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giovedì 13 aprile 2023

89. J. BARRIE, L’ULTIMO FILM DI PETER PAN (PETER PAN & WENDY), E L’ISOLA CHE NON C’E’: HARRIS, EBRIDI ESTERNE, SCOZIA, UK [ST KILDA, DU CHAILLU, SCHOMBURGK, THOMPSON]

 

Illustrazione dell'Isola che non c'è, realizzata da F. D. Bedford, dal romanzo Peter and Wendy del 1911

Peter Pan & Wendy

Ho deciso di scrivere questo post, dopo aver visto in televisione l’anteprima del trailer di Peter Pan & Wendy, l’ultima versione cinematografica del celebre Peter Pan [con Jude Law nel ruolo di Capitano Uncino], disponibile su Disney dal 28 aprile.

L'HARRIS HOTEL E TARBERT

Nel corso della mia ricerca nelle Ebridi Esterne [al largo della costa nord-occidentale della Scozia], prima e dopo aver raggiunto il remoto e disabitato arcipelago di St Kilda in aperto Oceano Atlantico, ho soggiornato nello storico Harris Hotel (del 1865), alla periferia della cittadina di Tarbert (in gaelico: An Tairbeart), nell'isola di Harris (Na Hearadh), sull’istmo che collega il loch occidentale (aperto sull’Oceano) all’orientale. 

E Tarbert è un toponimo di provenienza vichinga, che indica un portage, il passaggio delle imbarcazioni effettuato a spalla, da un lato all'altro dell'istmo [spesso indispensabile per passare da un corso d'acqua all'altro, o per riuscire a superare rapide e cascate].

L'Harris Hotel

Sir James Matthew Barrie (1860-1937), foto del 1892

La "Cataratta di Natale" del fiume Berbice, Guyana. Disegno tratto da uno schizzo di Charles Bentley (da: Sir Robert Hermann Schomburgk, Twelve Views in the Interior of Guayana, 1840). E' in corso un portage 

Essendo a conoscenza che lo scozzese [dell'Angus] James Matthew Barrie (1860-1937), autore del celebre personaggio di Peter Pan, era stato ospite dell’albergo nel 1912, con l’aiuto della Sig.ra Morrison, la proprietaria, cercai la sua firma su un vecchio registro degli ospiti.


James Matthew Barrie, Anthony Hope Hawkins,  
Edward Verrall Lucas
Le firme di Barrie, Hope Hawkins e Lucas nella pagina del vecchio registro degli ospiti 


Rintracciata la firma, noto che accanto ci sono quelle dei suoi amici Anthony Hope (Hawkins), autore del celebre Prigioniero di Zenda, ed Edward Verrall Lucas, umorista saggista, drammaturgo, editore, poeta ecc.

Insomma nel luglio del 1912 c’è un “Bloomsbury” in sedicesimo [dal Bloomsbury Group londinese], trasferitosi alle porte dell’Oceano per pescare. 

Anthony Hope, all'anagrafe Anthony Hope Hawkins (1863-1933), ca.1880-1898 (Harvard Art Museum/Fogg Museum)

Ritratto di Edward Verrall Lucas (1868-1938), ca. 1905

Con Barrie c’erano anche i cinque figli degli amici Arthur e Sylvia Llewelyn Davies (ai quali si era ispirata la prima versione del 1902 di Peter Pan), da lui adottati “ufficiosamente” nel 1910, dopo la morte dei loro genitori. 

Poi il gruppo si trasferirà nel non distante Ammhuinsuidh Castle.

James Matthew Barrie, l'Allahakbarries, il cricket e l'impressionante cerchia degli amici intellettuali  

Barrie ha avuto una vita sociale estremamente intensa e legami amicali con il fior fiore della cultura britannica.

Tanto da fondare, per l’amato cricket, l’Allahakbarries.

Una squadra amatoriale (attiva tra il 1890 e il 1913) nelle cui file si cimenterà il Gotha del Regno Unito.

Tra cui Kipling, Wells, Conan Doyle, Wodehouse, Chesterton, Jerome, lo stesso Lucas. 

Ma anche il singolare e "misterioso" esploratore ed antropologo franco-americano Paul Du Chaillu. 

GLI ALTRI ESPLORATORI

Del resto tra i suoi tanti amici figurano anche Thompson (il primo ad inoltrarsi nella terra dei temibili Masai dell’Africa Orientale) e Robert Falcon Scott, l’esploratore del Polo Sud.

Ma c’è un altro motivo che mi ha spinto a realizzare il post. 

Never Never Land, l'isola che non c'è!

Riguarda la famosa “isola che non c’è”. Dove Peter, Wendy e i ragazzi giungono dopo aver volato per giorni. 

Isola resa celebre anche dalla canzone di Edoardo Bennato.

La spiegazione trovata su Wikipedia ritiene che Barrie abbia individuato nelle regioni più remote dell'outback australiano, quelle che gli aussies chiamano appunto Never Never, l’isola immaginaria di Never Never Land, Neverland o Neverlands.

Ritengo, invece, che non ci sia alcun bisogno di andare all’altro capo del mondo per individuare l’isola che non c’è, specialmente da parte di uno scozzese. 

Perché l’ha addirittura in “casa”, ed è esattamente l’isola di Harris!

L'ISOLA, "NON ISOLA", DI HARRIS

Come ben sappiamo in tutto il mondo il suo nome è sinonimo di eleganza, sportività, resistenza. 

Mi riferisco a quel particolare tipo di tessuto pregiato, il tweed, più precisamente all'Harris Tweed, che deve il termine all'isola dove nacquero l'idea e la sua brillante, concreta realizzazione.

Proprio Harris è l'isola che non c'è

Almeno nel senso stretto del termine. 

In effetti nella letteratura e sulla cartografia delle Ebridi, da secoli ci si riferisce all'isola di Harris. 

Anche se è area saldamente e naturalmente collegata all'isola di Lewis, e non per interventi più o meno secolari dell'uomo - dighe o ponti -.

Lewis ed Harris sono infatti un tutt'uno. 

Harris, l'isola che non c'è, e la parte meridionale dell'isola di Lewis. Nel riquadro l'arcipelago delle Ebridi Esterne


Ma da sempre Harris è considerata un'isola

"Leogus et Haraia insulae ex Aebudarum numero quae quamquam isthmo cohaerant pro diveris habetur".

("Lewis e Harris nelle Ebridi sono considerate due diverse isole anche se collegate da un istmo").

Così scriveva il cartografo olandese Blaeu nel 1655. 

In proposito rilevo anche come il locale dialetto gaelico, oltre alla stessa inflessione linguistica inglese, parlato dai suoi abitanti, come avevo appreso già a Glasgow, in procinto di partire per le isole, e come più volte ho potuto verificare "in situ", abbia modo di differenziarsi notevolmente da quello parlato dagli abitanti di Lewis. 

Una discrepanza percepibile perfino da chi non è assolutamente in grado di esprimersi o capire il gaelico. 

Quindi l'isola di Harris è un caso speciale di insularità, forse unico al mondo, di tipo "virtuale".

Geo-morfologicamente, sia pure con qualche forzatura, si tende a descrivere il distacco fisico tra le due aree con il fatto che la regione meridionale di Lewis è profondamente connotata dalla contemporanea presenza di due profondi lochs (Resort e Seaforth) e di una zona fortemente montagnosa, la Foresta di Harris. Che, nonostante il nome, non ha alberi all’interno, bensì solo daini. 

Tanto che in Gaelico occasionalmente ci si riferiva ad Harris chiamandola Ardmeanach of Lewis, "le alte terre nel mezzo di Lewis”.

.....

Sul remoto arcipelago di St Kilda, 41 miglia nautiche ad ovest delle Ebridi Esterne: 

NELL'ARCIPELAGO DEGLI “UOMINI-UCCELLO” DI ST KILDA. VITA E MORTE DI UNA REMOTA COMUNITÀ' SCOZZESE

E-Book, versione cartacea I e II ediz. 
........
 L'enigmatico esploratore-antropologo franco-americano Du Chaillu figura nel vol. 2, Africa di: 
ALLA SCOPERTA DEL MONDO 

E-Book

Versione cartacea
....
L'esploratore e naturalista Sir Robert Hermann Schomburgk, prussiano di nascita al servizio dell'Inghilterra, figura nel vol.4, AMERICA, di: ALLA SCOPERTA DEL MONDO

 .... 

L'esploratore britannico Thompson, il primo europeo ad attraversare la pericolosa terra dei Maasai,  figura nel mio ultimo libro:
Maasai. Genti e Culture del Kenya


PAGINA AUTORE USA;

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PAGINA AUTORE ITALIA;

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N.B. Il blog è dotato di Google Traduttore e di un motore di ricerca interno

mercoledì 1 giugno 2022

24. NEL REMOTO ARCIPELAGO ATLANTICO DI ST KILDA, AD OVEST DELLE EBRIDI ESTERNE, SCOZIA

Mappa dell’Arcipelago di St Kilda (GNU Free Documentation License, Autore: Eric Gaba - Sting -, marzo 2009, con l’utilizzo di Landsat ETM+ imagery [dominio pubblico])

 Solo e con le spalle alle capanne, potevo immaginare quale vita poteva essere stata ad Hirta e fui sopraffatto dalla lontananza di una vita siffatta. Avessi viaggiato direttamente fino a St Kilda da Edimburgo o Londra, quel senso di distanza si sarebbe accresciuto ancora ulteriormente. Dopo tre mesi di saltellamenti tra un’isola e un’altra, ero condizionato da terre circondate dall’acqua. Così mi era diventata famigliare la sensazione di essere isolato dal resto del mondo. Ma la nozione di distanza [remoteness] veniva costantemente ridisegnata. Arran sembrò remota rispetto alla terraferma dello Ayrshire, ma mi sembrò ridicola tale nozione allorché visitai Colonsay e Jura. Coll, in particolare, e Tiree erano apparse ancora più isolate - più Ebridi Esterne, che Interne -, come per Rum. St Kilda portò la mia definizione di isolamento e di remoto a nuovi livelli. Qui c’era il confine, un confine geografico alla frontiera dell’Europa nord-occidentale, ma anche un confine culturale e sociale” (Jonny Muir, 2011).

   La meta di quel viaggio non si poteva certamente definire "agevole". Nella mia vita più di una volta mi sono sentito dire, a proposito della scelta "a tavolino" dei luoghi dove andare a svolgere le mie ricerche, che "me le andavo cercando con il lanternino...". Per difficoltà, logistiche, o di altra natura, evidenti anche grazie ad una lettura, neanche tanto approfondita, della carta geografica. Difficoltà che avrebbero reso spesso difficoltosa la "discesa sul terreno". Ai miei gentili interlocutori non sfuggiva comunque il fatto che, superati gli "scogli", i risultati ottenuti sarebbero stati densi di gratificazioni, anche personali.

   Avrei pensato proprio a ciò subito dopo aver appreso dalla radio di bordo che la guardia costiera scozzese da Stornoway consigliava al mio skipper di tornare indietro. Dopo due ore di navigazione passate in mezzo alle acque dell'Atlantico che, anche se non burrascose, erano senza dubbio molto inquiete. In seguito avremmo potuto tentare una nuova traversata. In quel preciso frangente avrei sperimentato cosa significasse realmente cercare di raggiungere la mia meta. Che per una lunga serie di motivazioni costituiva l’aspetto più illuminante della ricerca di quell'anno. Del resto già caratterizzata da numerosi elementi di interesse.

   La destinazione di quel giorno, anche simbolicamente, rappresentava per me moltissimo. Fin da quando, ormai molti anni addietro, avevo iniziato i miei vagabondaggi scientifici per l'Atlantico. In più di un'occasione avrei infatti ad essa fatto riferimento, senza averne conoscenza diretta. E i lineamenti della sua eccezionale storia, da un lato "unica" nel suo genere, dall'altro paradossalmente uguale a quella di tante altre situazioni riscontrabili non solo nello scacchiere europeo, mi avevano da tempo affascinato e coinvolto emotivamente. Non solo come studioso dell'uomo. Rendendomi partecipe di una straordinaria, plurisecolare vicenda umana. Storia il cui triste, anche se non del tutto inatteso, epilogo, avrebbe avuto luogo non tanti decenni addietro.

   Da tempo, quindi, avevo incluso nel mio programma antropologico sulle comunità marittime dell’Atlantico del Nord una ricognizione "in loco".

   Nei secoli precedenti, ma ancora ai giorni nostri, le difficoltà insite nella navigazione rendono sempre difficile e per niente scontato l'arrivo in quel remoto pugno di isole, costituito dall'arcipelago di St Kilda. Allorché si riesce poi a raggiungerlo (quanti viaggiatori sono arrivati nei pressi per essere poi obbligati a tornare indietro...), non è detto che vi si possa sbarcare. A causa delle precarie condizioni meteo-marine e all'assenza di un sicuro, protetto ancoraggio, che spesso sconsigliano l'ormeggio nella Village Bay [il villaggio evacuato dalla Marina britannica nel 1930], nell'isola di Hirta. Ove ciò sia   possibile, le non numerose imbarcazioni che riescono ad arrivare, si ancorano al largo. Facendo scendere i passeggeri su gommoni o dinghies, che raggiungeranno il piccolo molo senza ulteriori problemi.

La foto-simbolo dell’arcipelago di St Kilda: il “parlamento” fotografato da George Washington Wilson nel 1885.
Lungo la strada del villaggio nei pressi dell'ufficio postale ogni giorno, salvo la domenica,  si radunavano infatti tutti i maschi adulti del mòd di St Kilda. Come da tempo immemorabile usavano fare davanti ad una qualsiasi delle abitazioni, per decidere il da farsi; lavori collettivi nei campi (crofts); la loro rotazione secondo l'antico sistema del runrig; le spedizioni di caccia agli uccelli nei vicini isolotti e scogli...

   Eseguito il consiglio, la Eilean Na Hearadh, in gaelico Isola di Harris, sulla quale mi ero imbarcato nel porticciolo occidentale di Tarbert, nell'omonima isola appartenente all'arcipelago delle Ebridi Esterne, al largo della Scozia nord-occidentale, invertì la rotta. Dirigendosi verso un sicuro ancoraggio interno. Cioè verso Loch Resort, uno dei profondi fiordi che caratterizzano il lato occidentale e aperto verso l'Atlantico di queste stupende isole. Riuscendo in tal modo a mitigarne la terribile potenza.

   Verso sera, a distanza di diverse ore dal brusco, ma necessario, dietro front, lo skipper si spingeva nuovamente in pieno oceano, per coprire le cinquanta miglia nautiche che ci separavano da St Kilda. Se tutto fosse andato per il verso giusto si sarebbe dovuti arrivare intorno alle due e trenta di notte. Mi fu fatto altresì notare come intorno alla mezzanotte (cosa che puntualmente si verificò) la piccola e bassa imbarcazione, un vetusto motorsailer, avrebbe considerevolmente ballato per le forti ondate. In quell'ora ci saremmo trovati sul bordo della piattaforma continentale, laddove la profondità oceanica tende ad inabissarsi. Per poi risalire in prossimità del piccolo arcipelago.


   Numerosi erano quindi i motivi di interesse che mi spingevano fino a St Kilda. In teoria facendomi rischiare anche la vita. Ma ne valeva la pena. Perché, nonostante la durata della mia permanenza nell'isola di Hirta, la maggiore del gruppo, si sarebbe giocoforza contratta, le ore passate a terra: a curiosare, indagare, cercare, individuare, prendendo appunti e fotografie, rappresentarono un'eccezionale esperienza, anche per un giramondo. .

   (...) Ecco che, gradatamente, si sono venuti enucleando i punti di forza dell'isola atlantica: esistenza di una comunità marittima; isolamento plurisecolare della stessa dalla terraferma scozzese (e britannica) e, perciò, dal cosiddetto "mondo civile"; forzato e "archetipico" abbandono dell'isola in tempi recenti; trasformazione dell'uso del territorio (militare, ma soprattutto naturalistico).


  Una comunità marittima, quella di St Kilda, i cui membri preferivano però cacciare e catturare gli uccelli marini, che vi si trovavano in grandissima quantità. E catturarli non era impresa facile. Anzi difficilissima e rischiosissima, che ogni volta metteva in gioco la vita degli “uomini-uccello”. Sia quando scalavano le scogliere o i faraglioni, ma ancora prima. Quando dalla barca dovevano cercare di raggiungere le rocce, ad esempio degli Stacs.


p.s.

A proposito del suo toponimo, nonostante alcune importanti pagine Web (in italiano) si ostinino a riportare l'aggettivo Santa (Santa Kilda), non esiste una Santa di nome Kilda. Come oggi si evince dalla corretta scrittura del toponimo in inglese, privo di punto.

   L’errore è riportato cartograficamente in una carta di L. J. Waghenaer Thresoor der Zeevaert del 1592, che ricopia malamente una mappa di Nicolas de Nicolay del 1583 (Charte de la Navigation du Royaume d'Escosse). Dove appare Skildar, dall’islandese skildir, cioè “scudi”. Mentre sempre, nell’odierno vocabolario islandese [Ensk-Íslensk, a cura di Sævar Hilbertsson e Bjarni Gunnarsson, 1985], per Kilda leggo: "acquitrino-palude". 

DA: NELL'ARCIPELAGO DEGLI “UOMINI-UCCELLO” DI ST KILDA. VITA E MORTE DI UNA REMOTA COMUNITÀ' SCOZZESE 

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SOMMARIO

Premessa           

Introduzione     

CAPITOLO 1       

Il viaggio         

L'arcipelago di St Kilda   

La natura a St Kilda          

Una comunità' di “uomini-uccello”          

L'arrivo 

Nel villaggio: le “case bianche” e i ruderi di quelle “nere”              

L’incontro tra la Euphemia MacCrimmon e il grande folclorista scozzese Carmichael          

Le comunicazioni con il mondo esterno: John Sands e la St Kilda Mail      

Il “Parlamento” 

XVIII secolo: lo strano, tragico caso di Lady Grange, deportata nell’isola; si cerca Bonnie Prince Charles a St Kilda 

I soggiorni di John Sands a St Kilda: 1875 e 1876-77       

CAPITOLO 2       

Il turismo "ante litteram" verso l'esotico britannico          

CAPITOLO 3       

La fine del Paese di Utopia: problemi ambientali, sanitari, di sopravvivenza          

Le tre fasi finali del tramonto di una remota comunità isolana: “contatto”, “scontro”, “disgregazione” culturale    

Il giorno dell’evacuazione: 29 agosto 1930           

CAPITOLO 4       

Alla scoperta dell’arcipelago       

Stac Lee, Stac an Armin, Boreray               

John Sands si arrampica su Boreray: con gli “uomini-uccello” nel 1876, con le “donne-uccello” nel 1875 

La scalata dello Stac an Armin del 1994

Quando Marylin non è la Monroe. Ovvero gli incredibili Stacs, palestra privilegiata di un pugno di alpinisti britannici, nella loro doppia sfida ai flutti dell’oceano e alle rocciose piramidi, per conquistare i più ambiti “marilyn” del Regno Unito    

Visitando Hirta  

CAPITOLO 5       

I “Viaggiatori” (1202-1929): Vescovi, religiosi e fattori; pirati, naufraghi e deportati; naturalisti e ornitologi; geologi e folcloristi; medici e chimici; nobili, politici, filantropi e commissioni d’inchiesta; pittori, fotografi e cineasti; turisti e alpinisti; il leader di una missione di soccorso; perfino un’eccezionale emula della celebre aviatrice Amelia Earhart               

1930: Due non previsti testimoni dell’evacuazione di St Kilda       

BIBLIOGRAFIA