologo danese Freuchen

18. Con ricerche audaci e "fuori dal coro" l'esploratore tedesco Leo Frobenius rivoluzionò gli studi etno-antropologici, restituendo all'Africa la propria storia

19. Un appassionato studioso dell'Uomo dalle biblioteche alle piste dell'Africa occidentale: l'antropologo francese Marcel Griaule, maestro di generazioni di ricercatori

20. Lungo la via maestra dell'etnologia italiana, un nome su tutti spicca nella ricerca sul campo e nell'analisi teorica: quello di Vinigi L. Grottanelli


mercoledì 29 dicembre 2021

7. A RAYMOND MAUFRAIS (1926-1950), ESPLORATORE FRANCESE VENTITREENNE, SCOMPARSO NELLA GIUNGLA DELLA GUYANA FRANCESE NEL 1950

 


Dedico questo settimo ed ultimo post del primo “ciclo” del mio blog ad un giovane, poco più di un ragazzo, la cui vicenda umana mi aveva profondamento commosso, allorché negli anni ‘1960 lessi il suo libro: Foresta Crudele, Avventure in Guiana, pubblicato nel 1954 dalla “Leonardo Da Vinci”. Bari. Edizione francese: 1953). Nonostante la sua giovanissima età, il suo breve, ma assai intenso e determinato cammino esistenziale, pieno di accadimenti fuori del comune, lo si può forse paragonare ad una luminosissima meteora che, dopo aver rischiarato il buio del cielo, scomparirà per sempre nel nulla. Raymond non aveva molti più anni di me. Era un “quasi-coetaneo”. E avrei appreso la sua avventurosa vita, grazie ai taccuini e ai diari ritrovati sulla sponda del fiume Tampock, sub affluente del Maroni, da un indiano Emérillon, nell’interno della giungla della Guyana francese, dove c’era stato l’ultimo suo bivacco.

Nonostante la giovanissima età, già durante l’occupazione tedesca, a sedici anni, aveva fatto parte dei maquis francesi, cioè della Resistenza. A diciotto anni e mezzo era stato insignito della Croce di Guerra e, poi, aveva lavorato come corrispondente di guerra per il giornale Gavroche. Diventando, infine, paracadutista in Indocina (Maufrais, 1954: 8).

Nel 1946 in Brasile si aggrega ad una missione dello S.P.I. (Serviço de Proteção aos Índios, 1910-1967, diventato poi FUNAI, Fundação Nacional do Índio), comandata da Francisco Meirelles. E' diretta  tra i "bellicosi" Chavantes del Mato Grosso. Dopo 1.800 chilometri di fiumi e 900 di pampa e foreste, la spedizione giunge in  una radura, nei pressi del Rio das Mortes: un nome che è tutto un "programma"... Qui scoprono i resti della precedente spedizione, sempre dello  S.P.I., di Genésio Pimentel Barbosa. Ucciso assieme a quasi tutti i suoi compagni. I Chavantes attaccano anche quella di Mereilles, che riesce però a scappare. Lasciando sul terreno uno dei suoi membri. Infatti il motto del fondatore dello SPI, il Maresciallo ed esploratore Cândido Mariano da Silva Rondon, era: "muori se necessario, non uccidere mai". Quindi, anche se si viene attaccati, non si può rispondere con le armi...

Dopo essere rientrato a Rio de Janeiro, Meirelles decide di tentare nuovamente di stabilire un contatto amichevole con quegli indios. Torna perciò nel 1947 nel Mato Grosso, incontrandovi Maufrais, che era rimasto nella regione. Quindi, dopo più di tre mesi di tentativi falliti, i contatti  hanno infine successo: i Chavantes sono "pacificati!  

Maufrais ritornerà in Francia nel 1948. Qui, grazie ai suoi exploits brasiliani, entra a far parte dei giovani esploratori del gruppo Liotard (esploratore francese ucciso nel 1940 nel Tibet). Fondato nel Museo dell'Uomo di Parigi nel 1945, sotto l'egida della Società degli Esploratori francesi.   

Nel 1949 in un’intervista dichiara: “riparto per un paio d’anni per la Guiana, allo scopo di battere la foresta e cercare di penetrare il segreto dei Tumuc Humac. Credo di essere il terzo francese, dopo Crevaux e Coudreau, che tenta una spedizione di questo genere. La giungla e l’assoluta mancanza di carte geografiche, il pericolo di imbattersi in tribù selvagge, hanno praticamente fatto che i tentativi precedenti rimanessero senza seguito. Penso di riuscire perché sarò solo. Il che significa che per due anni vivrò la medesima vita da primitivo degli abitatori di quelle regioni (…) Perché parto per la Guiana. Perché è un paese sconosciuto ed io ho sete di scoprire (…) Perché parto solo? Perché adoro la vita pericolosa e perché sento che, senza portatori, zaino in spalla e scure alla mano, in piena giungla mi sentirò veramente libero (…) L’avventura dell’esploratore è un’avventura di purezza e d’umiltà. Cercherò di accostarmi ai primitivi, di comprenderli, di dividere la loro vita” (Maufrais, 1954: 5-6).  

L'intenzione di Raymond è quella di raggiungere le mitiche montagne Tumuc-Humac (una lunga catena quasi completamente inesplorata, dove secondo Sir Walter Raleigh poteva essere situata la città di El Dorado), per poi attraversare l'ignota regione del Brasile centrale. Discendendo il  Rio Jari fino al Rio delle Amazzoni e, infine, arrivare a Bélem.  

Venerdì 13 Gennaio [1950]

Sono andato a caccia senza risultato per due ore. Ho trovato soltanto un inga o “pisello sacro”, uno solo ahimè, perché la foresta non è prodiga dei suoi frutti. Questo è delizioso: un lungo baccello bruno pieno di miele bruciato e di piccole mandorle amare. Le formiche vi avevano già installato una piccola avanguardia: le ho subito snidate e la mia avida lingua, svuotando il frutto, non lascerà niente di esse. Dunque bisogna partire affamati… Eppure, a conservare un’assoluta immobilità per ore e ore, si possono vedere una quantità di uccelli, ma il minimo gesto basta a spaventarli, e appena tento di aggiustare la carabina, eccoli subito spariti. Speriamo che il fiume mi sia più favorevole. Suvvia in marcia: fino al fourca 5 chilometri; fourca-Camopì 25 chilometri; Camopi-Bienvenue 45 chilometri. A presto adorati genitori… abbiate fiducia! Abbandono questo quaderno per portare con me solo un taccuino tascabile: è vostro, l’ho scritto pensando a voi e ve lo consegnerò ben presto. Vi ho giurato di tornare: tornerò se Dio lo permette” (Maufrais, 1954: 166-167).

Non potevo non essere commosso fin quasi alle lacrime, pensando a quelle che sono state le ultime parole vergate da Raymond sulla carta, con una matita, che a stento riusciva a tenere tra le sue dita, per l’estrema debolezza. Steso e affamato sulla sua amaca… Come non provare affetto per Raymond, anche senza averlo mai conosciuto!

Nel luglio del 1951 l'agenzia stampa ufficiale della vicina Guyana olandese lancia al mondo la notizia della scomparsa. L’anno dopo (1952) il padre Edgar decide di andare a cercarlo, seguendo un itinerario diverso per raggiungere i monti Tumuc-Humac, rispetto a quello del figlio [nota dell’editore francese René Julliard, pag. 8-9, alla quale si aggiunge quella dell’editore italiano, che già parla di un quinto tentativo del padre dell’agosto del 1954]. 

Da: "Les Français en Guyane ... Illustrations, etc., GROS, Jules - Membre de la Société de Geographie de Paris [With a preface by H. A. Coudreau.], 1887, British Library 

HASSOLDT DAVIS 

Qualche tempo dopo aver letto Foresta Crudele, mi sarei “imbattuto” in un altro libro sulla Guyana francese: La Giungla e i Dannati, considerato da Hemingway “affascinante”. L’aveva scritto Hassoldt Davis (1907-1957), esploratore statunitense “leggermente” eccentrico e membro dell’Explorer’s Club di New York, che aveva trasformato il proprio viaggio di nozze in una spedizione in terra sconosciuta. Ovviamente assieme alla novella sposa, Ruth Staudinger, fotografa e cineasta.

Il libro riporta il resoconto di quel viaggio di 750 km, per raggiungere i monti Tumuc-Humac, che però non si vogliono superare, al contrario di Maufrais. Perché Davis intende studiare le popolazioni che riuscirà ad incontrare. Non prima di aver raccontato, in itinere, “i crudeli episodi dei centri di deportazione e la paurosa vita degli evasi” dal famigerato carcere dell’Isola del Diavolo. Dalle riprese cinematografiche della moglie verrà realizzato per la Warner Brothers il film muto a colori, in 16 mm, Jungle Terror (1949), oggi nella collezione della Smithsonian. E la spedizione viene effettuata appena un anno prima di quella di Raymond (1948).

Ovviamente è allestita “alla grande”, all’americana... Avrà carretti “tirati da forzati e carichi di quella che sembrava una montagna di equipaggiamento per i cinque mesi da trascorrere nella boscaglia” (pag. 96). Perché è stata rifornita di provviste in abbondanza dalla Borden’s Milk Products e dalla Dorset Foods. Quindi, per risalire il fiume Maroni e oltrepassare le sue 80 grandi rapide, si servirà di sette canoe e di rematori negri Boni (oggi Aluku). Discendenti dai cimarroni (schiavi africani), che nella parte superiore del fiume, laddove muta il nome in Itany e si restringe notevolmente, dovranno utilizzare lunghe pertiche, per poter avanzare. Infine eccoli davanti ai Tumuc-Humac. Così salgono su una delle cime (Ga Mongo) del Knopoyamoye. Monte che era stato raggiunto sia da Crevaux che da Coudreau. I due esploratori menzionati da Maufrais. 


Davis
.

EDGAR MAUFRAIS E LE SUE 22 SPEDIZIONI IN GUYANA E BRASILE, "con il revolver alla cintura, il machete in una mano, il fucile nell'altra", ALLA RICERCA DEL FIGLIO RAYMOND 1952-1964


Edgar Maufrais, al centro della foto, spedizione del 1956. 
Imagem do Fundo Correio da Manhã, Brasilian National Archives 

Proprio nel mese di novembre di quest’anno in Francia è uscita: La saga des Maufrais di Edgard Maufrais, Raymond Maufrais, ai quali nel titolo è stato aggiunto anche il nome di Patrice Franceschi, già Presidente della Società degli Esploratori francesi (2002-2006). 

Quando ho deciso di scrivere questo post, dedicandolo a Raymond Maufrais, non sapevo che la pluriennale ricerca del padre Edgar fosse proseguita per molti anni, anche dopo le spedizioni già menzionate dell’editore italiano (1954). Circostanza che, naturalmente, avrei appreso sul Web, tanto da restarne ancora una volta emozionato. A distanza di così tanto tempo da quell'antica lettura, Da Internet avrei anche saputo come nel paese d’oltralpe le vicende umane del giovane Raymond e del padre siano di estrema attualità. 

Così si può dire come questo post, sia pure molto involontariamente, sia giornalisticamente “sulla notizia”…  

Del resto apprendere come il padre abbia dedicato buona parte della sua vita alla speranza,  per lui "quasi una certezza", di poter riabbracciare l’amatissimo figlio nelle giungle della Guyana o del Brasile, non poteva non rattristarmi, oggi. In un periodo già di per sé abbastanza triste e deprimente, a causa della pandemia, del suo prolungarsi, del non vedere ancora un po’ di luce in fondo al tunnel... Ma in quell'uomo, che il dolore aveva invecchiato prima del tempo, tanto che molte pagine Web di lingua spagnola e portoghese lo definiscono viejo o velho, ho visto l'amore sconfinato di un padre, unito alla sua testardaggine, alla sua cocciutaggine, ad un'indomita volontà, mai messa in discussione, mai minimamente scalfita dal ripetersi delle "sconfitte" che incontrerà sul suo cammino. Perché "Edgar organizza diciotto spedizioni, percorre dodicimila chilometri in dodici anni, mostrando a tutti quelli che incontra l'immagine di suo figlio. Conosce il tradimento, la prigione, la fame, la malattia, durante questa instancabile ricerca. E questo, senza alcuna preparazione, senza mezzi: ha chiesto un permesso non retribuito all'Arsenale" (Babelio, "Edgar Maufrais", Web Page, 31.12.2021). In realtà Uztarroz nel suo dettagliatissimo libro sull'"Amazzonia, Mangiatrice di Uominidescrive ben 22 spedizioni. 

Viaggi che cercherà di pagare, sia vendendo i gioielli di famiglia, che con i diritti d'autore dei due libri del figlio (oltre ad Aventures en Guyane, pubblicherà infatti anche il diario di Raymond sulla prima spedizione brasiliana: Aventures au Mato-Grosso, 1951), Oltre a quelli derivanti dal  libro delle sue esplorazioni di ricerca (À la recherche de mon fils, 1956)

D'altronde lo stesso Raymond, che con la famiglia viveva a Tolone (dal 1976 una strada della città è intitolata a Raymond ed Edgar Maufrais), dove era nato e dove suo padre faceva il contabile nell'Arsenaleparlandnel suo diario del genitore, ci dice che è di "Beauce,... famoso testardo". Quindi non può che aver preso da lui! 

Una nota del traduttore italiano sottolinea come la cittadina sia nota per la cocciutaggine dei suoi abitanti (sic) (pag. 22). Il che viene confermato anche dal Web.

Nel 1952 la prima spedizione di ricerca. Il cinquantatreenne Edgar parte per il Brasile, stabilendosi a Macapá, alle porte della foresta Amazzonica, sulla sponda sinistra del Rio delle Amazzoni, a non molta distanza dalla Guyana francese. Il locale corrispondente del Folha do Norte aveva infatti scritto che Raymond era stato visto attraversare, a piedi nudi e con la barba, un villaggio sperduto nella regione montuosa di Bom Principio. Da allora si era però persa ogni sua traccia.

A Macapá lo aiutano alcuni suoi connazionali: il corso René Santamaría, cercatore di diamanti in Venezuela, il parigino Maurice de Hainault, esploratore della Guyana, un francese di origine ungherese Iván Lazlow, volontario della Legione Straniera, lo studente  di medicina Michel Van de Velde. Il 23 settembre Edgar si inoltra nella selva, risalendo con una piroga le acque del fiume Jari, verso San Antonio, un villaggio di garimpeiros. Poi il 22 dicembre del 1952 raggiunge Mariposoula. Realizzando così, sia pure al contrario, il progetto del figlio. Infine il 4 gennaio del 1953 arriva alla  Caienna. 

Successivamente, a partire dal marzo del 1953, fino al luglio del 1954, si reca in qualsiasi luogo del Brasile, dove ci sia stato qualche avvistamento di bianchi sconosciuti, Così effettuerà otto spedizioni all'interno di un triangolo, i cui vertici sono rappresentati da Manaus, Santarém e Itaituba. Di nuovo in Guyana, il Prefetto Vignon organizza per lui due spedizioni, al comando del gendarme Chaveau, un profondo conoscitore della brousse,  Quindi nel 1955 ecco una nuova spedizione. 

Tra il 5 agosto e il 24 dicembre del 1956, è accompagnato dal giornalista Daniel Thouvenot e da quattro indios Emérillon. Percorrerà a piedi e in piroga centinaia di chilometri, dal fiume Maroni, al confine con la Guyana olandese, all'ignoto fiume Oyapock, al confine con il Brasile. Muovendosi sul "cammino degli Emérillon", che collega i due bacini fluviali e che conduce fin sulla cresta dei Tumuc-Humac, "con il revolver alla cintura, il machete in una mano, il fucile nell'altra". Mentre Daniel porta un sacco pesante 25 chili (Ricardo Uztarroz, Amazonie mangeuse d'hommes. Incroyables aventures dans l'Enfer vert,  Parigi, 2008). Esplorerà l'alto Camopi e alcuni suoi affluenti, all'epoca sconosciuti.

.Nella primavera del 1957 Edgar, ancora affiancato da Thouvenot, effettua l'esplorazione del fiume Yaroupi, tumultuoso affluente dell'Oyapocknel pieno della stagione delle piogge,  con quattro indiani Oyampi [oggi Wayãpi].  (Daniel Thouvenot,  "La mia biografia", Web Page 2.1.2022). Deve però rientrare a Caienna, perché Thouvenot è richiamato in Francia, a causa della guerra d'Algeria. Così la moglie Marie-Rose lo scongiura di rientrare a Tolone, ma Edgar si rifiuterà categoricamente.

Nella diciassettesima spedizione (1958) con il giovane francese Michel Canton giungerà fino alla sorgente dello Yaroupi, altro affluente dell'Oyapock. Finalmente, dopo ca. sei ininterrotti anni  in Sudamerica, è di nuovo a Tolone, anche se è sempre intenzionato a ritornare laggiù.

Tra il 25.8.59 e il 26.4.61 effettuerà altre tre spedizioni, tra Guyana e Brasile, Nel 1961  un team televisivo di Réseau Outre-Mere si imbatte casualmente in Edgar a Maripasoula (fiume Maroni). Dopo averlo intervistato, l'équipe perfezionerà il servizio, incontrando la moglie a Tolone.

Dal giugno 1963 all'agosto del 1964 l'ultima sua spedizione. Con due indiani si dirige  ancora una volta lungo il "cammino degli Emérillon". Partito il 27 maggio del 1964 da Camopi è sua intenzione ora raggiungere Mariposoula, sul fiume Maroni, in quella che doveva essere una sorta di "pellegrinaggio" sui luoghi percorsi dal figlio. Era stato fissato anche un appuntamento con due autoctoni, che lo aspettavano in un luogo prefissato, con una piccola piroga a motore. Edgar, però, nel giorno previsto non si presenterà  (forse per un incidente?). Dato l'allarme, viene approntata la missione di salvataggio "Ocelot". Per diversi giorni verrà ricercato nella brousse da una squadra di gendarmi, accompagnati da negri Boni e da indios. In tutto 14 uomini, su tre canotti a motore,  Infine verrà rintracciato il 20 giugno del 1964, nei pressi di Dégrad ["porto fluviale"] Hubert. E' oltremodo debilitato ed è ospite di una famiglia indiana, altrettanto sofferente. 

"Il 16 giugno 1964, una spedizione di salvataggio fu organizzata dal gruppo della gendarmeria della Guyana per trovare Edgar Maufrais disperso nella foresta pluviale amazzonica da 15 giorni. Edgar Maufrais, è il padre del giovane giornalista ed esploratore Raymond Maufrais, scomparso lui stesso nella boscaglia nel gennaio 1950, mentre cercava di collegare la Guyana e il Brasile attraverso le montagne Tumuc-Humac. Edgar Maufrais trascorrerà più di 10 anni alla ricerca di suo figlio in Amazzonia; Tuttavia, questa ricerca si concluse il 20 giugno 1964, quando i gendarmi scoprirono un uomo in uno stato estremamente debole, stremato dalla privazione. Al termine di questa missione di salvataggio, il capo squadra  Ricatte scrive per i suoi superiori un rapporto che dettaglia la cronologia dei fatti e che è accompagnato da una lastra fotografica, che illustra gli eventi significativi dell'avventura" (Ministére des Armées, Service historique de la Défense, Mission de secours en Guyane – Edgar Maufrais: WEB page last modified, 21.4.2021, 5.1.2022)

Ministére des Armées, Service historique de la Défense, Mission de secours en Guyane – Edgar Maufrais.

GD 2007 ZM 1 34929

Così Edgar accetterà di mettere la parola fine alle sue infruttuose e disperate ricerche, tornando infine a Tolone. 

Edgar muore del 1974. 

La moglie Marie-Rose, che per tanti, troppi, anni è dovuta restare tutta sola a Tolone, aspettando il ritorno del marito dal Sudamerica, morirà nel 1984 in un manicomio.   











mercoledì 15 dicembre 2021

6. AREE GEOGRAFICHE E CULTURALI 1. LA FASE SUDAMERICANA “VIRTUALE”: 13/14-19/20 anni d’età, ca.: 1960-1966

 


Lotta tra indios nel Parque do Xingu 
( Marcello Casal- Agência Brasil)

PREMESSA

In più di un’occasione chi mi conosceva da poco tempo (colleghi, membri della Società Geografica Italiana, redattori del mio giornale) si domandava se fossi sempre io lo stesso antropologo, che aveva fatto ricerca in Africa, o tra gli eschimesi del Canada. 

Del resto nella Storia dell’Antropologia figurano diversi grossi personaggi, che hanno indirizzato i loro interessi con uguale efficacia, sia verso i tropici, che verso l’Artico. 

Il mio percorso esistenziale e scientifico nei decenni mi ha portato in continenti diversi. 

A partire, sia pure “virtualmente”, dall’età adolescenziale. 

Quando i miei studi erano pressoché completamente focalizzati sul Sud America.

Ma c’è ancora un'altra domanda che spesso mi è stata rivolta. Riguarda la mia laurea in Economia e Commercio, certamente ben lontana da quella in Lettere, forse più consona per un futuro antropologo. 

Ciò si deve al fatto che mia madre voleva che avessi un diploma, per poter lavorare (mio fratello non era riuscito a conseguire la licenza liceale). 

Così nel 1965, quando mi sono diplomato Ragioniere e Perito Commerciale, la Facoltà di Economia e Commercio era quasi l’unica alla quale poter accedere in quel periodo. 

Anche se, usufruendo di un Piano di Studi “aperto”, sarò in grado di sostenere esami in discipline insegnate a Lettere, Scienze Politiche, Magistero.

Ho ancora da dire qualcosa sull’Istituto Tecnico Maffeo Pantaleoni, dove entrai nel 1960. 

La mia sezione, la C, era sperimentale. 

Disponeva di tutti i laboratori. Invece di un anno di dattilografia, se ne fecero due (tolsero la Calligrafia). 

Il mio corpo docente era estremamente selezionato. 

Tutti i miei insegnanti avevano pubblicato libri, compreso quello di Religione, che era stato Cappellano della Folgore e ad El Alamein. Per quanto riguarda l’inglese, oltre a studiare la lingua direttamente sui libri della Oxford University Press (a quei tempi una didattica invero rivoluzionaria), ci si basava sulla grammatica di Gremigni, il mio professore, che l’aveva scritta assieme ad Amato (sarà mio insegnante all’Università). 

I.T.C. Maffeo Pantaleoni, V sez. C, a.s. 1964-65.
Sono il terzo da sinistra, in alto. Sono immensamente grato a Luisa Natali, alias "Tip Tap" su Facebook, per averla "postata" nel Gruppo del Pantaleoni 

Per completare l’aspetto linguistico, sposerò una ragazza sudafricana di Città del Capo (padre di discendenza scozzese, madre di discendenza francese): ben presto la mia seconda lingua diventerà l’inglese!

 

Giovani indie Kayapo, Stato del Pará, Brasile 
(, http://veton.picq.fr)

IL FASCINO DELL’AMAZZONIA. I PRIMI LIBRI DI SPEDIZIONI ESPLORATIVE, ETNOLOGICHE, ANTROPOLOGICHE

Da ragazzo, ancor prima di frequentare Biblioteche e Musei, mi ero notevolmente entusiasmato leggendo i resoconti delle avventurose imprese realizzate tra Amazzonia e Mato Grosso da diversi grandi esploratori ed etnologi. 
Ad esempio, quelle del colonnello inglese Fawcett. 
Scomparso nel nulla nel 1925, nel corso della sua ultima esplorazione sudamericana, alla ricerca di una civiltà perduta
E Fawcett, senza ombra di dubbio, rappresenta l’archetipo del moderno esploratore. 
È lui l’autentico e l’originale Indiana Jones
Perché l'autore delle avvincenti storie dell’archeologo-glottologo-avventuriero, un blend di scienza, azione e rischio in ugual misura, allorché disegnò personaggio e contenuti del suo personaggio non può non essersi ispirato alle imprese del colonnello. 
Specialmente a quella che sarebbe stata l’ultima sua spedizione, la più misteriosa di tutte!


Fawcett
Clark

E dire che ero venuto a conoscenza di questa importantissima figura della Storia delle Esplorazioni, leggendo un passo tratto da: I fiumi scendevano a Oriente
Altro libro di esplorazioni, che mi era stato regalato da mia madre per il mio quindicesimo compleanno (1961). “Per ciascun famoso colonnello Fawcett ci sono centinaia di uomini come lui, che sono scomparsi e dei quali nessuno ha più sentito parlare”. 
Così affermava nel 1946 il Presidente della Società Geografica Peruviana al già famoso esploratore Leonard Clark, anche lui un ex ufficiale. 
In procinto di spingersi nell’Inferno Verde dell’Amazzonia peruviana, dove vivevano indios tagliatori di teste (Jivaros) e cannibali.

A questi primi due libri, anno dopo anno ne avrei aggiunti tanti altri, non solo di pura esplorazione geografica, ma anche di scoperta scientifica, sia etno-antropologica, che naturalistica. 

Volumi che costituiscono vere e proprie "enciclopedie" dell'Avventura, dove tutto ciò che, di fascinoso e straordinario, esisteva al mondo, era realmente accaduto!

 LIBRI, RIVISTE, LIBRERIE, EDICOLE SPECIALIZZATE

Negli anni, incoraggiato da mia madre, un’insegnante elementare “vecchio stile”, amante della cultura, sono gradatamente transitato dai classici libri per ragazzi, Salgari e Verne ovviamente compresi, ai racconti autentici, diremmo oggi non fiction 
Letture alle quali, sistematicamente e con costanza, mi sono dedicato per anni. 
Dapprima sfogliando le pagine dei dieci volumi dell’Enciclopedia di famiglia (la Labor), dove osservavo le foto dei mille popoli dei vari continenti. 
Poi, avendo deciso di diventare da grande un etnologo (allora quello era il mio obiettivo), riserverò un’ora (tra le 21 e le 22) di tutti, o quasi, i giorni della mia vita alla lettura di libri. 
Che parlavano di popoli e tribù allora definite primitive (l’Istituto di Etnologia della Facoltà di Lettere della Sapienza di Roma un tempo si chiamava Istituto delle Civiltà Primitive). 
Descrivevano gli incontri con gli indios, l’attraversamento di giungle impenetrabili, la navigazione di fiumi maestosi e impetuosi. 
Così avrei compulsato i libri sulle spedizioni in Amazzonia del geologo Alfonso Vinci, un nostro italiano, che aveva anche insegnato in un’università venezuelana (Samatari, 1956), quelle di von Hagen, o il famosissimo Tristi Tropici, lo straordinario libro sugli indios brasiliani del grande antropologo francese Claude Lévi-Strauss, e tanti altri ancora. 
Volumi che figurano negli scaffali della mia biblioteca, diversificati a seconda della regione (o continente) e delle tematiche affrontate.

7

Flornoy


Lewis Cotlow


Intanto, mentre continuavo a frequentare la scuola secondaria superiore, iniziavo ad acquisire una conoscenza generale di base sulle aree culturali degli altri continenti. 

Leggendo, ad esempio, i libri di Fosco Maraini (Giappone), di Tucci (Nepal), di Quilici (Polinesia). 

Mentre mi sarei avvalso delle riviste Storia Illustrata, della Mondadori, e di Historia, della Cino del Duca, il cui direttore era allora il Prof. Cutolo, famoso e simpatico personaggio televisivo (ma anche docente universitario). 

Entrambe ospitavano in ogni numero interessanti articoli illustrati di etnologia e antropologia. 

Inoltre, proseguendo il contemporaneo apprendimento dell’inglese e del francese, senza essere socio o abbonato, riuscivo a reperire la rivista della National Geographic nelle fornitissime edicole di Via Veneto. 

Infine nel 1965, appena diplomato e subito iscritto all’Università, seguendo il consiglio del Prof. Grottanelli, che mi aveva consigliato di imparare il tedesco, all’epoca dominante nella letteratura etnologica mondiale, decisi di frequentare un corso di tedesco per un anno.   



E che dire delle assidue “ricognizioni” in un paio di librerie romane, per acquisire nuovi libri? 

La Gremese (di via Cola di Rienzo) e la Bonacci (di via Vittoria Colonna) 

Così, dopo il ripetersi delle mie “incursioni” all’interno delle due librerie, con relativi acquisti di libri con i soldi delle mie “paghette” settimanali, quando ad un certo punto sembrava che non ci fossero più nuovi arrivi nel campo etno-antropologico, ero uso vagabondare solitario tra le varie scaffalature. 

Anche servendomi di una scala, perché: “hai visto mai che sugli scaffali più alti posso trovare ancora qualcosa che mi manca”?

In un secondo tempo mi sarei comunque rivolto “all’estero”.

Saulnier

Qualche pregiato volume l’avrei infatti acquisito nella storica libreria francese (Piazza di S. Luigi dei Francesi). 
Ad esempio sulla Nuova Guinea il voluminoso e superbamente illustrato: Les Papous Coupers de têtes- 167 jours dans la prehistoire, di Tony Saulnier del 1960. 
Che racconta la pericolosa spedizione effettuata nel 1959 nell’interno inesplorato della Nuova Guinea olandese (oggi Irian Jaya), diretta dal documentarista ed esploratore francese Pierre-Dominique Gaisseau. 
Poiché area considerata estremamente pericolosa, tutti i suoi membri erano armati e la spedizione era scortata da sei poliziotti. 
In proposito, ricorda Saulnier, come: “i Mappi, tribù vicina degli Asmat, designassero un’altra tribù dell’interno, che non era mai stata contattata [dagli europei], con il nome di Mannuwaé (…) che voleva semplicemente dire: il nostro cibo” (Saulnier, pag. 36). 
Erano in effetti dei cannibali! 
Purtroppo, appena un anno dopo, in quello stesso settore costiero della Nuova Guinea occidentale sarebbe scomparso il giovane Michael Rockfeller. 
Probabilmente ucciso e, a quanto pare, viste le testimonianze nel tempo acquisite dalle forze di sicurezza, prima olandesi, poi indonesiane, anche mangiato dagli Asmat.

Nell’altra storica libreria inglese, la Lion Bookshop, allora in via del Babuino, tra gli altri volumi avrei acquistato White Waters and Black, di Gordon MacCreag del 1961 (1926). 

Riguardava una spedizione nella regione amazzonica tra il Rio Negro e Branco, ai confini tra Brasile e Venezuela.

 Gordon MacCreag


 

DOCUMENTARI TELEVISIVI E CINEMATOGRAFICI

Negli anni ‘1960 avrei “assorbito” ogni documentario disponibile, trasmesso sia dalla televisione, che proiettato nei cinema. 

A quell’epoca risalgono i documentari di Gualtiero Jacopetti (1919-2011), con l’apporto del naturalista Franco Prosperi (1928-) e quello dello scrittore Stanislao Nievo (1928-2006), 

Le sale cinematografiche erano sempre stracolme. 

Anche se per un “aspirante” cultore delle Scienze dell’Uomo (in proposito scrissi una recensione, rimasta ovviamente nel cassetto) avevano un “taglio” decisamente un po’ troppo sensazionalistico, un paio dei suoi documentari furono addirittura premiati con il David di Donatello (il primo fu anche candidato al premio Oscar, per la migliore colonna sonora, comprendente la celeberrima More di Riz Ortolani e Nino Oliviero). 

Mi riferisco a Mondo Cane 1 (1962), Mondo Cane 2 (1963), La donna nel mondo (1963), Africa Addio (1966).

Maria Nanni Germano

 LA MIA PRIMA “COLLABORAZIONE” BIBLIOGRAFICA E ICONOGRAFICA

Intorno al 1964-65 con i miei libri su Amazzonia e Brasile ho agevolato la realizzazione di un libro sul Rio delle Amazzoni della Prof.ssa Maria Nanni Germano, moglie del mio docente di Lettere dell’Istituto Tecnico Commerciale (Loescher, Torino, 1966).


CONTATTI, SIA PURE “INDIRETTI”, CON IL MONDO INDIO E AMAZZONICO:

MOTILONES DEL VENEZUELA

All’inizio degli anni ‘1960 fui letteralmente affascinato dalle parole di un carissimo amico di mio padre, che andammo a trovare a casa sua. 

Conoscendo il mio interesse per i popoli del mondo, mi mostrò un articolo riccamente illustrato, probabilmente pubblicato su Epoca. Riguardava una tribù di indios del Venezuela e le foto che avrei osservato, disse, erano particolarmente rare. 

Avrei poi scoperto il perché… 

Ricordo come le sue descrizioni fossero particolarmente dettagliate e andassero ad arricchire quanto riportato dall’autore del servizio. Marcello non aveva visto personalmente gli indios, ma c’erano stati suoi amici e colleghi di lavoro che si erano malauguratamente imbattuti in alcuni di questi indios, riuscendo comunque a scampare ai loro attacchi. 

Perché i Motilones, si tratta di loro, costituivano un popolo particolarmente bellicoso, che si serviva di archi e frecce per respingere le intrusioni dei bianchi, che tentavano di inoltrarsi nelle loro terre, localizzate tra le montagne della Sierra Nevada, a non molta distanza dalla grande laguna di Maracaibo e dai suoi ricchi campi petroliferi.

Quindi, sia pure indirettamente, quello fu il mio primo “contatto” con una tribù india “primitiva”. 

Va detto come l’amico di famiglia per ragioni politiche avesse lasciato l’Italia dopo la guerra, andando a lavorare come geometra in Venezuela, nel settore delle costruzioni, soprattutto di strade.

Oggi leggo sul Web che i Motilones, che vivono sia in Venezuela, che in Colombia, nel 1960 furono suddivisi in due distinti gruppi: Yukpas e Baris
Ciò in base ad un progetto di civilizzazione:proyecto civilizatorio emprendido por los Estados colombiano y venezolano” (“Motilones: from the «mansos» or «bravos» Indians to Yukpas and Baris (1910-1960)”, Marisol Grisales Hernández, pp. 71-72; Boletín Americanista, lxix, 1, 78, Barcellona, 2019, 71-90. PDF 23021-Texto del artículo-64924-1-10-20190730, 8.12.2021). 
Opera di pacificazione portata avanti da numerose spedizioni, che nel corso di mezzo secolo, dal 1910 al 1960, cercarono di “reducir o amansar a los nativos” a suo tempo definiti, a seconda delle loro reazioni nei confronti dei bianchi, “miti” o “selvaggi” (p. 78).  
Infatti “il 22 luglio del 1960 missionari cappuccini castigliani entrarono nel territorio dei Motilones del Catatumbo, sia via terra, che in elicottero, con l'accompagnamento di dodici Yukpas e diversi abitanti del villaggio; dopo essere scesi dall'elicottero nei pressi di due capanne indigene annunciarono la pacificazione e il primo contatto con i Catatumbo Motilones dalla parte venezuelana (…) Questo contatto ha permesso l'ingresso non solo di missionari ma anche di antropologi interessati allo studio di questa tribù, di cui fino ad allora si avevano solo pochi dati” (p.85).    


YANOAMA DEL RIO NEGRO, BRASILE


Biocca

Il mio, sia pure indiretto, “secondo contatto” con gli indios amazzonici, ha avuto diverse opportunità di estrinsecarsi nel tempo. Iniziando nel novembre del 1963 e terminando negli anni ‘1980. 

Il più lontano risale, infatti, al 1963. 

Quando nell’Aula Magna del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma furono annunciati alla stampa i risultati della missione scientifica italiana condotta nella foresta vergine equatoriale, a cavallo tra il bacino del Rio delle Amazzoni e quello dell'Orinoco, in Sud America. 

Spedizione diretta dal Prof. Biocca e composta, tra gli altri, dai Proff. Baschieri, Mangili, Bagalino, Ponzo. 

Scopo della missione era lo studio di una delle più "primitive" popolazioni del globo: i nomadi cacciatori-collettori Yanoáma (etnonimo che significa: "quelli del villaggio"), che praticano anche delle elementari forme di arboricoltura e di "agricoltura". 

Resoconto che avrei letto sul Messaggero il giorno dopo. Contemporaneamente venne diffusa l’eccezionale notizia riguardante la vicenda personale di Helena Valero. 

Donna di lingua spagnola rapita venti anni prima da un gruppo Yanoáma, quando era ancora una bambina. 

Dopo svariate peripezie, da pochi anni era riuscita fortunosamente a fuggire, ritornando al mondo dei bianchi. 

Tra l’altro proprio lei era stata l'inconsapevole filo conduttore della doviziosa ricerca sul campo, grazie al racconto della sua straordinaria esperienza di vita tra gli indios.

In quell'epoca riuscii ad ottenere dal Prof. Baschieri, direttore dello Zoo di Roma, una speciale autorizzazione per osservare ed ammirare i numerosi reperti biologici (per lo più animali imbalsamati) ed etnografici (armi, abbigliamento, copricapi di piume, ecc.), temporaneamente collocati nel Museo Zoologico, allora chiuso al pubblico. 

Ricordo che trascorsi una mezza e straordinaria giornata, osservando “rapito” il contenuto di quelle vetrine.

In seguito più volte compulserò, nella Biblioteca del CNR, i quattro voluminosi tomi dei Viaggi tra gli Indi. Alto Rio Negro Alto Orinoco. Appunti di un Biologo nel 1965-1966. 

Mentre acquisterò il resoconto integrale della vita della Valero, così come fu registrata dal Biocca (Yanoáma, dal racconto di una donna rapita dagli Indi, Bari, del 1965). 

Più tardi mi procurerò anche Mondo Yanoáma, sempre del Biocca, Bari, 1969. 

Nell’estate del 1968 con mia moglie e mio figlio mi trovavo in un campeggio di Albinia (GR). 

A quei tempi ero segretario del Liceo Classico di Orbetello. 

Una mattina (la sera prima ero stato a cena in un ristorante di Porto Santo Stefano) mi sentii così male, che la direzione del camping fece un appello, chiedendo se tra i campeggiatori ci fosse un medico. 

Un dottore così si presentò alla mia tenda. 

Venuto a conoscenza dei miei sintomi, disse che avevo una gastroenterocolite acuta e che, per sicurezza, dovevo subito andare all’ospedale di Orbetello. 

Il medico si chiamava Ezio Ponzo… 

Rimase molto meravigliato, come prima lo ero stato io, sentendo il suo nome, per il fatto che fossi a conoscenza della sua partecipazione alla missione amazzonica in qualità di psicologo (ma era anche un medico).

Nel 1975 scrissi un articolo su Cimento intitolato: Il Problema della Traduzione nella Antropologia Culturale, facendo esplicito riferimento alla pluriennale vicenda della Helena Valero. 

Articolo che anni dopo riproposi, sia pure in una veste diversa, sulla Terza Pagina dell’Osservatore Romano.

                               

Giovane Waika [Yanoama] pronto per la festa, 1973 (Ludwig Winklhofer, )

Nella prima metà degli anni ‘1980 scoprii che Franco Russo, il marito di una mia cara amica, negli anni ‘1960 era stato in Amazzonia, assieme al compianto Gerardo Bamonte (un amico americanista, che conoscevo fin dagli anni ’1970), quando erano studenti universitari. 

Là avevano avuto modo di incontrare la Valero e di registrare alcune interviste. 

La loro presenza nella foresta pluviale (dove, per la scarsità di cibo, in qualche occasione dovettero far ricorso alla carne dei serpenti che, a quanto pare, non era poi tanto male…) servì a “preparare” la spedizione Biocca-Baschieri. 

E dire che Gerardo non aveva mai fatto alcun cenno a quella loro avventurosa missione giovanile.

In seguito, mentre Gerardo iniziava con successo la sua brillante carriera accademica, Franco, se non ricordo male, era diventato un importante funzionario dell’ENI. 

Purtroppo sarebbe morto qualche tempo dopo il nostro incontro. Quando l’albergo di Istanbul, dove si trovava, andò a fuoco. 

Così, venuto a conoscenza del giorno del suo funerale a Roma, mi sarei subito dato da fare, riuscendoci, per avvisare Gerardo, in quei giorni in navigazione nel Mediterraneo a bordo di uno yacht. 

Ieri (26 dicembre 2021) prendendo in mano uno dei due libri di Biocca, ho scoperto che tanti anni fa vi avevo inserito un ritaglio di giornale (Mengoni G.,“Lui prof, lei india yanomani: quando l’amore è impossibile”, Il Messaggero, 1° febbraio 1997, pag. 10). 

L’articolo riguardava un antropologo, Kenneth Good (1942- ), che nel 1978, nel corso del suo soggiorno di ricerca tra gli Yanoama (oggi Yanomami), aveva conosciuto l’india Yarima, che allora aveva nove anni. 

Quattro anni dopo la sposerà con una cerimonia tradizionale e da lei avrà un figlio. 

Alla fine del suo lavoro, la porterà nel New Jersey, dove Yarima avrà altri due figli. 

Nel 1992 un team della televisione brasiliana Globo la raggiunse negli USA, scoprendo la sua infinita tristezza, perché non era riuscita ad adattarsi alla nuova situazione. 

Un anno dopo (1993) Yarima lascerà marito e figli, per tornare nella foresta. 

Dove si risposerà ed avrà un altro figlio. 

Un fotografo brasiliano, che l’aveva raggiunta, invierà una sua foto all’antropologo, che “stentò a riconoscerla: nuda con il corpo dipinto, il viso adornato da bastoncini sotto al naso e al labbro inferiore, col nuovo marmocchio sulle spalle, e venti chili di meno rispetto ai tempi in cui mangiava patatine e hamburger”.  

Sul Web scopro oggi il seguito. Good con David Chanoff aveva pubblicato nel 1997: Into the Heart: One Man’s Pursuit of Love and Knowledge Among the Yanomami. 

Inoltre nel 2011 David, uno dei loro figli, è tornato nella giungla per visitare la madre e, in seguito, ha avviato The Good Project, un'organizzazione no profit destinata ad aiutare il futuro degli Yanomami.

Anche se l’antropologo non ha ovviamente “rapito” Yarima, l’intera vicenda assomiglia molto a quella della Valero, sia pure a parti rovesciate…  

Un'ultima annotazione: non a caso il mio pseudonimo come Wikipediano è Yanoama...


Donna Waika [Yanoama] con il cesto per il trasporto, 1973 (Ludwig Winklhofer, )



中文(臺灣): 環形草屋的結構透視圖 (cinese di Taiwan): una vista prospettica della struttura della casa circolare con il tetto di paglia (shabono) (foto Kuliw, 2017 )

Il volume IV (E-Book e cartaceo) della mia tetralogia: ALLA SCOPERTA DEL MONDO. 
Archeologi, Esploratori, Grandi Viaggiatori, Geologi, Naturalisti, Paletnologi, include i seguenti personaggi che si sono interessati al Sudamerica: 

Lungo il Rio delle Amazzoni. Fu il luogotenente di Pizarro, Francisco de Orellana, che per primo discese il grande fiume

Quell'irrequieto misuratore della terra: Charles-Marie de la Condamine, matematico, geodeta nonché avventuroso esploratore

I Tropici visti da un prussiano. Nel 1804 il Barone Friedrich Heinrich Alexander von Humboldt, naturalista e geografo, ultimava la sua storica esplorazione in Sudamerica

La vita avventurosa di un paleontologo: il francese Alcide d'Orbigny, viaggiatore, naturalista e padre della micropaleontologia

L'uomo che esplorò la Guyana: l'esploratore e naturalista sir Robert H. Schomburgk, prussiano di nascita, al servizio dell'Inghilterra

John Louis Rudolphe Agassiz, lo scienziato celebrato da Longfellow. Zoologo, naturalista, paleontologo, glaciologo svizzero-statunitense

I tesori dissepolti del Perù archeologico: Max Uhle, uno tra i principali studiosi delle antiche culture andine

Uno dei grandi misteri della storia delle esplorazioni. "L'archetipo di "Indiana Jones", il colonnello ed esploratore inglese Percy Harrison Fawcett, scomparve nel 1925, cercando una fantomatica città perduta nel Mato Grosso brasiliano

L'Amazzonia di Alexander Hamilton Rice. Una singolare figura di esploratore, medico e geografo statunitense nel Sudamerica degli anni venti

Machu Picchu: la "Vecchia Cima" perduta tra le nuvole. La città degli Incas scoperta nel 1911 dall’archeologo americano Hiram Bingham

Avventure etnologiche di un grande geologo. Versatile e intrepida figura quella di Victor Oppenheim, scienziato franco-lettone, studioso del Sudamerica

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