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sabato 29 giugno 2024

158. ADATTAMENTI CULTURALI (TECNOLOGICI, ECONOMICI, DEMOGRAFICI) E FISIOLOGICI ALL’ARTICO: UNA PREMESSA AI POPOLI CIRCUMPOLARI. Da: QUI BASE ARTICA DIRIGIBILE ITALIA, SVALBARD. DALLA TERRA DEGLI ORSI POLARI UNA RASSEGNA E UN INVENTARIO CULTURALE DEI POPOLI DEL GRANDE NORD

 

“Unangan [Aleuta] su un “quajaq”  [in realtà è una baidarka, simile ai kayak degli Inuit] al largo dell’Isola di Saint Paul”, Alaska (Louis Choris, artista ucraino, membro della nave russa, che nel 1815-18 effettuò un’esplorazione del Nord America)

I popoli che vivono nell'Artico, a parte le singole differenziazioni, i particolari ritmi di vita e gli "unici" percorsi esistenziali, presentano di sfondo una sorprendente omogeneità. In toto possiamo, quindi, parlare di un ben definito cluster culturale, quello dei popoli artici, appunto.

Il particolare ambiente, le sue specifiche caratteristiche di rigidità geo-climatica, fanno sì che essi abbiano adattato le proprie società e culture all'ambiente, trovando soluzioni tecnologiche, modi di sussistenza, economie, dimore e costumi tra loro paragonabili.

[La cultura circumpolare]

Tanto che il Sami [Lappone] Hætta parla di "cultura circumpolare". Sembra che questa appaia come una sorta di "determinismo ambientale", pressoché la sola a sfuggire ad un’antropogeografia fin de siècle e superata da fatti e verifiche sul campo.

La base di queste culture, ripeto, ha adottato, non solo sistemi ergologici e di sopravvivenza (basati su caccia, pesca, e in Eurasia, allevamento delle renne), ma anche meccanismi di controllo, che tendono a proteggere e a conservare l'unità e la coesione del gruppo, sia a livello famigliare, che collettivo.

Quindi coesione sociale e cooperazione economica, con distribuzione del cibo e del lavoro in misura egualitaria tra tutti.

[Controllo demografico]

E presenza coeva di tratti ed elementi culturali, che ad un osservatore esterno, quale può essere un occidentale, possono risultare particolari, "strani", o terribili, come tra gli Inuit (Eschimesi).

Quando, specialmente nel passato, ma ancora oggi, avveniva lo scambio o l'imprestito d'amicizia delle mogli (si è sempre teso a favorire la maggiore fertilità possibile, anche uscendo dal proprio modesto gruppo endogeno).

Gli eschimesi infatti accettavano che ogni uomo che viaggiasse solo venisse, non solo bene accolto nell'accampamento, ma che potesse avere relazioni sessuali con una donna del gruppo.

 Oppure l'infanticidio delle femmine, l'abbandono di vecchi e di malati, per non minare la sopravvivenza presente e futura dell'intera banda.

[Popoli paleo o neo siberiani]

 C'è ancora da aggiungere come, a parte i Sami, i Lapponi, ci troviamo di fronte, dall'Eurasia all'America, anche ad un'omogeneità razziale: popoli paleo o neo siberiani.

Ecco quindi che le famiglie linguistiche dei popoli boreali e circumartici, che abitano le immense distese a tundra o a taiga del Grande Nord, possono raggrupparsi in tre grandi entità: a) paleoasiatiche (Paleosiberiane: Ciukci, Coriachi, Iucaghiri); b) uralo-altaiche (Sami -Lapponi -, Samoiedi, Jacuti, Tungusi, e altri gruppi neo-siberiani); c) eschimesi (Inuit) e Aleute.

[I Vichinghi e il cambiamento climatico nell’Artico]

Le rigide condizioni climatiche dell'area circumpolare hanno inoltre impedito ai popoli bianchi e alla loro cultura massificante di penetrare a fondo nell'Artide. Ancora oggi! L'unico esempio storico che mi viene subito in mente è relativo ai due insediamenti Vichinghi nella Groenlandia meridionale, che non sarebbero sopravvissuti al brusco deteriorarsi del clima.

Anche perché si trovarono in improvvisa e violenta collisione con gli Inuit, che si erano portati giocoforza verso sud e, perciò, nello stesso territorio abitato dagli europei, con le drammatiche conseguenze che si possono immaginare!

[La Piccola Era Glaciale e l’Islanda]

Ricordo, ancora, come la popolazione della stessa Islanda durante la Piccola Era Glaciale (tra il 1400 e il 1850) si dimezzò.  

[Adattamenti fisiologici]

D'altra parte studi bio-antropologici ci rivelano che, come è avvenuto nel tempo per altri gruppi umani (per esempio tra alcuni popoli andini), si siano verificati adattamenti fisiologici dei popoli del ceppo mongoli alle condizioni artiche.

Accumulando depositi di grasso in quelle "parti del corpo che sono abitualmente esposte al freddo, come le guance, le palpebre, le mani e i piedi.

Tra i Lapponi, che sono di statura più bassa e più snelli, “le vene delle braccia e delle gambe scorrono vicinissime le une alle altre, in modo che il calore possa circolare rapidamente e facilmente dal sangue arterioso caldo al sangue venoso freddo".

[I Sami (Lapponi) e l’allevamento delle renne]

 Quest’ultimo popolo è quello che meglio ha resistito alla cultura occidentale. Unico, tra tutti i popoli artici, a modificare radicalmente, e da solo, nel XVI secolo, la base della propria cultura.

Passando da un'economia di caccia ad una incentrata sull'allevamento della renna.

 Lapponi (Sami), ca. 1900

Gli eschimesi [Inuit] costituiscono, invece, il popolo più conosciuto, anche dal grosso pubblico, mentre quelle meno studiate e note sono le etnie siberiane.

[L’aspetto demografico]

 Si impone a questo punto una breve panoramica etno-demografica dei popoli circumartici autoctoni.

Complessivamente la loro consistenza si aggira su oltre due milioni di individui.

Komi e Jacuti da soli assommano a oltre 1.000.000. Più piccoli sono gli altri popoli. Tutti insieme non arrivavano a toccare nel 1993 le 100.000 unità. Oggi sono invece circa 323.000. Ad essi vanno aggiunti 130.000 Inuit (Eschimesi) [Groenlandesi compresi], 87.000 Sami (Lapponi), 10-60.000 Kvens, 70.000 Careli.

 A queste cifre si dovrebbero ancora sommare anche quelle relative ai Popoli Indiani delle foreste settentrionali (ca. 390.000).

Se, infine, includiamo anche le popolazioni non autoctone, secondo l’AHDR (Arctic Human Development Report), la cifra per gli otto stati (Canada, Stati Uniti, Russia, Finlandia, Svezia, Norvegia, Islanda e Danimarca - Groenlandia) va raddoppiata, raggiungendo i 4.000.000 di individui.

[Il paragrafo 3.2 ("I popoli circumpolari") include 11 riferimenti bibliografici e 10 note]

Da: QUI BASE ARTICA DIRIGIBILE ITALIA, SVALBARD. DALLA TERRA DEGLI ORSI POLARI UNA RASSEGNA E UN INVENTARIO CULTURALE DEI POPOLI DEL GRANDE NORD

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venerdì 30 settembre 2022

66. LA “PORTA DELL’ARTICO”: TROMSØ, NORD NORGE

 

Foto panoramica di Tromsø e dell'isola di Tromsøya, scattata dalla collina di Storsteinen (420 m). Riconoscibile è l’ingresso del porto, a sinistra del ponte, che la collega alla terraferma. Sullo sfondo l’isola di Kvaloya.
Mentre il molo di sinistra è parzialmente fuori quadro, è riconoscibile quello di destra, il Nordjeteen. Sulla destra della foto, in basso, la stupenda Tromsdalen Kirke, la cosiddetta Ishavskatedralen, la "Cattedrale dell’Artico" 
(© Franco Pelliccioni)  

La città di Tromsø, considerata la “Porta dell’Artico”, venne fondata nel 1794, ben al di là del Circolo Polare Artico (350 km), nella regione del Troms, di cui diventerà il capoluogo.

L'ULTIMA TAPPA NORVEGESE, PRIMA DEL VOLO ALLE SVALBARD 

La città ha rappresentato per me una tappa intermedia nell'avvicinamento alla meta finale, le isole Svalbard, oltre le fredde e desolate acque del mare di Barents, a 1.300 km di distanza dal Polo. Dove nel 1994, anche in quelle terre "ai confini del mondo", ho portato avanti il discorso sull'etnicità e sull'integrazione panetnica che, primo tra i ricercatori italiani, avevo iniziato nell'ormai lontano 1976 (Isiolo, Kenya settentrionale). Tra l’altro la mia è stata anche la prima indagine socio-antropologica ad essere effettuata nell'arcipelago artico, e la prima svolta tra le comunità di minatori norvegesi e russi (ma anche ucraini... La mia competente interprete, l'ing. mineraria Helena Chuprina, messami gentilmente a disposizione dal Rappresentante in Norvegia della Compagnia Mineraria russa Trust Arktikugolera ucraina!) che, esempio unico al mondo, avevano coesistito pacificamente in quelle lande per decenni. Perciò anche durante la "guerra fredda"!

[Il "pezzo" è stato elaborato nel 2014. Quindi riferimenti e dati, salvo poche eccezioni, si riferiscono a quell’anno. Poiché non tengono conto dei successivi e gravi avvenimenti geopolitici: l’annessione della Crimea alla Russia, la guerra contro i secessionisti del Donbass, le sanzioni occidentali, l’invasione russa dell’Ucraina…]

LA CITTA', L'ISTITUTO POLARE NORVEGESE, L'UNIVERSITA', I MUSEI

La città di Tromsø, la maggiore di tutta la Norvegia settentrionale (77.000 abitanti nel 2019), è un piccolo gioiello dell’architettura nordica, con la sua passeggiata sulla via principale, la Storgata, il monumento ad Amundsen, i moli del trafficato porto, istituti superiori, musei d'arte, stazione meteorologica, stazione radio, l’Osservatorio delle Luci settentrionali, cioè le Aurore Boreali (dal 1927), varie industrie.

L'Aurora Boreale fotografata a Tromsø, 2011
(CC Some rights reserved, Frank Olsen)

Nel 1998 qui veniva trasferito da Oslo anche il celebre Istituto Polare Norvegese.

Nel Museo Polare (Polarmuseet i Tromsø), fondato nel 1976, incontrerò Torbjorn Trulssen, il Direttore (Museumsbestyrer). 

Situato in un magazzino del 1837, il Museo raccoglie i reperti delle decine e decine di spedizioni artiche, esplorative o per la caccia alle foche ed agli animali da pelliccia. Mentre nel Museo "all'aperto" della città, a Skansen, troviamo l'edificio più antico della città (del 1789). Perché qui sono stati ricostruiti numerosi edifici storici della città. 

Il Museo della città di Tromsø (del 1872), unitamente alla Biblioteca, rappresenta un Dipartimento decentrato dell'Università fondata nel 1972 che, fino all’inaugurazione dell’Università delle Svalbard, è stata la più settentrionale al mondo

[Dopo la fusione con diversi centri di istruzione superiore della Norvegia settentrionale, nel 2013 è diventata Università di Tromsø-Università Artica della Norvegia (Universitetet i Tromsø (UiT)-Norges arktiske universitet. Fusioni proseguite negli anni successivi, tanto che oggi l’Università dispone di ben sei campus].

Le splendide collezioni museali offrono un’ampia panoramica del folklore degli abitanti del Nord Norge. Autentico blend di popoli: lapponi (Sami), norvegesi meridionali (commercianti, coloni, pubblici ufficiali) e finlandesi (Kvens, che tra l’inizio del XVII secolo e il 1860 si stabilirono in queste regioni). 

Tre etnie che vanno ad incontrarsi proprio in quest’area, come giustamente rilevò il poeta e scrittore Carl Schøyen (1877-1951) nel libro del 1918: Tre stammers møte ("Incontro di tre popoli").

GLI ANTICHI RAPPORTI COMMERCIALI CON I RUSSI

Genti che, per di più, hanno commerciato per secoli (dal XIII secolo alla rivoluzione del 1917) con i mercanti Pomori, grandi navigatori provenienti dalla Russia settentrionale. Scambiando legno, farina, cordami con pesce, carne e pelli. Una presenza slava che, nel tempo, avrebbe innescato innumerevoli relazioni amicali tra i due popoli, ma anche influenzato i dettagli architettonici (guglie, torri) di numerose abitazioni.

Nella parte centrale del XX secolo la società norvegese Pomor Nordic Trade riallacciò i rapporti commerciali con i russi. 

Il ristorante Pomor nella Storgata 
(© Franco Pelliccioni)
 

Dagli anni ‘1990 la presenza slava si è intensificata in misura esponenziale: 489 navi nel 1997 (solo nella giornata del 3 marzo 2003 in porto c’erano ben 22 navi russe). Oggi [2014] i loro pescherecci scaricano il pesce, attendono per le “quote”, fanno rifornimento, riparano le imbarcazioni. È una presenza che non passa invero inosservata. Poiché annualmente sbarcano mediamente 15.000 marinai russi!

Nei pochi spazi giornalieri, che ero riuscito certosinamente a ritagliarmi, per dare un'occhiata in giro, visti i numerosi impegni già previsti da Roma, tra visite e incontri (Ingeborg Harsten, Chief Administrator Social Studies Institute, dell’Università di Tromsø; Reidar Bertelsen, Archeologo e Preside della Facoltà; Trond Thuen, Direttore dell’Institute of Social Science, Department of Social Anthropology and Sami Studies; l’archeologo Per Kirre Reymevt. Oltre che con Tor Sveum, direttore delle Pubbliche Relazioni), in una delle piazze principali della città avevo ammirato lo stupendo Duomo Luterano in legno del 1861- Tromssan Tuomiokirkko - e più tardi, dalle banchine del porto, sarei stato attratto dalla vista della Cattedrale Artica (la Tromsdalenin Kirkko, del 1965), che troneggia imponente dall'altra parte del ponte, che collega il continente all'omonima isola di Tromsø (Tromsøya), dove è sita la città.

La parte finale del ponte che collega l’isola di Tromsø alla terraferma e la “Cattedrale dell’Artico” 
(© Franco Pelliccioni)
  

La Cattedrale cattolica sede del vescovado, anch'esso ovviamente il più settentrionale del globo, si trova nei pressi del Centro Culturale e della Stortoget, la piazza centrale del mercato. 

Grazie all'ausilio di un'interprete, messami gentilmente a disposizione da Miss Hilde Johnsen, Produktsjef del Troms Arrangement, sulla sommità della collina di Storsteinen (raggiunta con la funivia), di fronte all'isola di Tromsøavrei intervistato Inga Sara Eira. Lappone (Sami) del Finnmark e commerciante in oggetti artigianali, oggi si direbbe “etnici”. Dopo aver accettato di prendere, assieme alla mia interprete, un caffè, che ci preparerà all'interno di una delle sue due tende (lavvu).  

L'interprete norvegese mi fotografa assieme ad Inga
(© Franco Pelliccioni)

Infatti la città è anche un centro privilegiato di questa etnia nordica. A partire dagli anni 1970. Quando cultura e lingua sono state rivitalizzate, tanto da essere insegnate in alcune scuole. Così che oggi il toponimo norvegese “Tromsø” viene ufficialmente accompagnato dal Sami “Romssa”!

Nel 1257 venne fondata la prima chiesa missionaria "tra norvegesi e Sami". Man mano attorno ad essa si raccolsero case di pescatori e botteghe. 

In una lettera papale del 1308 si parla della "Chiesa di Maria a Troms vicina ai pagani": Ecclesia Sanctae Mariae de Trums juxta paganos. Successivamente vennero edificate sette cappelle. Ricordo come Papa Clemente V (1264-1314)  concesse un'indulgenza - da 100 giorni ad un anno - a tutti coloro che avrebbero visitato la Chiesa di Maria, dal 1639 diventata sede parrocchiale. Fino ad allora la chiesa sarebbe dipesa dalla città meridionale di Bergen, successivamente da Trondheim.

ALLA FINE DEL XVIII SECOLO RICEVE LO STATUS DI CITTA'

Nel 1794 re Cristiano VII di Danimarca, alla quale apparteneva la Norvegia, concesse a Tromsø lo status di città-mercato, dopo l’abolizione del monopolio del commercio del merluzzo di Bergen. Allora contava solo un’ottantina di abitanti.

Nel 1805 un grossista originario di Copenaghen iniziava ad esportare pesce essiccato. Spedendo una prima partita in Italia, a Messina. 

Intorno al 1820 in un’area gigantesca, che andava dal Canada, alle Svalbard, alla Nuova Zemlja, ebbero inizio le spedizioni di caccia alle volpi, agli orsi polari, ai trichechi, alle foche. Trent’anni dopo (1850) il traffico del porto, che dal 1827 aveva una sua commissione ad hoc, superava per mole quello dell’importante centro settentrionale di Hammerfest. Un commercio importante, che avrebbe interessato la russa Arcangelo, come la francese Bordeaux… Al 1848 risale invece il primo cantiere navale. Così, per merito della pesca, la città dalla metà del sec. XIX conoscerà un fortissimo sviluppo. 

IL KNOW-HOW ARTICO

Alla fine del secolo XIX Tromsø non solo è il principale centro commerciale nordico, ma le conoscenze artiche, intimamente condivise da molti dei suoi abitanti, non potranno che attrarre numerosi esploratori, che qui recluteranno i loro equipaggi.

Tromsø con il Tromstind, al di là dello stretto, ca. 1900 (Library of Congress, USA)

Attualmente è uno dei maggiori porti della Norvegia e il maggiore hub infrastrutturale della regione denominata “Barents-Euro-Artica”. Un porto favorito dalla presenza della Corrente del Golfo che, nonostante la latitudine, lo rende tutto l’anno privo di ghiacci. Accoglie navi da crociera e flottiglie di pescherecci. 

LA PESCA

"Mucchi di merluzzo che vengono essiccati vicino a Tromso".1907, foto Jules Richard (University of Washington)

Infatti, dopo petrolio e gas, la pesca è la seconda fonte di esportazione del paese. Un'industria preziosa che, accanto alla pesca tradizionale, comprende acquacoltura ed inscatolamento. Il settore impiega oggi circa il 5% della forza lavoro della Norvegia settentrionale. Malgrado negli ultimi dieci anni si sia dimezzato il numero delle navi da pesca e negli ultimi venti il personale impiegato…

La Norvegia è anche il secondo esportatore di pesce al mondo. Soprattutto grazie alle attività portate avanti da Tromsø, nel 2009 sono state prese 2,5 milioni di tonnellate, pari a 11,1 miliardi di corone norvegesi (NOK), senza contare le 958.000 tonnellate provenienti da acquacoltura e dai crostacei. Va ancora aggiunto come tecnologie innovative si aggiungano sinergicamente al rispetto per l’ambiente marino e ad un’acquacoltura sostenibile. Nel contesto del progetto MAREANO, ad esempio, dal 2006 si stanno realizzando dettagliate mappe del Mar di Barents: batimetria, fondo marino, biodiversità, habitat, chimica ambientale ed inquinamento.

Non a caso la centralità della città nel settore ittico è ulteriormente confermata dalla presenza del Norges Råfisklag (Associazione di Vendita dei Pescatori Norvegesi), dal Norwegian Seafood Export Council, oltre che da un’importante Scuola Marittima (fondata nel 1864). Dove si addestrano gli studenti ai quali si insegna l’arte della marineria, navigazione, trasporto, logistica e sicurezza. Anche impiegando la nave scuola MS “Kongsnes” che, solcando le acque della costa del Nord Norge, offre ai pescatori norme ed addestramento sulla sicurezza.

Inoltre, proprio per “non farsi mancare nulla”, nell’Università di Tromsø è presente il Collegio Norvegese di Scienza della Pesca (Norges fiskerihøgskole, NFH), dotato di una grande nave rompighiaccio, la “Jan Mayen”, oltre che del più modesto “Johan Ruud”. 

LA PARIGI DEL NORD

Il centro di Tromsø in questa foto panoramica, ca. 1901-1910 (Nasjonalbiblioteket,  Mo i Rana)

Tromsø nel XIX secolo fu anche conosciuta come la "Parigi del Nord". Ai forestieri risultava infatti ben più “civilizzata” rispetto a quanto potevano attendersi da una comunità così isolata, a quella latitudine! D’altronde, all’epoca, il mondo intero riteneva la capitale francese l’ombelico del mondo, e qualsiasi comparazione non poteva che aver luogo con essa… Grazie ai notevoli guadagni provenienti da pesca e caccia agli animali da pelliccia, le signore erano così in grado di importare direttamente da Parigi abiti, accessori e quant’altro. Snobbando i più "vicini" negozi di Oslo. Non a caso ancora oggi i moli del porto si chiamano jetéen.

La visita del re di Norvegia a Tromsø nel 1907
 

UN'ESCURSIONE NEL TROMS

Tromsø è stato anche il punto di partenza per un giro di un'intera, intensa, giornata nello splendido Troms settentrionale. Utilizzando ferries, ponti e ben mimetizzate gallerie sottomarine. Lungo la frastagliatissima linea costiera numerosi sono i porti pescherecci, gli stretti, i fiordi.

Come quello di Lyngen, dove molti Lapponi (Sami) "costieri" sono di confessione Lestadiana. Setta puritana fondata nel 1844 dal prete luterano svedese Laestadius. Dove sotto il sole brillano i vasti ghiacciai alpini (la cima più alta delle Alpi di Lyngen è lo Jekkevare, con i suoi 1.833 m) e non è inusuale compiere inaspettati incontri "stradali" con renne selvatiche (sull'isola di Ringvassoy), mentre assai vicino è il confine con la Finlandia...

...

La città di Tromsø e i popoli della Fennoscandia (Norvegia Settentrionale: Sami - Lapponi -, Kvens e Careli finlandesi) figurano nel mio libro Amazon: 

Qui Base Artica Dirigibile Italia, Svalbard. Dalla Terra degli Orsi Polari una Rassegna e un Inventario Culturale dei Popoli del Grande Nord

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mercoledì 20 luglio 2022

50. SULLA COSTA DEL PACIFICO DELL’AMERICA DI NORD-OVEST

 

Idrovolante per trasporto passeggeri in decollo sulle acque di fronte alla cittadina di Ketchikan, Alaska sud-orientale (© Franco Pelliccioni)

   E' un viaggio nello spazio e un “doppio” viaggio a ritroso nel tempo.     

  Il primo ci conduce all’altro capo del mondo. In una terra difficilmente paragonabile con altre realtà geografiche. Fortemente connotata da alte montagne boscose e da una miriade di arcipelaghi e isole. Profondamente caratterizzata da un clima che molti potrebbero ritenere perfino impossibile: pioggia, vento, nebbia, freddo. Nonostante ci sia un detto locale che sostiene come, in realtà, piova solo due volte: da gennaio a giugno e da luglio a dicembre... Così la vegetazione è abbondante, straripante, invadente. Mimetizza cittadine e villaggi, quasi sempre raggiungibili solo via mare e con gli idrovolanti. Nelle cui acque non è raro imbattersi nelle spettacolari evoluzioni acrobatiche delle balene, ma anche nelle orche, che tanta importanza rivestono nella letteratura orale e nel patrimonio leggendario dei popoli, che occupano questa terra. Per non parlare dell’abbondante presenza dei salmoni, piatto base dell’alimentazione di nativi ed europei. Acque poste tra isole e terraferma montuosa, che formano lo storico Inside Passage, grazie al quale sono assicurati i collegamenti con gli insediamenti della Colombia Britannica e dell’Alaska.

   Per quanto riguarda il duplice itinerario nel passato, il più recente risale a ca. quaranta anni fa. Quando en route verso l’Artico canadese, dove avrei effettuato la mia ricerca tra gli Inuit, nei luoghi da me visitati ho potuto scoprire, osservare e ammirare una straordinaria polifonia di “cose notevoli”.

   C'è anche un ulteriore viaggio, che ci porta molto più indietro nel tempo. In un caso fino a migliaia di anni fa, anche se l’inizio del nostro excursus storico risale alla fine del XVIII secolo. Quando gli occidentali cominciarono a disvelare la singolarità della costa nord-americana del Pacifico settentrionale. Terra abitata da Indiani, la cui cultura (società, economia, religione, arte) risulta impregnata da caratteristiche strettamente collegate ad un ambiente insolito, per certi versi addirittura unico, che consente di vivere bene, grazie a ciò che la natura offre in abbondanza. Come i salmoni, che vengono pescati o catturati nei fiumi. Inoltre gli alti alberi di cedro forniscono il legname per costruire le case e realizzare straordinarie canoe, in grado di affrontare lunghe navigazioni oceaniche.

Il villaggio indiano Hàida di Skidegate, 1878. Queen Charlotte Islands (Hàida Gwaii), Colombia Britannica, Canada (Library and Archives Canada)

   Un posto a parte lo hanno decisamente i “pali”, compresi quelli interni di sostegno delle abitazioni. Gli alti tronchi hanno infatti ispirato gli “artisti del popolo”, presenti nelle diverse tribù indiane. Poiché con innegabile abilità artistica hanno scolpito e dipinto le loro superfici, creando vere e proprie opere d’arte. Non solo stupende esteticamente, perché sono in grado di raccontare mille storie. Infatti da tempo immemorabile i totem, con le loro variegate figure multicolorate (umane, di animali, mostri, divinità, eroi culturali), riportano miti e leggende, avvenimenti, imprese, fatti famigliari, clanici, tribali. Raccontano di grandi feste comunitarie ben riuscite, commemorano un defunto importante, mettono in ridicolo chi non rispetta i patti. Ricordano ed esaltano individui e gruppi. Insomma costituiscono anche i Gotha di società stratificate, un tempo composte da schiavi, comuni e nobili.

Koskimo Kwakiutl (Quatsino Sound, isola di Vancouver). Ornamento di una “grande casa”, che ostenta il potere e l’alto status del suo proprietario: figura di un antenato seduto su una piattaforma supportata da schiavi, con un’orca sul petto e rami in braccio. Scolpita da George Nelson, ca. 1906, nel 1956 è stata raccolta nel corso della spedizione dell’Università e del Museo Provinciale di Vancouver. UBC Museum of Anthropology, Vancouver, Colombia Britannica, Canada.
(© Franco Pelliccioni)

Cimitero della riserva indiana Kwakiutl, Alert Bay (Cormorant Island, Colombia Britannica, Canada). Totem funerario rappresentato da una figura umana con cappello. Fu scolpito per Kamdatsa (Mrs. Tom Patch) di Village Island, che visse fino ad oltre 100 anni. Donna di alto rango, commissionò questo palo prima della sua morte ma, insoddisfatta delle dimensioni del cappello, si rifiutò di pagare lo scultore. Così il totem rimase per anni sulla spiaggia, prima che fosse rimosso da alcuni indiani, che poi lo collocarono sulla sua tomba. In seguito Arthur Dick Sr. e Henry Speck hanno posto una gomma intorno al cappello intagliato, per aumentarne le dimensioni, come desiderava la donna (© Franco Pelliccioni)

   Grazie ad essi, etnologi e storici, come i medesimi membri della tribù, possono apprendere il loro passato, o rivitalizzarlo. Certo, la materia utilizzata, il legno, è facilmente deteriorabile, in qualsiasi clima. Figuriamoci qui… Così, dopo qualche decennio, artisti di un’altra generazione si mettono nuovamente all’opera, per non dover perdere la memoria storica del gruppo. Scolpendo un altro totem. Simile a quello che si sta degradando. E così, ancora dopo. Quando altri scultori dovranno nuovamente replicarlo. Cercando di preservare per la comunità e le future generazioni ciò che ci racconta, “leggendolo” dall’alto in basso.

   Se, poi, con la nostra virtuale “macchina del tempo” raggiungiamo la metà del XVIII secolo, assieme ai popoli indiani assisteremo all’arrivo, non dal Sud, ma dall’Asia, di altri uomini, a bordo delle loro navi. Giungono dalla Siberia, esattamente come diversi millenni prima avevano fatto i loro antenati. Del resto sono trascorsi già migliaia di anni anche dalla migrazione, che portò in America, dopo aver attraversato lo Stretto di Bering, gli ultimi migranti, i progenitori degli odierni Inuit: i Denbigh, i Dorset, i Thule. Quasi subito gli indiani, che li avevano preceduti, li bloccheranno ai margini delle foreste, costringendoli a nomadizzare nella desertica tundra gelata dell’Artico. Mentre i russi, i nuovi venuti del 1741, almeno inizialmente non cercarono terre da colonizzare. Volevano solo sfruttare ciò che abbondantemente offriva il paese: gli animali da pelliccia. Più tardi si daranno da fare per creare una vera e propria colonia, con capitale e fortificazioni sparse nell’immenso territorio dell’America Russa, l’attuale Alaska.

   Ecco infine i “numeri” che, più di tante parole, offrono una sintesi del libro: 2 regioni (Colombia Britannica e Alaska); 8 città (Vancouver, Campbell River, Port McNeill, Prince Rupert, Ketchikan, Wrangell, Sitka, Skagway); 6 isole (Vancouver, Quadra, Revillagigedo, Cormorant, Wrangell, Baranov); 4 tribù (Kwakiutl - oggi Kwakwaka’wakw -, Tsimshian, Hàida, Tlingit, con alcune delle loro bande, o First Nations, come le nordiche Chilkat e Chilkoot); 6 comunità indiane (Cape Mudge, Alert Bay, Fort Rupert, Saxman, Wrangell, Sitka); 3 “Case” (la “grande” dei Kwakiutl ad Alert Bay, le “lunghe” di Chief Shakes Island, a Wrangell e di Totem Bight Park, a Ketchikan); 2 “Società Segrete” Kwakiutl (dei Cannibali e del Lupo); 3 Musei (Antropologia dell’Università di Vancouver, Prince Rupert, Sitka); 5 cimiteri (3 indiani: Cape Mudge, Alert Bay, Wrangell; 2 europei: russo, a Sitka; dei cercatori d’oro, a Skagway); 2 vecchi quartieri a luci rosse (Ketchikan, Skagway); perfino 1 duello mortale, stile “Mezzogiorno di fuoco” (Skagway)

  E per quanto riguarda i Totem? Impossibile “numerarli”. Li troviamo dappertutto, specialmente nei cimiteri indiani. Salvo che a Skagway, qui sostituiti dall’avventurosa epopea degli stampeders, i cercatori d’oro, che alla fine del XIX secolo dovranno cercare di superare i vicini e innevati Passi montani, per arrivare nel Klondike, dopo un lungo ed estenuante viaggio.

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   "Finalmente sono a Skagway, cittadina alaskana che costituisce la prima importante tappa del lungo e complesso itinerario, che mi porterà verso lo Yukon e oltre. Fino alle lontanissime sponde dell'Oceano Glaciale Artico (Mare di Beaufort), per dare inizio alla mia ricerca in un campione di comunità eschimesi (Inuit) canadesi. A non molta distanza dal Polo Magnetico e da alcuni tratti del mitico Passaggio a Nord-Ovest

   A Roma avevo deciso che da Vancouver, dove mi sarei trovato per un Convegno Internazionale, invece di arrivare in aereo direttamente ad Inuvik (il mio primo insediamento Inuit), sarebbe stato preferibile attraversare gli arcipelaghi della Colombia Britannica canadese prima, quelli dell'Alaska sud-orientale, poi. Navigando nell’Inside Passage, il "Passaggio Interno” prospiciente la stretta fascia costiera tra Canada e Oceano Pacifico, costellato da una miriade di isole ed arcipelaghi, dove si trova anche Juneau, la capitale del 49° Stato USA. Una storica via d'acqua certamente più agevole, rispetto all'Oceano aperto, che "pacifico" non è mai stato…

   L’Inside Passage inizia a Seattle, nello Stato americano di Washington. Da lì si inoltra nella Colombia Britannica canadese, per poi proseguire nel cosiddetto Panhandle americano. Raggiungendo Skagway, dopo 1.838 Km di canali e stretti, posti tra continente e mondo insulare.

    Quella che andrà a costituire la “terza gamba” del mio itinerario marittimo, fino all'arrivo degli americani nel 1867 era l'America russa. Verrà poi chiamata Alaska (alakshak), in Aleuto "la grande terra". La regione ad est delle isole Aleutine, dove vivono questi cacciatori artici, che si differenziano culturalmente dagli Inuit. Ma l’Alaska che a me interessava non era quella "continentale", dove si trovano le grandi città "bianche” di Anchorage o Fairbanks, o le comunità eschimesi costiere, fortemente americanizzate, di Prudhoe Bay, Point Barrow, Nome, Kotzebue, bensì quella sud-orientale. Così avevo selezionato alcune località, che ritenevo più interessanti, dal punto di vista paesaggistico-naturalistico-storico ed etno-antropologico. 

Mappa dell’Inside Passage (CC Some rights reserved, Mario 1952)
L’itinerario dell’A. CANADA: in aereo Vancouver-Campbell River, a metà dell’isola di Vancouver; traghetti per Cape Mudge (isola Quadra) e Alert Bay (Cormorant Island), indiani KWAKIUTL (oggi Kwakwaka’wakw); in aereo Port Hardy-Vancouver; aereo Vancouver-Prince Rupert (Colombia Britannica settentrionale) indiani TSMISHIAN e HÀIDA. ALASKA: traghetto Prince Rupert-Wrangell, via Ketchikan; traghetto per tornare a Ketchikan; in aereo Ketchikan-Sitka; traghetto Sitka-Skagway (Lynn Canal), indiani TLINGIT

   Luoghi che, tranne in un caso, raggiungerò a bordo dei grandi traghetti statunitensi dell’Alaska Marine Highway System, che collegano Seattle a Skagway. Da qui avrei potuto ripercorrere una delle principali vie utilizzate dai cercatori nella grandiosa corsa all'oro del Klondike del 1897-99. Salendo a bordo della storica ferrovia del White Pass and Yukon Route, con la quale avrei raggiunto Whitehorse, capoluogo dello Yukon. Ripetendo quasi per intero un itinerario che, alla fine del XIX secolo, prima ancora della sua costruzione, migliaia di uomini avevano faticosamente percorso in direzione delle zone aurifere.

   Purtroppo, solo poco prima della mia partenza dall’Italia, avrei saputo dalla Laurie Sica, dello Skagway Convention and Visitors Bureau, che la ferrovia era ferma. Dall’anno prima…"

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Dal diario di viaggio: Wrangell (Alaska)

   “Alle 23 la nave attracca nel porto di Wrangell, sull’isola omonima, dopo aver percorso altre 188 km. Questa volta sbarco per rimanere. Nella buia nottata vedo un gruppo di passeggeri seguire speditamente una guida munita di torcia elettrica, diretta prima verso un museo non troppo lontano, poi verso i totem della cittadina, sfruttando l’ora di sosta della nave. Per un po’ mi accodo al gruppo, poi li lascio, per dirigermi verso il mio albergo. Le vie sono deserte e poco illuminate. Sbaglio strada. Alcuni cani abbaiano. C’è un gran chiasso, dopo che entro allo Stikine Inn, tanto che non riesco a sentire la donna dietro il desk (di mezza età, con un naso aquilino, magra e brutta, a prima vista molto antipatica). Non trova il mio nome e, dopo aver cercato sulla scheda, prende un blocco notes, dove c’è una riga che mi riguarda. È venerdì sera e a quanto pare, subito dopo, sulla destra, c’è l’ingresso aperto di una discoteca. Il rumore è veramente assordante. Non la capisco. Mi fa ripetere le frasi. Vuole 55 dollari. È un’enormità. Chiedo uno sconto. Niente da fare, non c’è scritto. Mostro le mie due lettere ufficiali della Canadian Pacific e dell’Ambasciata degli Stati Uniti, a Roma. Niente da fare. D’altronde sono sempre un cheechako, come da queste parti chiamano i nuovi arrivati in Alaska!

   L’itinerario per arrivare alla camera è un rompicapo (…) Il giorno dopo scopro che l’acqua nel bagno e nella vasca è marrone. Sembra di stare ad Isiolo (Kenya settentrionale) o a Malakal (Sud Sudan). Apro la doppia finestra, che mi ha un po’ salvato dai rumori e dal chiasso della notte. Gli unici suoni che sento adesso sono quelli degli idrovolanti e dei corvi. Fuori dell’albergo, nella strada fangosa, ce ne sono molti. Osservo che l’hotel è una sorta di gigantesco chalet alpino. Faccio colazione in un dining proprio attaccato al molo. Su una parete è ben visibile su un foglio la scritta a pennarello: “We reserve the Right to Refuse Service to Anyone”. Capperi! Torno in albergo e vado a lamentarmi per la notte. La tizia telefona alla radio (ha saputo dell’intervista). Vado al Chamber Information Centre, sotto la pioggia appena iniziata. Non c’è nessuno… Fa freddo. Tutto sembra desolante. Alcuni gabbiani in volo. Il cielo mi ricorda le Shetland. Vado al museo. E’ stato allestito nella prima moderna scuola della cittadina (1906). È chiuso. Aprirà alle 13. Per vedere la casa di Chief Shakes devo essere autorizzato. Nella vicina biblioteca faccio vedere le carte ad una volenterosa bibliotecaria, che inizia a fare tutta una serie di rapide telefonate. La direttrice del museo dovrebbe essere fuori casa, mentre la Emily Jennings è fuori Wrangell. Il Presidente non c’è. Telefona alla radio. Chiama altrove. Esco sotto la pioggia. Fotografo sia la chiesa presbiteriana, che la cattolica di St. Rose of Lima, la più vecchia dell’Alaska (1879). Ha una croce rossa al neon, che serve come aiuto alla navigazione.

   In giro non c’è nessuno. Alcuni indiani sfrecciano con le macchine. Un camioncino si avvicina. Sarò accompagnato da una persona che, scoprirò dopo, è un gioielliere che appartiene alla Camera di Commercio. Ha sposato una italo-americana e viene dall’Idaho. Da 8 anni vive a Wrangell. Mi porta sulla punta nordoccidentale dell’isola a vedere i petroglifi su una spiaggia, grazie alla bassa marea. Sulla destra c’è la foce dello Stikine River. Qui una volta c’era una fabbrica conserviera di pesce dei cinesi. A sinistra mi mostra l’isola dell’elefante (e il suo nose), sulla destra ecco un’altra Deadman's Island, dove una volta seppellivano gli asiatici. Poi li hanno portati altrove. Mi parla dell’importanza degli alberi, per la carta e il legname. “Un tronco abbandonato ha un marchio come i cavalli, è quello del proprietario, sarebbe impossibile andare a venderlo”. Mi mostra anche il muskog, che domina nelle isole. E’ estremamente impermeabile e rende acquitrinose grandi sezioni del territorio. Costringendo ad edificare le case su profonde palafitte. La ricchezza qua è composta da pesce e legname. Gli alberi si tagliano a sezioni dall’alto, con delle corde d’acciaio che, pezzo dopo pezzo, trascinano tutto a valle. E’ l’harvesting, la raccolta”. Termine decisamente interessante per indicare gli alberi “maturi”. Il taglio potrebbe essere fatto anche con un elicottero, ma costerebbe molto.

   Le strade sono delle autentiche piste.

La casa di Chief Shakes VI, ca. 1900, Wrangell, Alaska. Lastra a secco di gelatina per lanterna (McCord Museum, Montreal)

   Poi mi accompagna all‘isola, subito a sud della segheria, dove si trova la casa del Chief Shakes, che raggiungo grazie ad un ponticello. C’è ancora la bassa marea. Scopro che si trova all’interno di una piccola baia, dove sono ormeggiate le imbarcazioni. 

La salma di Shakes V esposta prima della cremazione, 1878.
 Wrangell, Alaska (da C.E.S. Wood, “Among the thlinkits in Alaska”, The Century Magazine, luglio 1882, n.3, in Oppel,115-131)

   Siamo raggiunti da Pat Greene. E’ la direttrice del museo. E’ lei che apre la casa, normalmente chiusa. Viene da uno dei Lower 48 States. Dall’Oregon. Il marito lavora nella segheria. Sta qui da quattro anni. Hanno deciso di trasferirsi, perché l’Alaska è ancora più incontaminata, selvaggia e avventurosa del suo Oregon. Sta scrivendo un libro sulla storia di Wrangell. Dopo la visita ed aver osservato i bei totem dell’isola, si va al museo. Telefona alla radio, che mi doveva intervistare, ma il Direttore delle News è ad Anchorage. Dopo il pranzo sono da lei alle 16. Dopo una rapida visita al Museo, con il marito e una deliziosa coppia di gemelline sui dieci anni andiamo in giro. Fotografo la tomba di Chief Shakes V che, con la staccionata e le sue due Killer Whales, è un perfetto blend funerario Tlingit-Russo. Andiamo al vecchio cimitero indiano. Mi sembra di entrare in una giungla. Cerca una tomba con una rana. Fotografo un tronco d’albero: una volta era un totem. La parte superiore sta al museo. Un altro è stato completamente asportato. C’è la tomba di un uomo nato a New York. Pat ritiene che forse aveva sposato un’indiana e per questo era stato sepolto là. Il cimitero europeo (quello vecchio) è dietro la massa della foresta, tutto ben pulito e ordinato" (...)

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CAP. 10 INTERLUDIO

   "Passeggio per Broadway. La strada è larga, ma quanto mi sembra diversa rispetto a come la ricordavo quando, bighellonando tra l'ingresso di un celebre teatro e l'altro, anni fa visitai per la prima volta la Grande Mela! Non ci sono grattacieli e la strada non è neanche asfaltata. Le persone non si accalcano sui marciapiedi e non ci sono macchine in transito. La vita sembra scorrervi del tutto tranquilla. Eppure sono sempre in Nord America… Ma, certo, quella deve essere un'altra Broadway! Infatti le abitazioni sono basse, ad un piano, al massimo due. Tutte rigorosamente in legno e dipinte con i colori più vivaci. Hanno antiche insegne e i marciapiedi sono anch’essi in legno. Intorno a me vedo alte montagne boscose.

   Mi trovo in una stretta valle prospiciente le acque di un lungo fiordo aggettante nel Pacifico. Anche non volendo tener conto della stretta prossimità con le acque oceaniche, non posso assolutamente dimenticarmelo. Poiché, proprio in fondo alla strada, ecco apparire imponente l'immensa prua di una nave da crociera, che sembra là parcheggiata quasi per scherzo. Quando invece si tratta solo di un errore prospettico. Questa "diversa" Broadway però condivide con la celebre strada di New York alcune caratteristiche: è attraversata da Streets e si dispone parallelamente rispetto alle Avenues verticali. Poche, per la verità, le une e le altre. Sembra che la città sia stata pianificata utilizzando semplicemente riga e squadra. La realtà, scoprirò poi, è esattamente questa!

   Proseguendo il cammino, ad un certo punto il quasi-silenzio e la calma, che fino ad allora hanno regnato incontrastati, lasciano il posto ad un qualcosa di diametralmente opposto, inaspettato. Inizio ad avvertire un fragore costante, mentre improvvisamente la strada comincia ad animarsi. Chiasso e grida concitate vengono espresse nelle più diverse lingue del globo. Un nugolo di uomini si muove velocemente, febbrilmente, in ogni direzione. Sono gli stampeders. I più, infagottati e curvi sotto il peso di enormi carichi, zaini e pacchi. Soli, o assieme ai loro portatori indiani Tlingit (Chilkoot e Chilkat), iniziano la loro marcia verso i sentieri Chilkoot o White, che conducono al di là delle montagne. Ecco arrivare vocianti e pieni di entusiasmo i rumorosi cercatori neofiti. Scendono allegramente dalla nave ormeggiata nel porto. Ecco altra gente, assieme ai loro ingombranti equipaggiamenti, correre vicino a me, a bordo di carri, che fendono la folla. Aprendo profondi solchi nella strada, improvvisamente fattasi fangosa. 

Slitta e cani davanti allo studio fotografico di Hegg (Skagway, Alaska), in partenza per Dawson, Yukon, ca. 1898 (foto Hegg, University of Washington)

   Dalle vicine case odo i confusi richiami di imbonitori di ogni risma, il richiamo di donnine, la musica assordante dei saloon: l'universo che mi circonda dimostra di avere una fretta indiavolata. Tutti in cuor loro aspirano a giungere al più presto fino alla lontanissima meta. Intorno a me si vedono cataste di oggetti, casse, carichi, mercanzie, materiale il più diverso: dalle racchette da neve, al pentolame, dagli sci alle tende, agli attrezzi da campo, agli indispensabili picconi, pale e setacci. Numerosi cani, accanto alle loro slitte, abbaiano ed ululano di quando in quando. Poi, tutto ciò si dissolve in un attimo… A quel che pare l'immaginazione mi ha fatto sognare ad occhi totalmente aperti!"(...)

Da: VIAGGIO ATTRAVERSO L'INSIDE PASSAGE, NELLA TERRA DEGLI INDIANI DEI TOTEM E DELL’EX AMERICA RUSSA. SULLA COSTA DEL PACIFICO DELL’AMERICA DI NORD-OVEST, TRA COLOMBIA BRITANNICA E ALASKA

E-Book e versione cartacea a colori e in bianco e nero (16.99 cm x 1.17 x 24.41), 192 pp., 287 note, 191 immagini (118 sono mie) 






SOMMARIO

PRESENTAZIONE: IL LIBRO 

PREMESSA: IL VIAGGIO 

CAP. 1 INTRODUZIONE GEOGRAFICA

CAP. 2 INTRODUZIONE ETNO-ANTROPOLOGICA: GLI INDIANI DEL NORD-OVEST 

I Potlatch 

I Totem 

Le abitazioni: la “grande casa” dei Kwakiutl, la “lunga casa” delle altre tribù

Kwakiutl (oggi Kwakwaka’wakw) 

La “Società dei Cannibali”: gli Hāma'tsa 

Tsimshian 

Hàida 

Tlingit.

PARTE I: CANADA 

CAP. 3 NELLA BRITISH COLUMBIA, AL LARGO DELL’ISOLA DI VANCOUVER, UN’IMMEDIATA E STRAORDINARIA FULL IMMERSION NELLA TERRA DEI KWAKIUTL, TRA LE ISOLE QUADRA (CAPE MUDGE) E CORMORANO (ALERT BAY) 

Dal diario di viaggio 

Alert Bay .

Gilbert Popovich, sindaco italiano di Alert Bay 

CAP. 4 RITORNO A VANCOUVER. VISITA AI TOTEM DELLO STANLEY PARK E DEL MUSEO DI ANTROPOLOGIA 

CAP. 5 PRINCE RUPERT, COLOMBIA BRITANNICA SETTENTRIONALE, TERRA TSIMSHIAN 

Dal diario di viaggio 

Prince Rupert

PARTE II: ALASKA, L’EX AMERICA RUSSA 

CAP. 6 I PROMSYSHLENNIKI, CACCIATORI RUSSI DI PELLICCE, FONDANO L'AMERICA RUSSA (1741-1798) 

La Compagnia privata Golikov-Shelikhov (1783-1799), la Rossiyskaya-Amerikanskaya Kompaniya, la Compagnia Americana Russa (1799-1867) 

Nascita ed evoluzione di una capitale coloniale: S. Michele-Novo Arkangelsk (futura Sitka), 1799-1808 

La “San Pietroburgo del Pacifico”, 1841-1867

1867: fine di un lungo sogno. Sitka prende il posto di Novo Arkangelsk, gli statunitensi dei siberiani 

CAP. 7 IL VIAGGIO NELL’INSIDE PASSAGE, ALASKA: KETCHIKAN, WRANGELL

Dal diario di viaggio: sosta preliminare a Ketchikan

Dal diario di viaggio: Wrangell 

Wrangell, cittadina sotto tre bandiere: russa (1833-1840), britannica (1840-1867), statunitense (dal 1867) 

CAP. 8 RITORNO A KETCHIKAN 

Dal diario di viaggio 

Cap. 9 SITKA

Dal diario di viaggio 

Sitka

CAP. 10 INTERLUDIO 

CAP. 11 SKAGWAY 

Skagway, base di partenza per la grande corsa all’oro del Klondike 

Il visionario 

L’eroe 

Il bandito

Il duello 

Dopo la scoperta dell’oro a Nome, nell’Alaska continentale, e la costruzione della ferrovia, Skagway perde tutto il suo appeal 

Dal diario di viaggio

Skagway 

APPENDICE 

Nell’Inside Passage, al tempo della spedizione del Duca degli Abruzzi al monte Sant’Elia del 1897, trentesimo anniversario dell’acquisto dell’America Russa

Balenieri, emigranti europei, Indiani del Nord-Ovest

Alla ricerca dell’oro 

Il racconto della spedizione: 

I Tlingit 

Wrangell 

Sitka 

BIBLIOGRAFIA

CARTE 

Alaska 

Canada