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martedì 2 agosto 2022

53. VIAGGIO NEL MITO: L’ISOLA PROIBITA DI MONTECRISTO



 

L’isola montuosa di Montecristo ripresa da sud con il teleobiettivo. Da destra a sinistra le tre principali cime: Cima dei Lecci, Colle Fondo, Monte della Fortezza (© Franco Pelliccioni)


L'ho avvistata tra i primi, anche senza l'uso di un binocolo. Poteva sembrare forse solo una bassa nuvolaglia, oppure frutto della mia immaginazione. Poiché l'avevo tanto sognata. Da tanto, troppo tempo stavo aspettando quel momento. In effetti neanche il mio viaggio a bordo di un piccolo motorsailer scozzese nella remota isola atlantica di St Kilda era stato così difficoltoso. Forse allora ero stato molto fortunato, poiché avrei rimandato solo di poche ore la traversata. Mentre invece, adesso, avevo dovuto attendere quasi un anno, da quando nel 2000 le condizioni meteo-marine avevano sconsigliato la partenza dal porto di Talamone[1]… Anche se fa parte dell’Arcipelago Toscano è, infatti, tra le isole più inaccessibili e selvagge del Mediterraneo. Ma, come tutti sappiamo, anche la più affascinante!

Eppure quanto da me agognato stava là, davanti a me. Non era un miraggio. Avevo avuto infatti ragione quando il mio involontario grido l'annunciò ai compagni di viaggio. L'esperienza  acquisita nel corso di tanti anni passati a vagabondare tra un arcipelago ed un altro, tra Atlantico, Pacifico e... il Mar Glaciale Artico (isola di Baffin, dove recentemente si è recato Papa Francesco, nel corso del suo viaggio in Canada, e Cornwallis Island), mi aveva egregiamente supportato nell’individuarla. Eccola infatti spuntare davanti alla prua della nave che, subito dopo aver lasciato Porto Santo Stefano, all'Argentario, aveva preso quella rotta, senza mai lasciarla. Allora non sapevo che, così facendo, ci sarei dovuto andare letteralmente "in bocca". Ogni momento che trascorrevo trepidante, faceva sì che aumentassero i particolari distinguibili: i montuosi contorni, tanto netti da farne una piramide solitaria, che svetta maestosa al centro del Tirreno (645 m)[2]. Localizzata, com’è, pressoché alla medesima distanza dal continente e dalla Corsica: 29 miglia dal Giglio, 24 da Marina di Campo (Elba)[3], 39 dall’Argentario. Ecco le creste, i ripidi e pressoché inaccessibili pendii e poi, ancora, le cale deserte, la scarna vegetazione. Un coacervo di rocce, che spuntano al di fuori di acque splendide[4], come raramente avevo osservato. Anche perché sono luminose e chiare, poiché la luce riesce a toccare profondità notevoli. Il tutto si fece ancora più interessante allorché la nave, effettuata la sua circumnavigazione[5], si apprestò ad ancorarsi a Cala Maestra[6], sul versante nord-occidentale, unico punto di ancoraggio possibile dell’isola. Nonostante il già piccolo molo sia stato ridotto a mal partito (ora è poco più di un moncherino) dalle rigide intemperie di quest'ultimo inverno[7].

Eccomi infine arrivato a Montecristo!

Mappa dell’isola di Montecristo

Si potrebbe definire l'isola in tanti modi. In ordine di tempo, inizio da quello più recente. Riguarda la concreta possibilità di andarci. Ai più l'aggettivo proibita potrebbe apparire perfino scontato. Secondo me, invece, rende abbastanza bene l'idea, ancora oggi. Poiché da anni, fin da quando nel 1971 vennero imposti lacci e laccioli giuridici per bloccare il realizzarsi di un'incredibile speculazione eco-residenziale[8], non è più possibile sbarcarvi, né pescare o nuotare nelle sue acque. Non bastando, negli anni successivi il "cordone sanitario", innalzato per proteggerla, ha subito ulteriori accelerazioni (1977[9],1979[10],1989[11]). Tanto che nel 1984 ci fu un’autorevole voce che, dalle pagine di una nota rivista eco-naturalista, si sarebbe lamentata proprio per come leggi e regolamentazioni venissero rigidamente applicate. Non dando modo ad alcuno, che non fosse uno studioso interessato al suo ecosistema, di poterla avvicinare[12]. Da allora qualcosa è cambiato. Ogni anno è previsto che possa essere visitata da un contingente di 1.000 persone, sia pure sotto la discreta guida-scorta di guardie del Corpo Forestale dello Stato, sempre competenti e disponibili. Le richieste sono comprensibilmente numerosissime e, quindi, bisogna prenotare il viaggio molto in anticipo. In genere si è esauditi dopo un'attesa che, mediamente, si aggira sui cinque anni. Quindi, ancora proibita…  

Grazie al mio trascorso ecologista e alla mia pluriennale collaborazione con il Centro Francescano di Studi Ambientali dell'Università Pontificia San Bonaventura-Seraphicum di Roma, l'attesa per me non sarà così lunga, anzi è stata decisamente breve. A patto di "aggregarmi ad un gruppo ambientalista". 

Per le altre definizioni farei invece, e naturalmente, aggio su mitica. Ritengo, infatti, che non ci sia altra isola al mondo, più di Montecristo, che abbia fatto sognare da secoli, più o meno ad occhi aperti, l'intera umanità! Fin da quando il monastero di San Mamiliano (VII-VIII secolo)[13] divenne talmente ricco e potente, da avere consistenti proprietà terriere e non, anche sulla terraferma[14]. Grazie a lasciti e donazioni di re, nobili e popolino credente. Per cui, fin da allora, si cominciò a favoleggiare sull'esistenza di un tesoro, che i frati benedettini, poi divenuti camaldolesi (1216), nascosero alle mire dei predatori di turno, saraceni compresi[15]. Tra essi figura anche il famigerato Dragut (1553), un pirata che, a ricordo dell'ultima sua sanguinosissima impresa, avrebbe eretto, nella splendida isola tunisina di Djerba, una torre fatta di teschi (1560)[16]. Rimasta in piedi fino a che, nel 1848, su pressione francese fu fatta abbattere e sostituire da una modesta stele commemorativa. Ma i tentativi di scoprire il “tesoro dell'isola" si susseguirono nel tempo[17]. I picconi, per non parlare delle cariche di dinamite, avrebbero così dovuto duramente infierire, molto più dello stesso trascorrere del tempo, sulle semplici strutture architettoniche esistenti (Monastero di San Mamiliano, con la chiesa di Cristo Salvatore), testimonianza di una solida fede in Dio.

Indubbiamente la Chiesa di San Salvatore (a ca. 400 m di quota), sopra Cala Maestra, costituisce l’aspetto più imponente e meglio conservato del Monastero di San Mamiliano. Il Monastero era un quadrilatero edificato con blocchi di granito, diviso in due ali. Al piano terra le sale comuni, al primo piano le cellette individuali (© Franco Pelliccioni)
Come se tutto ciò non fosse già stato, di per sé, sufficientemente valido per amplificare ai quattro venti questo pugno di roccia (1031 ettari, 16 Kmq), la presunta esistenza di un "tesoro" a Montecristo riceverà, a partire dal XIX secolo, una formidabile eco dal magistrale capolavoro della letteratura mondiale di Alexandre Dumas, che ha così universalmente rafforzato la mitica immagine dell'isola.

Deserta è un altro aggettivo utilizzabile per tentare di descrivere, sia pure approssimativamente, Montecristo. Certo, da solo non sarebbe sufficiente per caratterizzarla a "forti tinte". Poiché caratteristica condivisa da mille altre isole sparse sui sette mari. Nel Tirreno, però, è quasi una rarità, quindi... Dovremmo, però, anche accennare all'antica frequentazione, prima degli eremiti, al tempo di San Mamiliano (445 d.C.), poi dei frati, che nell’VIII secolo furono però scacciati dalla prima incursione saracena[18]. Dovremmo anche ricordare tutti coloro che la raggiunsero fortunosamente. Vivendovi per un breve periodo (naufraghi), o approdandovi per potersi approvvigionare di legna da utilizzare per fabbricare il ferro, tanto da spogliarla del tutto del manto boscoso formato da lecci (etruschi). Oppure estrassero, pezzo dopo pezzo, le sue rocce di granito grigio-rosa per costruire ville (romani)[19]. O vi furono confinati come deportati. Ovvero la misero a ferro e fuoco di tanto in tanto: i saraceni nel passato; “virtualmente” i tedeschi, quando durante la seconda guerra mondiale l’utilizzarono come bersaglio per i cannoni delle loro navi da guerra. Senza dimenticare, infine, i sempre presenti e testardi "cercatori di tesori". Il tesoro ha comunque continuato, nei secoli, ad attrarre numerose spedizioni clandestine. Fino all’ultimo dopoguerra, provocando il continuo degrado dell’abbazia.

Salvo periodi più o meno lunghi, Montecristo non ha perciò goduto di una popolazione stabile, almeno per quanto riguarda gli esseri umani[20]. I suoi ripidi sentieri e gli inaccessibili costoni sono sempre stati popolati da capre selvatiche, uccelli di passaggio, o dalle ben note vipere di Montecristo (Vipera aspis Montecristi)[21]. Particolarmente pericolose, poiché la loro livrea assomiglia molto alle felci aquiline, tra cui amano nascondersi, in prossimità delle non frequenti zone umide. In proposito l'isola, che nel complesso appare del tutto arida, presenta diversi corsi d'acqua, perfino perenni. Tra cui va menzionata una sorgente sita all'interno della caverna del Santo, che non mi fu possibile visitare. Secondo la guardia forestale pare che attualmente presenti qualche pericolo per il visitatore [22]. Tra l’altro c’è un detto che vuole che chi beve la sua acqua abbia la possibilità di ritornare sull’isola…

Quindi è un'isola deserta perché, a parte la precaria presenza dei visitatori (di norma giungono a gruppi di cinquanta ogni domenica, da aprile a settembre), conta quattro residenti: il guardiano con la moglie e due guardie forestali.

Una stupenda immagine di Cala Maestra dalla mulattiera (© Franco Pelliccioni) 

Ma deserta si coniuga molto bene con brulla. La sua vegetazione si fa infatti fitta solo nei pressi dell'unico approdo esistente, Cala Maestra, vicino alla villa Watson-Taylor. Una vegetazione, però, importata da fuori ed esotica: pini d'Aleppo e domestici, ailanti, eucalipti, palme da dattero e delle Canarie, cipressi di Monterey, magnolie, ficus.  L’originaria, basata essenzialmente sui boschi di lecci, da tempo è ridotta a non molti esemplari, quasi esclusivamente localizzati sull'omonimo monte[23]. Perciò: proibita, mitica, deserta, brulla. Quindi un'isola per capre? Esattamente, come ho già accennato! Capre per lo più forestiere, provenienti da Montenegro, Creta[24] e Anatolia. Capre importate da secoli per ottenere latte, derivati e carne... Il loro numero si è così accresciuto negli ultimi decenni, con effetti ancora più devastanti sull'esistente flora isolana, tanto che ultimamente si è dovuto ridurne il numero. D'altronde un tempo venivano cacciate dai signori, proprietari dell'isola, o titolari della relativa concessione. Nonché dai loro amici, appartenenti spesso alla nobiltà. Così che potremmo definire l'isola anche come elitaria, se non addirittura Reale... Senza voler infatti risalire troppo indietro nel tempo, ad esempio agli Appiani, Signori di Piombino (dal 1399), come nel 1852 divenisse proprietà del britannico George Watson-Taylor[25], al quale si deve la deliziosa palazzina esistente, oggi una foresteria per ricercatori: alcuni saloni, una decina di camere da letto, un piccolo, ma interessante museo di Storia Naturale, e l’intricata macchia arborea nella quale è immersa[26]. O ne avesse avuto la concessione il "re" delle ceramiche, il marchese fiorentino Carlo Ginori (1889), la cui deferenza nei confronti del Principe di Napoli, poi divenuto Re Vittorio Emanuele III, un innamorato di Montecristo, ove di tanto in tanto si recava a cacciare, arrivò fino al punto di cedergliela[27].

Cenni bibliografici:

A.L. Angelelli, 1903 L’Abbazia e l’Isola di Montecristo: Firenze

Attilio Mori, 1904 L’isola del Re, Secolo XX, luglio

Kehr, 1908: Regesta Pontificum Romanorum: Italia Pontificia: Berlino



[1] La motonave Ulisse (23,65 m, 50 tonnellate) il 17 settembre era stata costretta a modificare la rotta, dirigendosi verso il Giglio e Giannutri. La previsioni prese da Meteomar il 14 settembre, riportanti anche la tendenza per il Tirreno Centrale, settore est, fino alle ore 18 del giorno 17, indicavano vento forza 2-3, da sud ovest; 

[2] Sul Monte della Fortezza ci sono ancora le rovine di una costruzione militare del XVI secolo (basamento costituito da un masso di granito, con tracce di parapetto) costruita dagli Appiani, Signori di Piombino. Una scaletta di ferro conduce sulla sommità. Ferrate e sentieri, realizzati per rendere meno pericolosa la caccia, risalgono, invece, alla fine del XIX secolo;

[3] Dal punto di vista amministrativo Montecristo fa capo al comune di Portoferraio (Elba) e alla Diocesi di Massa Marittima-Piombino, poiché parte integrante del territorio parrocchiale di Marina di Campo. La concreta gestione è invece affidata all’ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (Roma);

[4] I fondali dell’isola sono profondi centinaia di metri;

[5] La costa ha un perimetro di 16 Km;

[6] Già Cala del Re, si apre sul vallone omonimo, verde di pini e di eucalipti. Qui c’è l’ex villa reale, ora casa dei guardiani e, nei pressi, una piattaforma per elicotteri;

[7] 2000-01;

[8] Da parte dell’Oglasa che alla fine degli anni ’60 era intenzionata a costruire uno Sporting Club e un residence esclusivo. Contro lo sciagurato progetto si schierarono studiosi e opinione pubblica;

[9] Riserva Biogenetica dal Consiglio d’Europa;

[10] La zona di mare prospiciente l’isola è proclamata: ”zona di protezione biologica per la foca monaca”. La costa è tutelata per 500 metri ed è imposto il divieto di navigazione e di balneazione fino ad 1 km. Più volte è stata segnalata, in passato, la foca monaca nei pressi di Punta Forata, a Cala Corfù (a sud-est);

[11] Legge sul “Parco Marino dell’Arcipelago Toscano”. Fino ad un miglio dalla costa le acque sono considerate di tutela integrale (zona A). Ci si può avvicinare all’isola fino ad un massimo di 3 miglia (zona B, che si estende all’esterno della A);

[12] I primi studi sull’isola sono della prima metà del XIX secolo: Giuli, 1833 e Mellini, 1852. A quest’epoca risale la prima, accurata pianta del monastero;

[13] San Mamiliano, arcivescovo palermitano inseguito dal re dei Vandali Genserico, dopo aver peregrinato per l’Africa e la Sardegna e soggiornato per qualche tempo all’Elba, giunse con alcuni seguaci nell’isola, nel 445 d.C. La tradizione vuole che abbia sconfitto il drago che risiedeva sulla vetta più alta. Ecco perché il nome dell’isola divenne Montecristo (Mons Christi). I greci, infatti, la chiamavano Ocrasia (dalla colorazione giallastra del granito), storpiato poi da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia in Oglasa. Comunque i romani la conoscevano come Mons Jovis;

Il primo Abate del Monastero di cui si ha un qualche ricordo è Silvegio (902). Tra coloro che lo seguirono citiamo i due dell’Elba: Antonio (1396) e Don Garzia Franceschi, Abate del monastero di S. Michele in Borgo (Pisa) che, su consiglio dei genovesi, fortificò l’isola intorno al 1500. L’ultimo fu Federico De Bellis (1555);

[14] Possedimenti in Corsica, Sardegna, Elba, Giglio, Pianosa e Piombino. Nel VII secolo Papa Gregorio I diede ai seguaci di San Mamiliano la regola monastica benedettina. Incrementatosi il numero dei seguaci, si rese necessario imporre una maggiore disciplina (silenzio, solitudine, preghiera, operosità, coltivazione). Nel 1216 fu invece imposta la regola camaldolese;

[15] All’inizio dell’VIII secolo assalirono e distrussero il convento. L’archivio, con i preziosi documenti comprovanti i diritti sui beni situati nelle varie isole, andò perso. Come pure il ricordo dell’esatto periodo in cui l’abbazia era stata costruita e, poi, ampliata;

[16] Il 31 luglio mozzò la testa ai 6000 superstiti del corpo di spedizione europeo, arresisi nel forte di Bordj el Kebir, ad Houmt Souk;

[17] In realtà c’è chi sostiene come il tesoro sia stato in effetti ritrovato da Dragut che, dopo aver depredato le coste di Spagna e Sicilia, distrusse l’isola, schiavizzando monaci e coloni…;

[18] Al di là delle leggende, una comunità religiosa di eremiti, all’inizio solo un cenobio, si stabilì nell’isola nella metà del V secolo, vivendo nella Grotta del Santo. La fama della santità di Mamiliano fece accorrere gente dalle vicine isole, come da Corsica e Sardegna;

[19] In varie parti dell’isola si trovano tracce dell’apertura di cave romane. In età imperiale il granito fu impiegato per costruire le ville patrizie di Giannutri, del Giglio e dell’Elba. Sui fondali giacerebbero diverse navi con questo carico.

[20] Da ricordare anche alcune incursioni fenicie e cartaginesi;

[21] Affine alle vipere dell’Italia meridionale e della Sicilia, è stata forse involontariamente introdotta dall’uomo;

[22] Posta a 234 m s l m, a monte dell’omonima cala, sotto il monastero. Poco prima di arrivarvi, si vedono impronte di piedi in fila indiana, scolpite su liscioni di granito in forte pendenza, che conducono fino alla grotta, dove San Mamiliano si ritirò dopo aver ucciso il drago. La caverna è piena di ex voto di pellegrini. Alla sua estremità troviamo i resti di una piccola edicola di stile gotico;

[23] Circa 150 esemplari. Le capre, cibandosi di ghiande e germogli, continuano a devastarli; 

[24] Allevate dai monaci e importate a partire dall’anno Mille. In genere sono animali dal pelo scuro e dalla barba nera, con grandi corna ricurve. Nel 1975 erano 300-350, suddivise in cinque varietà, tra loro variamente incrociate e diverse per disegno, colorazione del mantello, sviluppo delle corna, ecc… Oggi sarebbero 400-500;

[25] Prima ancora fu di Jacques Aubrial, amico di Dumas che vi approdò nel 1850. Senza risultato, provò a coltivare l’isola. Così, per 50.000 lire del Granducato di Toscana, la vendette a Giorgio Watson Taylor. Nel 1860 passò di proprietà del Demanio.

[26] L’ailanto, di origine cinese e dalle foglie disgustose, si è talmente diffuso da infestare l’isola. Originariamente serviva per impreziosire la villa. E’ prevista la sua totale eliminazione. Sia Aubrial che Watson-Taylor introdussero a Montecristo essenze vegetali esotiche;

[27] Dopo aver restaurato la villa, aveva istituito una riserva di caccia e organizzato battute annuali. Ad una di esse partecipò il futuro Re. Vittorio Emanuele III più tardi vi introdusse mufloni di Sardegna e capre montenegrine, dono del suocero.

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oltre a quelli relativa alla mediterranea isola di  Creta:

- Alla Scoperta di Megali Nísi, l’isola di Creta. Storia, Archeologia, Natura, Cultura, versione cartacea a colori e in bianco e nero, 153 pp., 179 foto.