Lo Stac an Armin. lo "scoglio del guerriero": il più alto del Regno Unito (© Franco Pelliccioni) |
Premessa
Per molti anni (dal 1995 al 2012) ho collaborato alla storica Rivista Marittima, pubblicando anche un supplemento sull’isola di Creta, oltre che al Notiziario della Marina. Inoltre sono stato onorato più volte dei Patrocini che lo Stato Maggiore della Marina Militare mi ha concesso per le ricerche condotte in Atlantico (tra il 1982 e il 1998), nell’ambito del mio Programma sulle Comunità Marittime dell’Atlantico del Nord.
UNA COMUNITÀ' DI “UOMINI-UCCELLO”
Per tentare di descrivere l'intima essenza della comunità
marittima di St Kilda ["un remoto pugno di isole, avanzi di un vulcano attivo
60 milioni di anni fa, in pieno Oceano Atlantico, difficile da raggiungere. Oltre tutto, non è detto che vi si possa sempre
sbarcare. A causa delle precarie condizioni meteo-marine e all'assenza di un
sicuro, protetto ancoraggio, che spesso sconsigliano l'ormeggio nella Village
Bay, nell'isola di Hirta"], dovrei impiegare un termine ormai desueto che,
pur con la sua inevitabile approssimazione, secondo me rende bene l'idea: “comunismo".
Pascoli, animali e terreni coltivati erano, infatti, di "tutti".
Tanto che dopo qualche anno con il runrig i terreni venivano
"girati" di famiglia in famiglia.
La storia di St Kilda in quest'ultimo secolo e mezzo ci
parla di una comunità fortemente solidaristica e tenacemente attaccata alla
tradizione, dove il baratto faceva aggio sulla moneta. Ma destinata a
collassare a causa dell'accelerazione indotta da una mutazione culturale giunta
dall'esterno. Prima da naviganti e pescatori, poi dai pastori protestanti,
infine dai turisti, dai funzionari governativi britannici e da altri agenti di
cambiamento: insegnanti, infermiere.
Provocando, infine, un inarrestabile processo di
deculturazione… E la sua morte!
(…) Era una comunità marittima, sì, i cui membri preferivano
però cacciare e catturare gli uccelli marini, che vi si trovavano in
grandissima quantità.
E catturarli non era impresa facile. Anzi difficilissima e
rischiosissima, che ogni volta metteva in gioco la vita degli “uomini-uccello”.
Sia quando scalavano le scogliere o i faraglioni, ma ancora
prima. Quando dalla barca dovevano cercare di raggiungere le rocce, ad esempio
degli Stacs.
Così quello dell’uccellagione era mestiere che si imparava
fin da giovanissimi. Una sorta di “rito di passaggio” all’età adulta (…)
Martin Martin [nato a Skye, fu precettore nella famiglia dei MacLeod, proprietari di St Kilda. Nell’estate del 1697 accompagnò il ministro (del culto) di Harris, John Campbell, nell’annuale visita all’arcipelago. Scriverà la prima dettagliata relazione sulla vita nelle isole] nel 1697 rilevò che “il loro principale nutrimento deriva dalle gigantesche colonie di uccelli marini, che popolano le scogliere dell’isola e i vicini faraglioni. Non solo raccolgono le uova di sule e di procellarie, ma catturano e mangiano gli stessi uccelli. Per fare ciò costruiscono corde che calano per centinaia di piedi lungo le scogliere di Hirta [la sola grande isola abitata (…) allora possedevano solo tre corde lunghe ciascuna 144 piedi [ca. 44 m] (…) si arrampicano a piedi nudi e, in fare ciò fin dalla fanciullezza, sviluppano caviglie e piedi, che bene si adattano al loro compito”.
Dagli uccelli traevano quasi tutto il loro sostentamento.
Nel 1876 gli isolani presero 89.600 puffini per la carne e il piumaggio.
Tramite il baratto, prima e la vendita, ben più tardi, riuscivano ad ottenere
anche ciò di cui avevano bisogno, dal chiodo alla farina.
Degli uccelli si usava tutto: carne, piume, ossa, olio, ecc.
Oltre alle uova, raccolte sulle pareti scogliose, i St Kildani si cibavano dei
volatili, anche affumicati. L'olio delle procellarie serviva come prezioso
combustibile, ma anche contro i reumatismi, gli arti pesti o doloranti, e come
purga ed emetico (…)
Tutto ciò sarebbe andato avanti per un lunghissimo tempo.
Fino a quando, sul finire del XIX secolo, la domanda di tali generi cessò del
tutto. Contribuendo, in tal modo, al tracollo finale della comunità.
Il denaro negli anni seguenti sarebbe arrivato nella
comunità dai turisti di passaggio, dalla carità e (poco) dalla vendita di
tweed, dal 1900 diventato l'unico prodotto di St Kilda.
GLI IMPRESSIONANTI FARAGLIONI DI STAC LEE, STAC AN ARMIN, BORERAY
Quando si
naviga intorno a questi grandiosi e terrificanti scogli rocciosi è praticamente
impossibile immaginare come gli abitanti di St Kilda riuscissero a scendere a
terra dalle loro barche.
Non solo usavano corde artigianali, ma uomini e donne
riuscivano a scalare questi straordinari faraglioni. Portando poi via
barili di uova e uccelli dalla sommità, fino al villaggio di Hirta.
Spedizioni che potevano durare anche diversi giorni. Per cui
“uomini-uccello” (e donne) avrebbero dovuto pernottare dentro piccoli ripari (bothies)
su quei giganteschi pinnacoli.
Lo scoglio più grande [tanto da essere considerato un isolotto], Boreray, è un gigantesco cuneo.
Verticale sui tre lati e molto scosceso, ma ricoperto d’erba sul quarto. Qui
nel tempo furono costruiti numerosi cleitean per depositarvi
temporaneamente quanto raccolto (uccelli, uova, ecc.).
Dopo che il gruppo di uccellatori toccava terra, la barca
rientrava ad Hirta, per tornare a recuperarlo dopo diversi giorni.
Ecco come si “approda” a Stac Lee (Norman Heathcote, "Climbing in St Kilda", Scottish Mountaineering Club Journal, vol. 6, 5, maggio 1901) |
NEL 1876 IL GIORNALISTA BRITANNICO JOHN SANDS SCALA, ASSIEME AGLI “UOMINI-UCCELLO” DI HIRTA, L'ISOLOTTO DI BORERAY. ARRIVANDO FINO A 243 METRI DI ALTEZZA
Il giornalista John
Sands, ritornato a St Kilda nel 1876, racconta: “il 29 giugno andai con un
gruppo di diciotto, tra uomini e ragazzi, con la nuova barca [che aveva fatto
costruire per loro] all’isola di Boreray. Tutti gli uomini, meno due, ai quali
fu lasciato il compito di prendersi cura dell’imbarcazione, si arrampicarono
sulla scogliera. Fui tentato di unirmi a loro. Con il capo di una corda attorno
alla cintola, tenuto da un uomo, che mi precedeva, mi arrampicai su tali
sentieri, che si possono vedere solo negli incubi. Pensai che fosse meglio non
guardare in avanti troppo lontano, ma fissare l’attenzione al terreno sotto i
piedi. A volte dovevo ringraziare la mia guida, che toglieva di torno qualche
difficile pezzo. Così che fui in grado di arrivare in cima. L’altitudine era
probabilmente di 800 piedi [243 m], anche se le più alte rocce di questa
isola superano il migliaio [304 m]. Alcune scogliere erano bianche per
le sule. Tutti gli uomini si sparpagliarono, calandosi lungo i dirupi, per
catturare le procellarie. Io fui lasciato sotto la sorveglianza di un giovane
chiamato Callum Beag, o “Piccolo Malcolm”, che terrà sempre questo nome anche
se crescerà fino a sei piedi [1,82 cm] (…) È tradizione dei St Kildani
inviare ogni anno un gruppo di giovani donne nell’isola, per catturare puffini
per le loro piume. Durante la mia prima visita [1875] sono andato con un gruppo
del genere a Boreray e le ho viste al lavoro. Sollevando i piccoli dai buchi
nella torba, i curiosi uccelli (chiamati Tammie Nories in alcuni posti) hanno
bisogno di essere scansati per essere catturati. Poi bisogna essere molto
attenti nel tenerli, perché le loro beccate sono molto dolorose. Conoscendo le
loro abitudini, le donne portano i cani, che allarmano i puffini, così da
catturarli non appena svolazzano fuori dai buchi (…) Le ragazze
collocano le corde di peli sul terreno, tenute ferme ad entrambi i capi da
pietre. Cappi di crini di cavallo sono aggiunti alla corda, in modo che gli
uccelli, che in numero incredibile frequentano l’isola, vi mettano le zampe.
Così in un giorno alcune ragazze riescono a catturare fino a 4-500 puffini. Le
giovani donne rimangono tutte sole nell’isola per circa tre settimane.
Lavorando fino a che cadono addormentate. Ognuna ha con sé la Bibbia in
Gaelico, che tutte leggono facilmente. Dormono con i vestiti che hanno
indossato durante il giorno”.
……
Gli ultimi 36
abitanti del villaggio di Hirta furono evacuati dalla Marina britannica il 29
agosto del 1930:
“Era un giorno
foschioso, ma tranquillo.
Dalla mattina
presto l’HMS Harebell, la nave che doveva trasportare gli isolani nelle nuove
case, era all’ancora nella Village Bay. Con le pecore e le mucche via e i cani
morti, l’evacuazione della gente poteva iniziare.
Si
impacchettarono le ultime cose, i beni portati giù al molo, le casse caricate
sull’Harebell.
La maggior
parte dei mobili, letti, sedie, telai, come pure le barche, gli attrezzi
agricoli e per l’intrappolamento degli uccelli doveva essere lasciato”
...
NELL'ARCIPELAGO DEGLI “UOMINI-UCCELLO” DI ST KILDA. VITA
E MORTE DI UNA REMOTA COMUNITÀ' SCOZZESE
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