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domenica 21 agosto 2022

57. IL RAPPORTO NATURA-CULTURA TRA I POPOLI A "TECNOLOGIA SEMPLICE": CACCIATORI-RACCOGLITORI, COLTIVATORI, ALLEVATORI

 

Boscimani (San) della Namibia, 2017 (CC Some rights reserved, Rüdiger Wenzel) 

IN OCCIDENTE E NEL TERZO MONDO

Come ben sappiamo, il rapporto che da secoli si è instaurato nel mondo euro-occidentale tra natura e cultura, tra l'ambiente e l'uomo, è stato solo di tipo conflittuale: dominazione, sfruttamento, consumo, rapina, sia concretamente, nei fatti, sia negli atteggiamenti culturali (ideali, mentali). Come antropologo non posso che concordare con quello che altri: ecologi, geografi, sociologi, economisti, filosofi, storici, hanno già, e da tempo, individuato come un assioma storicamente determinatosi. Il mio compito adesso è quello di dare voce anche alle culture "altre", cioè ai popoli e alle culture del Terzo Mondo, per vedere più da vicino quello che risulta essere anche il loro rapporto uomo-natura. In proposito va premesso quanto segue: in un mondo superdegradato e in preda a mille angosce e paure esistenziali, qual è il nostro, non possiamo ritenere che i popoli "diversi da noi" (cacciatori-raccoglitori, coltivatori e nomadi pastori) abbiano un rapporto di tipo idilliaco con la natura. Da molte parti e da diverso tempo stiamo assistendo ad una sorta di rinascita del mito del bon sauvage, quasi sempre connesso e mirato, oggidì, all'ambiente che lo circonda. Altre volte, come nel caso dell'indio amazzonico, in toto. Alcune osservazioni sono perciò d'obbligo e successivamente, parlando delle problematiche ambientali, saranno riprese e ulteriormente puntualizzate.

I "nuovi" miti attraverso le lenti dell'Occidente

Non credo che sia il caso di mitizzare il rapporto uomo-natura, esistente tra i cosiddetti "primitivi", come in altre epoche si è idealizzato lo stesso "selvaggio". Molto semplicemente si può affermare come l'uomo, sempre e dovunque, abbia visto il contesto ambientale come un contenitore da sfruttare, onde poter sopravvivere. Ma ci sono delle differenze in questo, alcune fondamentali, altre d'importanza secondaria. Vediamo ora quali siano. Raggruppando i gruppi a "tecnologia semplice", secondo la classica tassonomia, che si basa sull'attività economica perseguita: cacciatori-raccoglitori, coltivatori, allevatori.

Il rapporto natura-cultura presso i popoli cacciatori raccoglitori

"Il mio cuore è tutto felice, il mio cuore si gonfia nel cantare, sotto gli alberi della foresta, la foresta che è la nostra casa e la nostra madre" (canto dei pigmei Mbuti dell'Ituri, Zaireda TURNBULL C.M. 1978, Man in Africa, London: Pelican Books)

"La foresta è un padre ed una madre per noi e come un padre ed una madre ci dà ogni cosa di cui necessitiamo - cibo, vestiti, riparo, tepore... e affetto. Normalmente ogni cosa va bene, perché la foresta è buona con i suoi figli, ma quando le cose vanno male ci deve essere una spiegazione" (detto da: Moke, pigmeo Mbuti) (da: TURNBULL C.M. 1977 (1972), Il popolo della montagna)

Paul Schebesta con due uomini Mbuti- World Museum Vienna, Austria - CC BY-NC-SA. 

https://www.europeana.eu/item/15504/VF_62288

Le bande - o gruppi con un massimo numerico di individui tale da consentire lo sfruttamento ottimale dell'ambiente circostante - di cacciatori-raccoglitori, sparse in diverse aree del pianeta, esercitano un'attività economica, che è di tipo acquisitivo puro e semplice. Cioè, come potremmo dire noi occidentali, non produttivo ma parassitario. Esse utilizzano ciò che si trova nell'ambiente: radici e tuberi, frutti spontanei e vermi, insetti, miele selvatico e selvaggina. In una parola tutto ciò che è commestibile. Altre volte si aggiungerà, praticata nelle radure delle foreste, anche un tipo di orticoltura semi-spontanea. Il rapporto natura-cultura tra questi popoli (indios amazzoniciboscimani del Kalahari, aborigeni australianieschimesi (Inuit)pigmei asiatici e africani, ecc.) potrebbe essere definito di tipo armonico, anche se certamente non è idilliaco. Come ben sanno gli etno-antropologi, in particolare coloro che hanno direttamente studiato e perciò hanno condiviso, per un periodo della loro vita, il ritmo esistenziale di queste popolazioni, tra le mille difficoltà di ogni giorno: nella caccia, nel reperimento dell'acqua da bere, nei lunghi, pericolosi e faticosi spostamenti, ecc....

Ho detto che si prende ciò che si trova e per farlo bisogna sapere dove, come, quando, e che cosa poter prendere... Questi gruppi umani hanno una conoscenza del territorio, delle piante e degli animali, estremamente particolareggiata. Qui etnoscienza ed etnomedicina sono assai sviluppate.

Il rapporto natura-cultura presso i popoli coltivatori della savana e della foresta

"Hii saa Brii Mau-Yaang Gôo", "abbiamo mangiato la foresta della pietra genio Gôo"(...) indica a Sar Luk [villaggio Mnong di Yoo Sar Luk, Vietnam] l'anno 1949, o più esattamente l'anno agricolo che va dalla fine di novembre del 1948 ai primi di dicembre del 1949 (...)

Divora, o Fuoco fino al midollo, divora le foglie fino all'anima. Io imito l'Antenato di un tempo, imito la madre di ieri, imito l'Avo di altri tempi. Mi hanno insegnato a soffiare il fuoco dei Rnut: così io soffio. Il fuoco dei Rnoh mi è stato insegnato ad accendere, così io lo accendo (...) Io taglio il figlio della Pianura, ad imitazione degli Antenati; abbatto il figlio dell'Albero, ad imitazione degli Antenati; dissodo la foresta e la boscaglia ad imitazione degli Antenati" 

(da CONDOMINAS G. 1960, Abbiamo mangiato la foresta, Milano: Baldini e Castoldi)

Villaggio Mnong, Vietnam, 2016 (CC, Some rights reserved, Clover9527)

Sono popoli che con la natura hanno un rapporto che dovrebbe essere di tipo conflittuale, nel "concreto". Anche perché la tradizionale metodica che impiegano è quella dello slush and burn, cioè del taglia e brucia. È così che, anno dopo anno, numerosi gruppi umani si "mangiano" letteralmente intere sezioni di foresta o di savana. Spostando continuamente i propri insediamenti fino a che, alla fine del ciclo, dopo un certo numero di anni, si ricomincerà nuovamente a lavorare sul primo terreno.

Il legame che si instaura con la natura è però mitigato da molti fattori culturali: gestione comunitaria dell'attività coltivatrice, dettata dal possesso (e non dalla proprietà) degli appezzamenti dei terreni.

La terra presso questi popoli è la "Madre Terra". Cioè là dove sono sepolti gli antenati e dove torneranno gli individui di tutte le generazioni, presenti e future. È sempre la Terra che darà, anno dopo anno, i buoni frutti dei raccolti.

La terra, a causa di questa sua "doppia" sacralità: la terra che sfama i vivi e che accoglie nelle sue braccia i defunti, appartiene di norma alla comunità, all'intera comunità. Solo il possesso rimane agli individui per l'uso esclusivo della coltivazione.

Quando la cooperazione internazionale ebbe l'idea di creare nei PVS (paesi in via di sviluppo) [in seguito saranno anche definiti in "via di sottosviluppo"…!], il sistema cooperativistico, allo scopo di sfruttare più efficacemente i terreni agricoli secondo il punto di vista europeo, non ha fatto altro che sfondare una porta già completamente aperta. Da sempre!

Albert Abril in Amazzonia con una famiglia Zo'è, 2007 (CC, Some rights reserved: Albert Abril)
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Il giornalista catalano Joan Albert Abril i Pons, corrispondente di guerra, documentarista e regista, già docente universitario, ha effettuato diverse spedizioni tra le tribù indie amazzoniche contattate negli ultimi anni da missionari e dal Funai brasiliano: Xipaià (1999), Kaiapó (1999), Araweté (1999), Sateré-Mawé (2003), Zo'è (2007-2010), Ero completamete all'oscuro dell'esistenza di questo piccolo gruppo indio del Parà, Un nome che immediamente non potevo che associare alla striscia a fumetti di "Arturo e Zoe", letti da bambino. D'altronde il primo contatto con il mondo esterno di questi indios risale solo al 1982 e quello "definitivo" al 1987. L'etnonimo significa "noi". 
Queste due foto sono le uniche che è possibile pubblicare, poichè prive di copyright. Anche se alcuni diritti sono riservati (i nomi degli autori). 


Due donne della tribù Zo'é dello Stato brasiliano del Pará, 2013 (CC Some rights reserved: Danielzsilva
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Facendo ulteriori ricerche sul Web, sia su Abril (su Wikipedia figura anche come April...), che su questo gruppo etnico, mi sono imbattuto su un articolo pubblicato a gennaio. Il suo titolo, ma soprattutto l'immagine d'apertura del "pezzo", mi suonava invece molto famigliare... Perchè il fatto mi aveva allora commosso! Anche i nostri telegiornali l'avevano riportato. Certo non sapevo,  allora, come i due indios visti in televisione appartenessero proprio all'etnia Zo'é. 

Il loro è stato uno straordinario caso di amore filiale: Tawy   ha infatti portato sulle spalle, per farlo vaccinare contro il Sars Cov 2, il padrsessantasettenne Wahu. Impossibilitato a camminare, a causa della sua artrosi alle ginocchia. Attraversando la giungla, guadando fiumi, salendo sulle colline. Un tragitto durato, tra andata e ritorno, ben dodici ore,   

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È stata invece l'introduzione, ai tempi del colonialismo, di un sistema economico basato sul mercato e sulla moneta, e quindi anche sulla proprietà individuale, sull'imposizione delle tasse e sull'enorme diffusione della monocoltura, utile al mercato metropolitano, a creare una falla, tuttora aperta, in molte aree del mondo, che solo l'"innovatrice" idea delle cooperative ha contribuito, in qualche modo, a tamponare. Ritornando, sia pure in parte, alle antiche, tradizionali concezioni della terra comunitaria.

Ho sostenuto come questi popoli abbiano un rapporto conflittuale con l'ambiente, anche se le tecnologie tradizionalmente impiegate, nei tempi tradizionali (a parte i diboscamenti, che oggi non sono cosa da poco), in realtà non recano gravi danni all'ambiente.

Si può altresì affermare come i gruppi umani dediti alla coltivazione facciano ricorso alle istituzioni magico-religiose al fine di instaurare idealmente e ritualmente, cioè culturalmente, un rapporto diverso, in fondo più rispettoso dell'ambiente. Le rappresentazioni individuali e collettive dei coltivatori, nonché gli elementi magico-religiosi da essi "attivati", denotano, quindi, una forma rispettosa della natura.

In conclusione, se da un lato l'ambiente viene forzato con tagli, incendi, diboscamenti, dissodamenti, ecc., dall'altro la cultura cerca di porre idealmente riparo alle "ferite" inferte. Utilizzando altri strumenti, non tecnologici, ma cultuali, rituali. Facenti sempre parte della medesima cultura alla quale appartengono singoli individui e gruppi.

Il rapporto natura-cultura: presso i popoli nomadi "puri" e transumanti

"Ring Giir, Il Grande Biancofiore, Mio padre Ring, fu chiamato da suo padre. Egli lo fece sedere al suo fianco, lo carezzò e gli disse queste parole: "Figlio, Ring, là c'è il bestiame, O figlio, il bestiame è la prosperità dell'uomo. Mio Nonno aveva un wut (cattle camp), il suo campo divenne ricco di mandrie e di uomini, le stelle si riempirono di vacche..." (canto dei Ngok Dinka, Sud Sudan)

(da: DENG F.M. 1971, Tradition and Modernization. A Challenge for Law among the Dinka of the Sudan, New Haven and London: Yale University Press)

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Nel marzo del 1979 a Khartoum ero in attesa di recarmi nella cittadina meridionale di Malakal, ad 850 km più a sud. Dapprima attraversando il deserto in jeep per un’intera giornata, poi risalendo il leggendario Nilo Bianco, a bordo di un vetusto battello a pale posteriori, per quattro fantastici giorni.


Tra i miei numerosi impegni e incontri programmati a Roma (Ambasciata, Alitalia, Agip, Università, Missionari), era previsto che incontrassi, per via protocollare, il Ministro di Stato per gli Affari Esteri Sudanese nel suo Ufficio. Grazie all’interessamento, sia dell’Ambasciata del Sudan a Roma, che di quella italiana a Khartoum. Non per un fatto meramente elitario o snobistico. Ma perché il Ministro, oltre ad essere lui stesso un antropologo, era il massimo interprete del popolo dei Dinka, al quale appartiene. Suo padre, Majok Deng, era il Paramount Chief dei Ngok Dinka del Kordofan.

Ma Francis Mading Deng (1938- ), autore del libro da me sopra citato, era ed è stato molto più di un antropologo. Perché è stato un diplomatico (Ambasciatore del Sudan in Canada, Stati Uniti, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia), uno scrittore, un politico e, dal 2012 al 2016, primo Ambasciatore del Sud Sudan (indipendente dal 2011) all’ONU. Ha studiato e si è laureato in diverse Università. Come quella di Khartoum, Yale (USA)il King’s College e la School of Oriental and African Studies di Londra. Infine ha scritto oltre una trentina di libri: giuridici, sui diritti umani, di antropologia e folklore, storici, politici. Nel 1979 in suo cursus honorum era già abbastanza ricco. Certo non come oggi…


Quello straordinario incontro di decenni fa è stato invero emozionante per il giovane studioso. Davanti a me avevo una figura che riusciva bene ad incarnare la tradizione della propria gente, coniugandola con la modernità. Collegando il passato al presente. Ma soprattutto al futuro. Come poi si verificherà puntualmente. Allorché il Sud Sudan diverrà finalmente indipendente. Nonostante tutti i sofferti e travagliati trascorsi storici.


Interessato al mio precedente studio sulla cittadina kenyota di Isiolo, fu prodigo di consigli su Malakal. Altra cittadina multietnica e multiculturale. Dove convivevano, allora pacificamente, le genti del Sud, come i Nilotici allevatori Dinka, Nuer, Shilluk, Anuak, ma anche i Nuba del Kordofan. Oltre agli arabi (od arabizzati) del Nord.

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Uomini Dinka con lance, collane e bracciali, Kodok, Sud Sudan
                       The Swedish Rhodesia-Congo Expedition (1911–1912): Rosen, Eric von  (1912). Från Kap till Alexandria: Reseminnen från svenska Rhodes.The National Museums of World Culture (Världskulturmuseerna)Stockholm / Göteborg
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Eric von Rosen (1879-1948) è un personaggio a dir poco singolare. Infatti è un ricco conte. Possiede il castello di Rockelstad (XIV secolo). È pilota d'aereo. Sarà addirittura il futuro cognato di Göring. Ma è anche un esploratore ed etnografo. Dopo aver effettuato nel 1900 una spedizione in Lapponia, partecipa alla Spedizione Svedese Chaco-Cordillera, 1901-1902: Argentina-Bolivia) diretta da Erland Nils Herbert Nordenskjöld, figlio del grande esploratore artico Nils Adolf Erik Nordenskjöld, Missione che riceverà anche il suo prezioso patrocinio. Nel 1909 effettua un’altra spedizione dal Capo ad Alessandria, marciando quasi sempre a piedi. La foto si riferisce invece a quella organizzata nel 1911-12, per studiare i poco conosciuti pigmoidi Batwa nei pressi del lago Bangweolo, al confine con il Tanganyika (oggi Tanzania).

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Ragazza Dinka, ca. 1877-1880, di Richard Buchta (Pitt Rivers Museum, Oxford)

Quello che è stato detto per i coltivatori, può essere esteso ai gruppi umani che si dedicano ad un'economia di allevamento. Essi sfruttano i prodotti forniti dagli animali (latte, sangue, sterco) e gli animali stessi, sia morti (carni e pelli) che vivi (trasporto), e utilizzano i territori percorsi: stagionalmente (transumanza), ciclicamente (pastorizia seminomade) o semplicemente "itinerante" (pastorizia nomade), per sfruttare fino in fondo tutte le possibilità di pascolo ivi localizzate.

Anche presso questi popoli ci sono meccanismi culturali autogiustificativi e discolpanti del proprio comportamento nei confronti della natura, che fanno sì che essi vengano ritualmente attivati (medianti sacrifici et alia), allo scopo di rimanere, sia pure idealmente e, quindi, culturalmente, in armonia con l'ambiente e con il mondo animale e vegetale, che dà loro modo di sopravvivere.

In conclusione

I tre "tradizionali" approcci dei popoli "altri" all'ambiente ci mostrano un rapporto e un'interazione che non è mai di totale sfruttamento, nel concreto e idealmente. Nei confronti della natura non esiste una mentalità, un atteggiamento che è sempre e solo di competizione, di rapina, di mero sfruttamento.

Se da una parte si acquisiscono i prodotti del sottobosco, del bosco, delle steppe semi-desertiche e del deserto - sabbioso, roccioso, ghiacciato - (animali, vegetali), dall'altra si raccolgono i prodotti della coltivazione e dell'allevamento.

Nel primo caso la relazione con la natura è di rispetto, sia concreto, che "ideale", mentre negli altri due esiste una qualche discrasia tra l'agire concreto (negativo) e ideale (positivo). Il rispetto è solamente ideale.

Il Lanternari dedicò un interessante e corposo studio alle feste cosiddette di Capodanno presso i popoli cacciatori, pastori e coltivatori. Esse mostrano chiaramente quanti e quali siano, e in quali occasioni vengano attivati, gli strumenti culturali e rituali delle varie popolazioni. Ne discende che il rapporto uomo-natura e cultura-natura, spesso anche conflittuale, trova sempre una sua catartica armonizzazione, grazie alla ricomposizione di ogni "pedina" nell'ampio alveo della tradizione e della cultura (LANTERNARI V. 1976 (1959), La grande festa. Vita rituale e sistemi di produzione nelle società tradizionali, Bari: Dedalo Libri).

Da: "UOMINI, GENTI E CULTURE DEL "VILLAGGIO GLOBALE". UNA LETTURA ANTROPOLOGICA DELL'AMBIENTE". La versione integrale è reperibile su: 

https://www.researchgate.net/publication/344854777_UOMINI_GENTI_E_CULTURE_DEL_VILLAGGIO_GLOBALE_UNA_LETTURA_ANTROPOLOGICA_DELL'AMBIENTE?_sg%5B0%5D=xR_sAXkpyLdirfcqO6kf7f3nXVsykH5ROp2O9QZN8NVmOjn-QI9NI0Gg7AZ5GtTiufZ-ybIuumZ0HYsvjDEGyGmb404NF5V_NxNsRzsq.IldbcG9wxP3qd4cF3TuI8CnrYV_HYMSb2dPpfO8inwcALgg2StziIG1diiMs1KQHIWQuy6v_9UFymrP9-b3hgQ

61 personaggi, oltre ad una spedizione antropologica intercontinentale, svoltasi tra America del Nord e Asia a cavallo tra il secolo XIX e XX, figurano nella mia trilogia: LE GRANDI AVVENTURE DELL’ANTROPOLOGIA (Antropologi culturali, sociali, fisici, applicati, etnologi, etnografi, etnomusicologi, etnostorici)

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giovedì 30 giugno 2022

41. MASTERS & COMMANDERS VERSO L’IGNOTO. UNA TRILOGIA DI GRANDI NAVIGATORI. PARTE II: XIX SECOLO

E’ l’inizio di settembre e gli uomini cominciano a costruire la loro casa nella Nuova Zemlja (incisione colorata da: G. De Veer, The True and perfect Description of three Voyages…, 1609) [nel 1596 gli olandesi avevano trovato legno da deriva, con il quale poterono costruire una casa in cui, come scrive il cronista de Veer, “fummo costretti a trascorrere l'inverno nel grande freddo, in miseria, indigenza e angoscia". Solo il 13 giugno del 1597, non appena liberate dalla morsa del ghiaccio, le navi poterono nuovamente salpare. Il Barents sarebbe morto sette giorni dopo. Il 7 settembre del 1871 il cacciatore di foche Elling Carlsen sbarcò in una zona poco battuta dell'isola, la "Baia del Ghiaccio": il 9 avrebbe scoperto le rovine di una capanna di 16 m per 10!

   La presenza in questo secondo volume della trilogia di Masters & Commanders di un autentico parterre du roi di navigatori credo possa ampiamente attrarre curiosità e interesse nel lettore. John Ross, Bellingshausen, Parry, Franklin, Nils Nordenskjöld, Sverdrup, Nansen: ecco alcuni dei nomi più prestigiosi dell’esplorazione marittima qui raccolti. Figure storiche di spessore, particolarmente attratte dai deserti ghiacciati del Polo Sud, come del Polo Nord. E che spesso si sarebbero anche dovuti cimentare nella ricerca estenuante di una via settentrionale verso l’Oriente: i mitici “Passaggi” a Nord-Ovest e a Nord-Est.

   A loro ho aggiunto altri protagonisti, che solo superficialmente potremmo considerare “minori”... Come la coppia russa Lisianski e Kruzenstern che, all’inizio del XIX secolo, realizzò la prima circumnavigazione del mondo dell’Impero zarista.

   E che dire di Matthew Flinders, nonno di uno dei più grandi egittologi inglesi, di cui a Londra ho potuto ammirare il suo minuscolo, quanto straordinario, museo? L’antenato dell’archeologo scoprirà, infatti, dopo averla integralmente circumnavigata, come l’Australia in realtà sia… una gigantesca isola!

Se poi, accanto a loro, collochiamo, ad esempio, un baleniere, stiamo forse sminuendo le qualità di tutti gli altri? Ma, no… Poiché in Scoresby junior emergeva un’innata propensione per la scienza, l’osservazione empirica, gli esperimenti. Anzi, si può dire come egli sia stato addirittura un precursore. Lui, che era un incredibile e curiosissimo autodidatta, e che prestava estrema attenzione a cose, fatti, fenomeni, accadimenti, dettagli. Un talento naturale che si andava ad aggiungere alla sua più che ragguardevole esperienza marittima e polare. Tutto ciò fece sì che suoi saranno i primi lavori scientifici pubblicati sull’Artico.

Forse solo per un colpo di fortuna, ma sarà invece il norvegese Carlsen, un altro “non paludato” frequentatore dei mari artici (era un provetto cacciatore di foche), a scoprire nella remota isola della Nuova Zemlja l’accampamento invernale del navigatore Barents, risalente a quasi tre secoli prima.

Il Tempio di Tjintak-Kjong, Singapore. Acquerello realizzato dal pittore Joseph Selleny nel corso della circumnavigazione della Terra della fregata austriaca Novara  (1857-59) diretta  dal Marineroberkommandanten   Arciduca Ferdinando Massimiliano (Max) d’Asburgo

   Ecco poi spuntare dal nostro parterre un altro periplo della Terra. Quello della Novara comandata dall’Arciduca Ferdinando Max, per brevissimo tempo perfino Imperatore del Messico. Ed è la stessa fatal nave che cantò il Carducci, che in seguito avrebbe riportato in patria le sue spoglie mortali.

   A questo punto vi starete forse domandando se nel mio elenco sia compreso anche qualche italiano. Risposta affermativa: Enrico D’Albertis, che al suo attivo conta, tra l’altro: tre viaggi intorno al mondo, crociere della Marina e su yachts, scontri navali, esplorazioni fluviali.

   Inoltre non potevo qui non ricordare la missione diplomatica in Asia dello squadrone navale dell’Ostasiengeschwader prussiana, con bordo un giovane Ferdinand von Richthofen. Futuro grande sinologo e zio di Manfred, il famoso Barone Rosso dell’aviazione germanica. È infatti a Ferdinand che si deve la coniazione dello storico termine, diventato poi d’uso universale, di “Via della Seta”.

“Espelli i barbari”. Immagine di lottatore giapponese che manda a terra uno straniero (1861)

   A questo punto bisogna però tornare cronologicamente indietro. La parte principale del libro è infatti costituita dalla grande spedizione del navigatore britannico Sir John Franklin. Scomparsa misteriosamente nel nulla, mentre a metà ottocento si accingeva ad inoltrarsi all’interno di quel gigantesco e caotico meandro di isole, stretti e canali, che formano l’arcipelago artico canadese.

   Per molto, troppo, tempo non si saprà più nulla della sorte toccata alle due navi e ai loro equipaggi. Come dicono gli inglesi, con ogni probabilità bisognava quindi solo aspettarsi il tragico: ships lost with all hands. Solo dopo quasi tre anni le prime missioni di ricerca, via mare e via terra, cominciarono a ritrovare sparse in un immenso territorio materiali, tombe, resti umani. Tracce frammentate di un gigantesco dramma consumatosi tra i ghiacci.

   Alle missioni di ricerca via mare appartengono altre tre figure, che qui ricordo. La prima è quella dello statunitense Elisha Kane, che nel 1850 scoprì sull’isola Beechey le prime tracce della spedizione Franklin: il quartiere invernale della spedizione e le tombe di tre componenti l’equipaggio, i primi a morire. La seconda è quella di Robert McClure. Non scoprirà nessuno, né a nessuno potrà portare soccorso. Però sarà il primo ad aver fatto il periplo delle Americhe e aver scoperto, “suo malgrado”, il Passaggio a Nord-Ovest. Da lui affrontato dallo Stretto di Bering, dopo aver superato tre e, poi, quattro sverni. Percorrendo il Passaggio, sia a bordo della propria nave, che imbarcandosi su un'altra. Ma anche compiendo lunghi tragitti, sia su slitte, che a piedi. Il terzo personaggio è quello di Sir Francis Mc Clintock. Nel 1857-58 scoprirà una significativa testimonianza scritta (quasi “ufficiale”) riguardante l’inizio della tragedia.

   A loro ho aggiunto, anche se non lo si può certo considerare un navigatore, l’orcadiano John Rae, un esperto funzionario della Compagnia della Baia di Hudson. Le sue lunghissime traversate, sia per terra, che per mare (1847,1848, 1850,1853-54), gli daranno modo di raccogliere altri oggetti della spedizione e di ottenere preziosissime informazioni dagli eschimesi via via incontrati.

   I numerosi ritrovamenti riguardanti la spedizione di Franklin non avevano però mai portato ad individuare quali fossero state le reali cause del fallimento della più grande spedizione mai allestita dal governo britannico. Per conoscere la triste verità bisognerà infatti aspettare oltre un secolo (anni ‘1980), Allorché un collega antropologo (ma forense) canadese effettuerà analisi di laboratorio sulle salme ibernate di due marinai estratti dalle loro tombe scavate nel permafrost ghiacciato. Poi, trent’anni più tardi, complice il riscaldamento del pianeta, il sapiente utilizzo di apparecchiature sofisticate, le rivalutate testimonianze degli eschimesi (Inuit) della regione, a suo tempo completamente inascoltate, o ignorate, si è addirittura riusciti a localizzare i relitti di entrambe le navi sul fondo marino. Dapprima l’Ammiraglia, l’Erebus (2014), poi la Terror (2016). E dire che la seconda è stata individuata nella baia che proprio da lei aveva preso il toponimo, cioè Terror Bay (sic)…

   Ecco quindi i personaggi che il lettore troverà nelle pagine del libro, anche se ne manca ancora uno, il primo. Mi riferisco a Bligh, una figura controversa che, in effetti, avrebbe dovuto figurare nel primo volume della trilogia. Comunque, sia pure “in corner”, l’ho potuto qui inserire per via dell’anno della sua scomparsa (1817).

1. L'odioso, straordinario Capitano William Bligh, 1754-1817. Nome legato all'ammutinamento del Bounty, ma anche ad una delle più grandi imprese marinare di sempre

2. Urey Fyodorovich Lisianski, 1773- 1837 e Johann von Kruzenstern, 1770-1846: da San Pietroburgo all'America. La prima circumnavigazione del globo compiuta dalla Marina Russa (1803-1806), "scorciatoia" per evitare due anni di lunghi viaggi estenuanti con ottomila cavalli

3. Matthew Flinders, 1774 -1814: alla scoperta della "Terra Australis", che viene circumnavigata per la prima volta

4. John Ross, 1777-1856: il grande navigatore-esploratore scozzese, che per primo raggiunse il Polo Magnetico nell'Artico canadese

5. Fabian Gottlieb Thaddeus von Bellingshausen, 1778-1852: il navigatore estone che scoprì il Polo Sud

6. Sir John Franklin, 1786-1848: la scomparsa nel nulla della Grande Spedizione britannica, inviata a ricercare il Passaggio a Nord-Ovest, per oltre un secolo ha rappresentato il più grande mistero della storia dell'esplorazione

6.1 Alla ricerca via mare della Spedizione Franklin: Elisha Kent Kane, 1820-1857, l'eroe americano dei viaggi artici

6.2 Alla ricerca via mare della Spedizione Franklin: Robert McClure, 1807-1873, lo scopritore del Passaggio a Nord-Ovest

6.3 Alla ricerca via mare della Spedizione Franklin: Sir Francis Leopold Mc Clintock, 1819-1907, lo “Sherlock Holmes” dell’Artico

6.4 Alla ricerca via terra della spedizione Franklin: John Rae, 1813-1893, per gli eschimesi Meeteelik: "uno che ha lo spirito di un'anatra". 37.000 chilometri a piedi tra i ghiacci il "carnet" di viaggio dell’esploratore scozzese. Con le sue imprese apportò nel XIX secolo un notevole contributo alla conoscenza del Grande Nord canadese

7. William Scoresby Jr., 1789-1857: un baleniere a cui si deve l’inizio dello studio scientifico dell’Artico

8. William Edward Parry, 1790-1855: gli arditi tentativi del grande navigatore ed esploratore del mare artico, per ricercare il mitico Passaggio a Nord-Ovest e conquistare il Polo Nord

9. Elling Carlsen, 1819-1900: l'accampamento invernale di Barents nella Nuova Zemlja. Tre secoli ritrovati sul pack nel 1871 dal capitano norvegese

10. Arciduca Ferdinando Massimiliano (Max) d’Asburgo, 1832-1867: a Castel Tirolo la mostra "Oltre l'orizzonte: l'ultima circumnavigazione della Novara (1857-59)", il veliero che più tardi avrebbe ricondotto dal Messico la sua salma

11. Nils Adolf Erik Nordenskjöld, 1832-1901: il “Conquistatore” del Passaggio a Nord-Est, tra i più grandi navigatori di tutti i tempi

La Vega di Nils Adolf Erik Nordenskjöld tra i ghiacci. Quadretto ad olio di G. Bove (G. Bove, Il Passaggio di Nord-Est, 1940)

12. Enrico Alberto D’Albertis, 1846-1932, grande navigatore-esploratore dei cinque continenti

13. La Missione in Asia della Ostasiengeschwader, la Squadra Prussiana dell’Asia Orientale (1860-62)

14. Otto Sverdrup, 1854-1930, il "principe" dei navigatori ed esploratori polari norvegesi, le cui imprese non furono inferiori a quelle di Nansen e Amundsen

15. Fridtjof Nansen, 1861-1930: a Oslo il Fram Museet custodisce la nave, che nel 1893-1896 l'esploratore guidò in una storica spedizione polare, lasciandosi trascinare da un imprevedibile tappeto di ghiaccio

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   "Nel XIX secolo un cacciatore di foche di Hammerfest, il capitano Elling Carlsen, riuscì comunque a passare alla storia in un modo del tutto insolito e, per lui, imprevisto. Arrivando il 7 settembre 1871 in una zona poco battuta dell'isola russa della Nuova Zemlja, la "Baia del Ghiaccio". Il 9 avrebbe scoperto le rovine di una capanna di 16 m per 10. Pressoché nello stesso periodo dell'anno, l'11 settembre, però del lontanissimo anno 1596, gli olandesi avevano infatti trovato legno da deriva, con il quale poterono costruire una casa in cui, come scrive il cronista de Veer, “fummo costretti a trascorrere l'inverno nel grande freddo, in miseria, indigenza e angoscia". Solo il 13 giugno del 1597, non appena liberate dalla morsa del ghiaccio, le navi poterono nuovamente salpare. Il Barents sarebbe morto sette giorni dopo. Gli olandesi furono così i primi europei a sopravvivere un inverno a latitudini così elevate.

   Questo ritrovamento ha certamente dell'incredibile! Ad un profano può sembrare del tutto improbabile pensare che, a distanza di così tanto tempo, sia stato possibile rintracciare, in habitat così estremo, materiale che altri ecosistemi avrebbero condannato a far scomparire, senza lasciare traccia alcuna. Ma nell'ambiente artico, per altri versi così fragile, le tracce dell'uomo sono destinate a durare per un lunghissimo periodo di tempo. Non solo se preservate dal gelo del permafrost! Ecco perché i responsabili dell'ambiente, nelle Svalbard, come nell'Artico canadese, ad esempio, sono particolarmente sensibili a ogni attività umana presente in quelle regioni, che perciò è severamente regolamentata.

L'Assistente all'Ambiente del Governatorato delle Svalbard ebbe modo di mostrarmi alcuni segni particolari su una mappa dell'arcipelago. Erano segni di pneumatici presenti nell'isola di Edgeøya, ad est dello Spitsbergen. Dove normalmente vi si arriva con lo skidoo (motoslitta) solo durante i lunghi e bui mesi invernali. Quei segni così ben visibili erano divenute profonde cicatrici sul terreno, che si sarebbero rimarginate lentissimamente. Erano state lasciate da alcuni veicoli appartenenti ad una società impegnata in prospezioni petrolifere oltre trent'anni prima! (...)

   Alcuni degli oggetti riportati dal Carlsen sono esposti "quasi religiosamente" nell'importante, e per certi versi "unico", Museo Polare di Tromsø, nel nord della Norvegia. In una vetrina fanno bella mostra di sé: alcuni sigilli in piombo che venivano applicati sui rotoli di tessuto da commerciare nella lontana Cina; parti di slitta; misure per polvere da sparo; lucchetti; coltelli; resti di una bilancia e di una lampada ad olio. La quasi totalità degli oggetti, tra cui una relazione di viaggio manoscritta dal Barents, venne comunque donata dallo scopritore al governo olandese. Ora i reperti sono visibili presso il Rijksmuseum di Amsterdam, dopo essere stati depositati per un certo periodo presso il Museo della Marina (L'Aia)".

Da: MASTERS & COMMANDERS VERSO L’IGNOTO.   NAVIGAZIONI STRAORDINARIE AI CONFINI DELLA TERRA. PARTE II: XIX SECOLO 

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Introduzione 

1. William Bligh, 1754-1817 

2. Urey Fyodorovich Lisianski, 1773- 1837 e Johann Von Kruzenstern, 1770-1846 

3. Matthew Flinders, 1774-1814 

4. John Ross, 1777-1856

5. Fabian Gottlieb Thaddeus von Bellingshausen, 1778-1852 

6. Sir John Franklin, 1786-1848 

Introduzione 

La Grande Spedizione di Franklin salpa alla ricerca del Passaggio a Nord-Ovest 

Prima Fase: le missioni di soccorso e ricerca (1847-1880) scoprono materiali, tombe, resti umani 

6.1 Alla ricerca via mare della Spedizione Franklin: Elisha Kane, 1820-1857

6.2 Alla ricerca via mare della Spedizione Franklin: Robert McClure, 1807-1873

6.3 Alla ricerca via mare della Spedizione Franklin: Sir Francis Leopold Mc Clintock, 1819-1907 

6.4 Alla ricerca via terra della spedizione Franklin: John Rae, 1813-1893 

Seconda Fase: alla fine di un decennio di ricognizioni sul terreno, di studi e analisi a tavolino e in laboratorio, negli anni ‘1980 si ricostruiscono le cause del tragico fallimento di una delle più grandi imprese umane, che la storia dell'esplorazione ricordi 

La sopravvivenza nell'Artico: insegnamenti provenienti dalla cultura Eschimese (Inuit) e dall'Antropologia 

Terza fase: anni ‘2000. il cambiamento climatico favorisce il ritrovamento sul fondo del Mar Glaciale Artico prima dell’Erebus (2014), poi della Terror (2016) 

7. William Scoresby Jr., 1789-1857

8. William Edward Parry, 1790-1855 

9. Elling Carlsen, 1819-1900 

10. Arciduca Ferdinando Massimiliano (Max) d’Asburgo, 1832-1867 

11. Nils Adolf Erik Nordenskjöld, 1832-1901 

12. Enrico Alberto D’Albertis, 1846-1932 

13. La Missione in Asia Orientale della Ostasiengeschwader, 1860-62 

14. Otto Sverdrup, 1854-1930 

15. Fridtjof Nansen, 1861-1930 

BIBLIOGRAFIA