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venerdì 13 gennaio 2023

81. L'ULTIMO LEMBO DELLA NOUVELLE FRANCE IN TERRA D’AMERICA È NELL’ATLANTICO DEL NORD: L’ARCIPELAGO DI SAINT-PIERRE E MIQUELON

 

Stagno ghiacciato di Vigie sull'isola di Saint-Pierre. Questa foto ha vinto il concorso "Fotografa i territori d'oltremare", categoria Patrimonio immateriale, nel 2019 ed è stata esposta durante le Giornate del Patrimonio presso l'hotel Montmorin, che ospita il Ministero d'oltremare, gennaio 2016 (CC Some Rights reserved, Bernard975)  

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A non molta distanza dalle coste meridionali dell'immensa isola canadese di Terranova si trovano le due piccole e splendide isole di Saint-Pierre e Miquelon, dal 1976 un Dipartimento d'Oltremare francese (Collettività d'Oltremare dal 2003). Poco più di seimila abitanti sono concentrati nella città capoluogo di Saint-Pierre e nel villaggio di Miquelon.

Mappa di Saint-Pierre et Miquelon, 1902 (da Bellet, Adolphe, Grande Peche de la Morue a Terre-Neuve : Depuis la Decouverte du Nouveau Monde par les Basques au XIVe Siecle, Freshwater and Marine Image Bank, University of Washington)    

   Scoperta nel 1520, Saint Pierre era frequentata da imbarcazioni francesi già all'epoca del viaggio di Cartier del 1536. Per secoli il possesso dell’arcipelago fu disputato da Francia ed Inghilterra, tanto da diventare francese solo nel 1816. Per i francesi costituisce il più antico dei loro possedimenti americani. È infatti l'ultimo lembo rimasto dei vastissimi territori occupati un tempo in Nord America della Nouvelle France.

Carta della Nouvelle-France, 1562-1763, 2011 (CC Some Rights reserved, Parigot)

Il legame che lega l'arcipelago alla metropoli è ancora più importante se si tiene presente come le isole si trovino relegate su un duplice piano di lontananza.

Culturale, innanzitutto. Prossime a Terranova ed alla Nova Scotia, costituiscono una minuscola "isola" culturale francese rispetto al prospiciente mondo anglofono canadese.

Poi geografico-spaziale e comunicativo. Una distanza, quest’ultima, ben più profonda di quanto dicono le carte geografiche, non esistendo finora collegamenti aerei diretti con la Francia e l'Europa. La distanza dalla madre patria si unisce, inoltre, al fatto che molti francesi ignorano del tutto l'esistenza di queste piccole isole, americane sì, ma sotto bandiera francese.

O non sappiano dove siano. Basti dire come i contingenti militari composti da saint-pierrais, che parteciparono alla Grande Guerra, furono consegnati in caserme d'adattamento al clima metropolitano, assieme ad altre truppe "indigene"!

Gli abitanti dell’arcipelago discendono dai pescatori baschi, bretoni e normanni che nel tempo vi si sono insediati. Già dalla fine del XV secolo avevano iniziato a ritornare in estate a Saint-Pierre per le loro campagne, stabilendo stazioni a terra.

I baschi, dapprima attirati dalla caccia alle balene, si convertirono alla pesca al merluzzo, così come in seguito fecero normanni, bretoni e Rochelais

Oggi essi fanno parte integrante di una comunità marittima autenticamente multi-etnica e multi-culturale, anche se va aggiunto come la componente basca, tra le prime a percorrere ed esplorare questi mari, sia la più attiva. 

Tale feeling è immediatamente avvertibile non appena si sbarca a Saint-Pierre. 

Saint-Pierre dalla collina, agosto 1999 (CC Some Rights Reserved, Ken Eckert)

Il porto di Saint-Pierre, 2006 (CC Some rights reserved, Miquelon)



Al di là della visibilità dei simboli baschi, quali lo Zazpiak Bat, il "muro" utilizzato per il gioco della pelota - Jai-alai -, che si innalza nella piazza Richard Briand, o la regolare organizzazione di danze folcloristiche, ecc.

Questo gruppo etnico-culturale fin dal 1931 ha costituito l'associazione Orok Bat. Estremamente propulsiva sul piano culturale (tradizione orale, musiche, ecc.). 

Un dirigente mi spiegò come il muro della pelota rappresenti il simbolo stesso dell'origine e dell'identità individuale e collettiva basca, "perché tutti, una volta o l'altra, hanno giocato alla pelota su quel muro". 

I baschi, che fino alla prima guerra mondiale costituivano la maggioranza della popolazione dell'arcipelago, attualmente costituiscono il 35/40% della popolazione. 

Oggi non sono più bilingui. Molti conoscono le parole dei canti tradizionali, ma pochi capiscono il basco (euskara). 

Pur non parlandolo, intrattengono ottime relazioni con l'Euzkadi (i paesi baschi), dove si recano frequentemente per approfondire e vivificare i legami culturali.

Secondo lo storico, conservatore del museo, già sindaco per molti anni della città di Saint-Pierre, Joseph Lehuenen, da me intervistato, le percentuali relative agli altri gruppi presenti nelle isole sarebbero le seguenti: normanni e bretoni (30/35%), francesi del Poitu, corsi e alsaziani (30%), irlandesi e, infine, "misti". Poiché i matrimoni interetnici nel tempo sono stati numerosi. 

Tra l'altro va ricordato come durante il proibizionismo negli Stati Uniti, Saint-Pierre fosse divenuta un importante centro di contrabbando di alcolici. Le finanze dell'arcipelago si erano straordinariamente arricchite, grazie alle tasse pagate all'amministrazione dagli importatori.

L’inaspettata ricchezza ebbe tre conseguenze:1) l'abbandono dell'attività della pesca; 2) la venuta di centinaia di ragazze dall’isola di Terranova, che lavorarono come domestiche nelle famiglie saint-pierrais. Trovando poi un marito locale; 3) la capacità per la piccola Saint-Pierre di fare un prestito di alcuni milioni di franchi alla madre patria.

C'è ancora da aggiungere come sia avvertibile una discreta integrazione pan-etnica e culturale tra le varie componenti saint-pierrais. Tanto che c’è chi teorizza l’esistenza di una "saint-pierritude". 

In effetti va detto come i francesi di Saint-Pierre nei secoli si siano costruiti una loro specificità. Ancora più accentuata per il fatto che i saint-pierrais hanno dei "glossari" saint-pierrais-francese e propongono ai media locali testi scritti in saint-pierrais

Il loro è un parlare rapido, certamente non affine al québécois. 

Il lessico è quello che più evidenzia l'influenza della cultura marittima sulla lingua. 

Vengono utilizzati termini da tempo desueti nella metropoli (clavé = bloccata, per una nave, dai ghiacci), od utilizzati in provincia (graler = grigliare), termini franco-canadesi (buttereau = duna di sabbia), indiani (doris, imbarcazione tipica di Saint-Pierre), inglesi (switch = interruttore). 

Molti lemmi derivano dalla vita marittima (se calfater = coprirsi con abiti pesanti, caldi), oltre a quelli tradizionali - dialettali -, che si riferiscono ad un linguaggio, che è sempre di tipo marinaro, anche un po' ironico.

Avrei avuto un riscontro diretto della loro expertise marinara quando, dopo l’arrivo da Montréal, scoprii che la mia Samsonite era rimasta piuttosto ammaccata in un angolo. Niente di grave. Non era certo la prima volta che le mie valigie venivano danneggiate nel corso di un volo. Possibilmente venivano riparate o, se necessario, sostituite. Il problema, mi dissero nella piccola agenzia aerea locale, che a Saint Pierre non era possibile: “solo a Montréal”. Purtroppo il progetto antropologico di quell’anno prevedeva di proseguire dopo pochi giorni per St John’s e Terranova, per continuare la mia ricerca sulle comunità marittime.  

Ma il mio gentile ospite, Yannick Cambray, Consigliere del Comune di Saint-Pierre e Direttore dell'Hotel Central, dove avrei alloggiato, visto il danno e, soprattutto, il tipo di materiale con il quale la valigia era realizzata, mi disse di non preoccuparmi. L’avrei avuta in tempo per la mia partenza per Terranova.

E così è stato.

Un giorno prima del volo la valigia è in albergo e il danno sembra pressoché sparito. La valigia era stata consegnata nelle abili mani di un maestro d’ascia, che di imbarcazioni se ne intendeva...   

Sono isole, queste, dove la natura, la terra, il cielo ed il mare si compenetrano vicendevolmente. Annichilendo e dissimulando i rispettivi limiti e confini. Sono terre dove si aprono panorami aspri e si stagliano scogliere imponenti. 

Mappa di Saint-Pierre e Miquelon, Central Intelligence Agency's World Factbook

In cui si può ammirare l'inaspettata bellezza dei boschi di conifere e della Belle-Rivière, il corso d'acqua più lungo, che li attraversa a Langlade, nella parte meridionale dell'isola di Miquelon. 

Il villaggio di Miquelon dall'aereo, 2010 (CC Some Rights ReservedCdetch)

In proposito ricordo come solo dalla fine del XVIII secolo Langlade risulti collegata alla Miquelon - propriamente detta - da un basso istmo (lungo 12 Km e largo dai 200 metri ai 3 Km), composto da dune sabbiose. L'azione delle correnti marine sui bassi fondali e l'imprevisto apporto di decine e decine di carcasse e di rottami di navi naufragatevi durante qualche tempesta, nei secoli hanno facilitato l'accumularsi del materiale sabbioso. Sigillando in tal modo assieme le due isole. 

Relitto sull'Île aux Marins, 2004 (CC Some Rights reserved, Arne List)

Sembra che il numero dei naufragi a Saint-Pierre e Miquelon riesca addirittura a superare quello della famigerata "Isola della Sabbia", al largo delle coste della Nova Scotia.

Le tempeste che impietose battono le isole, il gelido vento che d’improvviso si alza, colpendo velocemente ogni cosa, anche d'estate, anche nel mese più caldo, fanno parte integrante del suo habitat. 

Le brume e le nebbie, che d'un tratto sorgono dalle acque dell'oceano, diventate rapidamente cupe, celano ed avviluppano, nel loro sempre più impenetrabile manto, l'intero territorio e le caratteristiche case dai colori vivaci. 

In un attimo tutto scompare: le case verdi, rosse, azzurre, gialle, con i loro piccoli giardini, ma anche gli uomini e gli animali (i branchi dei cavalli semi-selvaggi ed i "cervi di Virginia" di Miquelon, le foche distese al sole sulle piccole isole emergenti con la bassa marea), il porto… Per riapparire improvvisamente, quasi d'incanto, dopo poco, o dopo tanto tempo. A volte dopo interi giorni.

Certo è che i rigori climatici caratterizzano profondamente la vita degli isolani. Specialmente durante la stagione invernale. 



L'Eglise de Notre Dame des Marins, sull'omonimo isolotto innevato, dicembre 2018 (CC Some Rights Reserved, PASCAL CARRERE)


Quando il termometro arriva a toccare i -20° e i -22°. Quando il mare davanti a Saint-Pierre può ghiacciare e ci si può recare a piedi all'Ile aux Marins. Isolotto che, con il suo abitato "fantasma", sorge davanti alla baia (dal 1965 è stato abbandonato dagli abitanti per le difficili condizioni di vita esistenti nei lunghi e rigidi periodi invernali; riprenderà vita solo in estate. Allorché alcune famiglie vi faranno ritorno durante il periodo della pesca).

Tutti fatti, questi, che ci rappresentano le difficoltà di un ambiente estremo ed aspro, specialmente nei tempi passati.

Graviers al lavoro, ca. 1904, di Mickaël Dhoste (Musée d'ethnographie de l'Université de Bordeaux)

Quando l'unica fonte di sostentamento era la pesca al merluzzo e, grazie ad un lavoro massacrante, venivano formate immense distese di pesce lasciato seccare al sole sulle graves.

Quando il naufragio di una nave era considerato una "manna dal cielo" per il carico che si poteva recuperare e per i "tesori" che si potevano trovare sottocoperta.

Quando centinaia di velieri di ogni parte del mondo vi si ancoravano per svernarvi, approvvigionarvisi, per le riparazioni. O vi si rifugiavano nel corso di qualche tempesta.

Era realmente una dura vita quella dei saint-pierrais. Così fino alla fine del XIX secolo l’isola era considerata dalle autorità francesi buona solo per deportarvi i condannati ai lavori forzati. Per non parlare dei ricorrenti incendi, che devastavano caseggiati (anche all’epoca della mia ricerca) e quartieri.

Eppure bisognava sopravvivere.

Anche grazie al contrabbando di superalcolici negli Stati Uniti (1922-1933). 

Quando il famigerato Al Capone poteva tranquillamente trascorrere qualche giorno all'Hotel Robert…

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domenica 5 giugno 2022

26. VIAGGIO NELL'ELDORADO SCOZZESE DELLE SETTENTRIONALI ISOLE ORCADI

Mappamondo di Orosio

(da: Mappae Mundi Bd. Vi. " Mappe ricostruite",1898)


   “Al di là della Britannia, dove si apre l’oceano senza fine, si trovano le Orcadi” (Orosio, V secolo d.C.).

   “Le isole Orcadi e Shetland sono così poco conosciute che molte persone, di solito bene informate, pensano di trovarsi di fronte a una collezione di rocce o inabitabili o popolate da una razza di uomini quasi selvaggia, come le foche che giocano sulle spiagge, e con il cervello poco sviluppato; una razza con la quale il mondo civilizzato non ha punti in comune, che vive di pesci, si veste con pelli di foca, ignorante della civiltà, privata dell’educazione” (Anonimo, Half Hours in the Far North Life Amid Snow and Ice, ca. ante 1923).

La situazione “attuale” dei collegamenti navali e aerei, 2009

( CC, some rights reservedMikenorton)

Non potevo ricevere un miglior saluto di questo… Nonostante il clima fosse naturalmente rigido, adesso (ore 11,05) è infine rispuntato il sole, come mai l’avevo potuto vedere nelle Shetland. Tra l’altro non mi lascerà più fino alla mia prossima meta: le isole Orcadi. Il mio bimotore ad elica Hawkley-Sideley: volo British Airways BA 5751 decolla alle 13,20, in perfetto orario. Lasciandosi in coda la punta di Sumburgh Head. Senza farmi nuovamente preoccupare, come era avvenuto nell’atterraggio. Quando il tempo burrascoso e la prossimità della modesta pista alle acque oceaniche, unito al vivissimo ricordo di ciò che mi era stato “preannunciato” dai colleghi dell’Università inglese di Durham, da dove ero partito, per un attimo mi avevano fatto pensare ad un fatale errore del pilota...

   Dall'aereo immediata ebbi la percezione delle radicali differenze, che contraddistinguevano morfologicamente i due arcipelaghi. Se le Shetland erano montagnose, caratterizzate da un ambiente aspro e duro, dall’alto le Orcadi apparivano l'esatto contrario: terreni pianeggianti, paesaggi ondulati, colline dolci, senza evidenti spigolosità. Anche se le linee costiere delle isole erano altrettanto frastagliate e punteggiate da penisole, baie, profonde insenature, scogliere.  E tutto, ciò che allora osservai dal finestrino dell’aereo, sembrava distante anni luce perfino dalle "asperità" geomorfologiche tipiche della stessa terraferma scozzese.

   Ecco via via scorrere, come in un film, sotto e sulla destra del mio finestrino, le varie isole settentrionali delle Orcadi: Sanday, Westray, la dirimpettaia Papa Westray. Ecco Stronsay. Quindi, quando si vola sopra Shapinsay, le colline di Rousay anticipano l’isola principale dell’arcipelago, che anche qui, come nelle Shetland, non può che chiamarsi Mainland.

   Isola che, oltre al capoluogo Kirkwall, racchiude le diverse caratteristiche (storico-archeologiche, ambientali, etno-antropologiche) dell’arcipelago, che così vengono esaltate. Rappresentando un autentico Eldorado per gli archeologi, i naturalisti, gli studiosi dell’uomo, i visitatori.

   Qui vanno sapientemente a braccetto testimonianze di un passato, più o meno lontano, e attrattive naturalistiche, entrambe profuse a piene mani. Si è infatti calcolato come le zone archeologiche siano presenti nelle Orcadi in misura percentualmente superiore rispetto ad ogni altra regione della Gran Bretagna. D'altronde queste isole sono state definite il più grande "museo del mondo". Inoltre i siti risultano incastonati in un habitat dalle peculiarità straordinarie, che li rendono ancora più attraenti agli occhi dei visitatori.

Il ponte di Brodgar, Stenness, 1875,
di Walter Hugh Patton (1828-1895)
E' nei pressi del 
Cerchio megalitico di Brodgar - ca.2500-2000 a. C. -, tra i più grandi esistenti in Gran Bretagna. Come l’inglese Avebury del 2500 a.C., che anni dopo visiterò nel Wessex

   Qui troviamo Skara Brae, il villaggio neolitico meglio conservato d’Europa, risalente a ca. il 3100 a.C. Venne abbandonato, forse a causa dei cambiamenti climatici, intorno al 2500 a. C., ma anche le pressoché coeve Standing Stones di Stenness e il Circolo di Brodgar. E che dire della straordinaria tomba a camera di Maeshowe? Poi, passando dall’Età della Pietra a quella del Ferro, come nelle Shetland ecco i brochs, le torri di osservazione. A volte costruite all’interno di veri e propri insediamenti, come quello di Gurness.

   Nella tarda Età del Ferro le Orcadi costituiranno uno dei regni dei Pitti. Così, anche se nell’isolotto di Birsay, a nord-ovest di Mainland, c’è solo la replica di una loro importante stele, ho avuto comunque la possibilità di osservare attentamente quanto in essa riportato. Anche perché sappiamo ancora troppo poco di questo popolo. In seguito le isole saranno avvicinate dai missionari celti, quindi di lingua gaelica, così che numerosi toponimi isolani riportano il termine Papa.

   Infine, sul finire del VIII secolo, dalla Norvegia giungeranno i Vichinghi.

   Nonostante i rigori invernali e la latitudine settentrionale, l’arcipelago è considerato una meta ambita, non solo dai viaggiatori. Infatti, in base all’annuale survey dell’Halifax quality of life, sono anni che le Orcadi costituiscono il miglior luogo dove vivere nel Regno Unito: per i bei panorami, il basso crimine, la felicità degli abitanti, la bassa disoccupazione, i buoni risultati negli esami, le classi elementari poco numerose, i prezzi contenuti delle case.

(…) James Stockan, leader del Consiglio delle Isole Orcadi, ha dichiarato: "è molto piacevole che le Orcadi abbiano conquistato la corona per la migliore qualità di vita nel Regno Unito. Dipende non solo dal nostro ambiente, ma anche dalle persone, che qui vivono e che combinano il tradizionale senso di comunità con un atteggiamento lungimirante, autosufficiente, ambizioso (…) che rende questo un posto molto speciale in cui vivere e lavorare. Tuttavia, non siamo privi di sfide: le nostre peggiori giornate invernali, anche se tremendamente drammatiche, possono rivelarsi troppo per alcuni, con il vecchio consiglio che devi vivere un inverno qui, per sapere se le Orcadi sono fatte davvero per te” (Collinson, 2019).

Da: REMINISCENZE DI UN VIAGGIO NELL’ARCIPELAGO SCOZZESE DELLE ORCADI (E.Book, versione cartacea a colori e in bianco e nero, 178 pp, 188 note, 172 immagini, di cui 142 a colori)

Ecco il sommario:

1. PREFAZIONE 
2. INTRODUZIONE
L’arcipelago anche nel 2019 è il miglior luogo dove vivere nel Regno Unito

3. LINGUA
4. FOLKLORE
5. ECONOMIA
6. TRASPORTI E TURISMO
Il turismo, tra benessere economico e sostenibilità ambientale
7. CENNI STORICI
Il popolamento: dall’Età della pietra ai Vichinghi
Norvegesi, Dano-Norvegesi, Scozzesi
8. UN CAPITOLO INVERO SINGOLARE: LA “SCOPERTA” DELLE ORCADI DA PARTE DEGLI ESCHIMESI (INUIT) NEL XVII- XVIII SECOLO…
9. LA CACCIA ALLE STREGHE, XVI-XVIII SECOLO
Le streghe: ieri, un capitolo buio della storia delle Orcadi
Le streghe: oggi si rende giustizia alla memoria di donne e uomini incolpevoli
10. L’ISOLA DI MAINLAND
11.  MAINLAND: KIRKWALL, CAPOLUOGO DELL’ARCIPELAGO
La cattedrale di St Magnus, l’Earl’s Palace, il Bishop’s Palace, il Castello
La rivalità tra i Doonies del Burgh e gli Uppies del Laverock si estrinseca nel gioco del Ba’
12. MAINLAND: STROMNESS, AVAMPOSTO BRITANNICO DELLE GRANDI E AVVENTUROSE ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE E TAPPA PER LE NAVI DELLA POTENTE COMPAGNIA DELLA BAIA DI HUDSON
Gli Orcadiani: pescatori, marinai, mastri d’ascia
La Compagnia della Baia di Hudson (Hudson’s Bay Company)
L’Ufficio di collocamento della Baia
Il ricordo di un funzionario della Baia
La caccia alle balene e la pesca delle aringhe
13. IL VIAGGIO DEL 1982
14. ALLA SCOPERTA DELLE TESTIMONIANZE STORICO-ARCHEOLOGICHE DELLA MAINLAND OCCIDENTALE
Il Broch di Gurness
L’isolotto abbandonato di Eynhallow, patria dei terribili Fin Folk 
L’Earl’s Palace di Birsay
Brough di Birsay
L’insediamento di Skara Brae
Il cambiamento climatico minaccia Skara Brae
Il Cerchio di Brodgar
Le Pietre Erette di Stenness
L’incredibile, graduale “perdita” del fossato, parte integrante della struttura di ogni henge, in un sito vecchio di oltre 5.000 anni, oltre tutto protetto dal 1999 dall’UNESCO
La tomba a camera di Maeshowe
15. IN NAVIGAZIONE TRA LE ISOLE SETTENTRIONALI
Sanday
Stronsay
Eday
Papa Westray (Papay)
Westray
Ritorno a Kirkwall
North Ronaldsay
16. LE ISOLE MERIDIONALI
Scapa Flow
Lamb Holm e la “Cappella italiana”
Burray
South Ronaldsay
Hoy
Frotte di "sub" si aggirano sul basso fondale marino di Scapa Flow, per osservare e fotografare i relitti di navi inglesi e tedesche
17. NAUFRAGI E AUTOAFFONDAMENTI
Le navi germaniche e britanniche di Scapa Flow
L’affondamento dell’Hampshire di Kitchener
Naufragi
18. CONTRABBANDIERI E PIRATI
Il pirata John Gow
Il contrabbando di birra e liquori
19. BIBLIOGRAFIA