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giovedì 22 giugno 2023

99. LE LUCI AMICHE DI TERRANOVA. DA SECOLI I FARI DELL'IMMENSA ISOLA CANADESE RIVESTONO UN RUOLO FONDAMENTALE IN UNA COSTA A FORTE RISCHIO DI NAUFRAGIO

 Lo slanciato faro di Point Riche. Stretto di Belle Isle, di fronte al Labrador, Grande Penisola Settentrionale, Terranova, Canada
(© Franco Pelliccioni)
                                                                                                                                                   
Tra le numerose particolarità, che caratterizzano l'immensa isola canadese di Terranova, avamposto verso est del continente americano, una è abbastanza singolare, almeno agli occhi di un europeo: i fari.

La loro importanza è così rilevante che ben due di loro sono inclusi tra i non numerosi parchi storici, nazionali e provinciali, esistenti in questa provincia atlantica: Cape Spear (nei pressi di St. John's, penisola di Avalon) e Cape Bonavista.

Un tempo di stretta competenza della Guardia Costiera Canadese, il loro restauro e la manutenzione sono oggi affidati sia ai Parks Canada, che alla Lighthouse Society of Newfoundland and Labrador.

Nei secoli passati, ma ancora oggi, la loro presenza si è dimostrata preziosissima per la vita stessa dei naviganti, in acque e terre connotate da un'imprevedibilità climatica di tutto rispetto, oltre che dall'incredibile e ricca frastagliatura della sua lunghissima linea costiera. 

Resa ancora più marcata da una straripante presenza di isole e scogli (come i subdoli sunkers, cioè “affondatori”…) di ogni forma e dimensione.

In effetti l'Andrieux, uno studioso che ha dedicato la sua vita alla problematica dei naufragi, da me incontrato e lungamente intervistato nella vicina isola francese di Saint-Pierre, sostiene come per il numero di naufragi Terranova superi di gran lunga persino la famigerata Isola della Sabbia (Sable Island), poiché sono oltre 10.000!

Numero straordinariamente alto, anche tenendo conto che include i naufragi avvenuti al largo del Labrador che, con Terranova, forma un’unica Provincia canadese.

D’altronde secondo lo storico Keith Matthews e il capitano Joe Prim il loro numero si potrebbe addirittura aggirare tra i 10 e i 15.000.

Molti dei naufragi terranoviani sono debitamente registrati e ricordati in canzoni, storie, recitazioni, versi poetici, libri di ricordi, diari, giornali di bordo, rapporti ufficiali, relazioni delle assicurazioni, giornali, articoli di riviste, libri popolari…

Del resto la presenza dei più o meno vistosi relitti delle navi, naufragate lungo le coste di Terranova, non sfugge certamente neanche al meno attento dei visitatori

La presenza dei fari ha, quindi, sempre rivestito un'importanza non secondaria per una sicura navigazione nelle acque dell’isola. 

Anche perché ci troviamo in un settore atlantico dove tutte, o quasi, le comunità esistenti sono da sempre vere e proprie comunità marittime, ben tipizzate nell'archetipico outport.

Inoltre è abbastanza noto come fin dai tempi della sua scoperta, le sue acque abbiano attratto flotte pescherecce provenienti da ogni parte del mondo.

Qui, sembrerebbe superfluo ricordarlo, si trovano i famosi banchi, primo fra tutti quello di Terranova. 

Perché l'incontro tra la corrente calda del Golfo e quella fredda del Labrador dà luogo ad un privilegiato habitat per la vita marina.

Ma anche alla frequente, spesso contemporanea, presenza di densi banchi di nebbia, sovente improvvisi e imprevedibili, nonché al transito, casuale ed errabondo, un tempo perfino mortale (il Titanic insegna!) di icebergs groenlandesi diretti verso il loro finale dissolvimento.

L'importanza dei fari, unitamente agli avvisi acustici per la nebbia, naturalmente era maggiore prima dell'avvento dei moderni mezzi di esplorazione ambientale (radar, GPS, ecc.), che comunque non riescono ad eliminare completamente la possibilità di un loro tragico ripetersi. 

A causa della sinergica azione di condizioni meteo-marine pessime, errori umani, inadeguatezza e disfunzione della strumentazione di bordo, impiego di natanti inadatti alla navigazione.

Nel tempo i "guardiani" di Terranova, sempre egregiamente coadiuvati dalle loro famiglie, hanno contribuito a salvare la vita di migliaia di naufraghi.

Nel 1888 i fari ed altri segnali luminosi localizzati lungo la fascia costiera di Terranova erano 44.

Poco più di un secolo dopo (1990) il loro numero era arrivato a 433. 

Il mio excursus si limiterà in questo post ai fari prima menzionati.

Ambedue particolarmente tutelati dalle autorità canadesi. Anche perché sono stati i primi ad essere stati installati, allorché il governo di questa colonia inglese si convinse, intorno al 1810, della loro necessità.

Lo storico faro di Cape Spear, con la nebbia che avanza improvvisa dall'oceano, Penisola di Avalon (© Franco Pelliccioni) 

La nostra visita inizia così dal faro di Cape Spear, poiché estremamente vicino alla capitale provinciale (appena sei chilometri di distanza), nella penisola di Avalon. 

Costruito su un promontorio roccioso, ad un'altezza di 75 metri, il faro fu ultimato nel 1836 e rappresentò un inestimabile aiuto ai naviganti in avvicinamento al porto di St. John's.

La sua "luce" sporge dal centro del tetto della costruzione a due piani, che originariamente faceva parte del faro scozzese dello storico isolotto di Inchkeith (a nord di Edimburgo, nel Firth of Forth, ora importante riserva ornitologica), in funzione dal 1804.

Nel 1921, dopo quasi un secolo, gli specchi e i sette bruciatori ad olio furono sostituiti da un apparato più moderno.

Nel 1929 fu infine elettrificato.

Nella seconda guerra mondiale, a causa dell'incessante attività dei sommergibili tedeschi, Capo e faro assunsero un'importanza strategica.

La zona venne fortificata e difesa da due cannoni (1940), mentre una serie di gallerie unì le postazioni di artiglieria agli alloggiamenti e ai magazzini.

Queste installazioni rimasero operanti dall'estate del 1941 al giugno 1945.

Nel 1955 nei suoi pressi fu costruito un faro moderno, a guardia del quale fino al 1997 c'era un discendente della famiglia di James Cantwell.

Un pilota del porto di St. John's, che era stato il secondo guardiano di Cape Spear fin dal lontano 1845 (il primo fu un certo Emmanuel Warre).

Infine l'antico faro è stato completamente restaurato e riportato alle medesime condizioni in cui si trovava nel 1840: spartane camere da letto, tea room, cucina, oltre ad oggetti ed arredi d’epoca.

Nel 1983 venne ufficialmente inaugurato come Parco Nazionale dai Principi Carlo e Diana d’Inghilterra.

Il faro di Cape Bonavista, che risale al 1843, nella scaletta terranoviana è forse meno importante, essendo "solo" un parco provinciale.

Eppure si trova in una zona storicamente ben più famosa di quella di Cape Spear. 

Panoramica sul Capo Bonavista e il suo antico faro. Qui sbarcò nel 1497 Giovanni Caboto, scoprendo così il "Canada” 
(© Franco Pelliccioni) 

Qui, nel 1497, sbarcava Giovanni Caboto (il toponimo "Bona Vista" è suo), alla ricerca del mitico Passaggio a Nord Ovest. Anche se il navigatore già aveva scoperto il "Canada"!

Il faro è abbastanza simile a quello di Cape Spear, appartenendo entrambi al medesimo periodo.

Venne installato in un luogo altamente strategico, nel nord-est di Terranova, sovente impietosamente battuto dai marosi atlantici, per essere di prezioso ausilio ai pescatori e ai cacciatori di foche, diretti anche verso il non lontano Labrador.

La sua luce ha anch'essa origine in Scozia (Inchcape Rock), dove era in funzione fin dal 1811, e rimase attiva fino al 1895.

Quando fu sostituita da un apparato proveniente dal faro dell’isola terranoviana di Harbour Grace, a sua volta sempre originante dalla scozzese Isle of May (1816). 

Nel 1962 fu elettrificato e nel 1966 si costruì il faro ora attivo nelle sue immediate adiacenze.

Il suo primo guardiano fu nel 1842 l'irlandese Jeremiah White che, come molti altri connazionali, arrivò a Terranova negli anni ’20 del XIX secolo, per sfuggire la povertà e la fame della sua terra.

Dopo un breve periodo di apprendistato sotto la direzione del guardiano di Cape Spear, lavorò a Bonavista fino alla sua morte (1876).

I suoi figli portarono avanti l'attività paterna fino al 1895.

Oggi, dopo un accurato restauro, lo possiamo ammirare e visitare così come era nel 1870.

Nonostante i lavori siano stati pesantemente ritardati da un incendio scoppiato dopo che l’edificio fu colpito nel 2001 da un fulmine.

Nel corso del viaggio di ricerca a Terranova ho comunque avuto modo di visitare altri fari, non meno interessanti e non meno affascinanti. 

Come quello in stretta prossimità dell’interessante sito storico nazionale di Port aux Choix (sepolture di appartenenti a quattro culture: indiani marittimi arcaici, pre-eschimesi Dorset e Groswater, indiani storici), nella Grande Penisola Settentrionale: lo slanciato faro di Point Riche del 1892.

Costruzione originariamente risalente al 1871.

L’annessa abitazione del guardiano fu invece distrutta da un incendio negli anni ‘1970.

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Terranova figura nel cap. 8 del mio GIRO DEL MONDO… IN 15 TRENI (TRANSCONTINENTALI E DI LUSSO, DI PENETRAZIONE COLONIALE E MILITARE, DEI CERCATORI D’ORO, DEGLI HAJJI, “ALPINISTICI”)“C'era una volta il treno”... Storia della "Strada della Gente", la ferrovia dell’isola di Terranova, Canada (1881-1988)

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sabato 13 agosto 2022

55. I PINGUINI DELL'EMISFERO SETTENTRIONALE

 

La Grande Alca. Incisione di Thomas Bewick, in: A History of British Birds, Volume 2, 1804

Fin dalla mia lontana indagine nelle isole scozzesi delle Orcadi, un pensiero mi ha costantemente accompagnato, a mo' di "tormentone", in tutti questi anni. Portandomi ad approfondire luoghi, circostanze, fatti, costumi e storia. 

L'antropologo, calatosi nei panni di uno Scherlock Holmes, indagando tra natura-storia-etno-antropologia, fame e… passate infamie, è andato di isola in isola, di arcipelago in arcipelago, da una sponda all'altra del grande oceano: Orcadi, Terranova, Fær Øer, St. Kilda, infine Islanda. Mettendosi testardamente sulle tracce… di un curioso animale scomparso. 

Nel tempo ho così osservato, avvicinato, conosciuto alcuni tra i luoghi dove si riproduceva. Qua uno scoglio, là una ripida scogliera, poi un isolotto, infine una grande isola. Tutti gli indizi in mio possesso facevano sì che esso fosse dato per estinto da oltre un secolo. Ma prove sulla sua esistenza non ne avevo, se non in qualche antica raffigurazione. D'altronde non era proprio così che affermavano, nel XIX secolo, alcuni studiosi con ipocrita sicumera? L'animale non era mai esistito. Chi l'aveva visto, aveva guardato male. Quindi, un puro parto di fantasia, forse solo un mito o una leggenda. Insomma, un altro dei tanti kraken dei sette mari, sia pure molto bonaccione. 

Eppure esso mi apparirà nel 1998. E' "solo" un grande uccello. Per le sue dimensioni, assomiglia a un pinguino. E ai piedi ha la sua discendenza! Un uovo… Ma non lo sta fecondando. Nonostante sia un esemplare sano e salvo - dagli altri, gli umani -. E' sì, ben conservato, ma anche altrettanto "impagliato". Al di là di una vetrina che gelosamente lo custodisce. Ricordandolo ai visitatori come uno tra gli ultimi esemplari di quella razza ancora visibili, sia pure all'interno di un'istituzione. 

Ecco infine l'alca gigante (Pinguinus Impennis), detto anche "uccello-lancia" (il geirfugel  vichingo), "becco-lancia" (spearbill - inglese - o arponaz - basco -) o, più comunemente, "pinguino del nord", nel Náttúrufræðistofnun Íslands, il Museo di Storia Naturale di Reykjavík.

L'alca gigante, appartenente alla famiglia degli alcidi, come urie e puffini, la cui presenza in Atlantico è ancora fortunatamente numerosa, aveva una caratteristica: quella di avere solo dei moncherini di ali, che non gli consentivano di volare. Ma di immergersi e di nuotare sott'acqua per catturare i pesci fino alla ragguardevole profondità di 100 m. 

Insomma, più che un uccello, ci troviamo di fronte ad una sorta di sommozzatore, che prendeva terra solo per  riprodursi, per poco più di un mese. 

Aveva un corpo grande (era alto 70 cm), grasso e muscoloso e sul terreno si muoveva con una buffa andatura ballonzolante da ubriaco. E per secoli, direi anche millenni, ha costituito un ottimo e abbondante bocconcino per gli umani. 

Perché si sono ritrovate rappresentazioni di alche nei graffiti rupestri norvegesi - 6200/2500 anni fa -. Ma anche numerosissime ossa nelle sepolture degli Indiani Marittimi arcaici di Port-aux-Choix, a Terranova - 4290/3500 anni fa -. Come avevo osservato nelle vetrine del Visitor Centre del Port au Choix National Historic Site. 

Eppure per secoli le colonie esistenti da una parte all'altra dell'Atlantico non avrebbero risentito di questa caccia.

Anche perché i singoli superpredatori umani "piluccavano" sul posto solo quanto bastava loro per la sopravvivenza. Non si erano ancora organizzati in gruppi per sterminarli scientificamente. 

Fino al tempo delle grandi imprese esplorative e commerciali dirette verso il Nord America. Ricordo solo: Jacques Cartier: "ognuna delle nostre navi ne ha messi sotto sale quattro o cinque barili, senza contare quelli che siamo riusciti a mangiare freschi" (1534) e Samuel de Champlain: "uccelli così abbondanti che si possono ammazzare a bastonate"(1620). 

Le colonie degli uccelli esistenti in Nord America davano modo agli equipaggi delle navi, che si avventuravano in quei mari subartici, di rifornirsi con  facilità di uova e carne. Le navi ben presto presero l'abitudine di ancorarsi nei pressi di alcune località ben specifiche, e gli uccelli, non solo i pinguini, diventarono l'alimento preferito di pescatori e, poi, degli stessi coloni. Più tardi ci si sarebbe riforniti anche per il viaggio di ritorno. Era infatti regola comune, per l'armatore, rifornire le navi di cibo per la sola andata.

Lo sterminio delle alche giganti si sarebbe terribilmente velocizzato quando: si iniziarono a raccogliere le uova fresche, distruggendo tutte le altre deposte da tempo (l'alca depone un solo uovo all'anno); vennero utilizzate per ricavarne olio; si raccolsero penne e piume per imbottire materassi, cuscini, sedie e poltrone. 

Nel 1802, dopo tre secoli di frequentazioni europee, l'alca gigante si estinse nel principale luogo di riproduzione di tutto il Nord America, l'isola di Funk, al largo della costa settentrionale di Terranova

Ma il massacro delle alche gridò vendetta. 

E l'ottenne, sia pure indirettamente! 

Nel XIX secolo numerosi furono i naufragi in quel settore nord-atlantico. 

Forse alcuni di essi potevano essere evitati se le alche fossero state ancora in vita. Per anni la loro numerosa presenza nelle acque dei Banchi aveva segnalato, alle navi in avvicinamento, l'approssimarsi di scogliere o di altre infide conformazioni rocciose. 

Zone, queste, dove la nebbia e il suo rapido propagarsi è una nota costante. 

Così l'English Pilot  poteva ancora avvertire nel 1774. Nel 1792 "questo sicuro punto di riferimento era oramai scomparso". 

Ancora all'inizio del XIX secolo nell'isola settentrionale di Papa Westray, nelle Orcadi scozzesi, c'era una coppia di alche. La femmina morì o venne uccisa. Un collezionista sparò al maschio nel 1813. 

Nel 1840 gli isolani di Hirta (St Kilda, Scozia) uccisero la loro ultima alca nei pressi del  faraglione di Stac An Armin, avendola scambiata per una strega. 

La presenza delle alche in queste isole è sicura, comunque, fino al 1829.

Alcuni esemplari del grande uccello rimasero in vita nell'isolotto di Eldey, un pilastro roccioso che per 77 m fuoriesce dall'oceano, al largo della costa sud occidentale dell'Islanda, a 14 Km dalla penisola di Reykjanes. 

Ancora all'inizio del secolo la colonia contava un centinaio di esemplari. Tra il 1830 e il 1843 almeno 50-73 uccelli (oltre ad un imprecisato numero di uova) passarono nelle mani dell'esportatore di Reykjavik Siemson. Finendo immancabilmente nei gabinetti naturalistici di mezza Europa. 

E sì! Perché le alche giganti erano ormai divenute autentiche rarità e, perciò, preziose per i collezionisti. Che così  contribuirono a versare a Eldey la "classica" ultima goccia letale per l'innocua razza di uccelli. 

Il 3 giugno del 1844 tre pescatori di Staður, Ketil Ketilsson, Jon Brandsson e Sigurdur Isleffsson, uccisero a bastonate due alche giganti per un collezionista, gli ultimi due esemplari della loro razza rimasti in vita in tutto il mondo. 

L'unico uovo che si trovava nel nido era già rotto!  E nel marzo del 1971 il Museo di Reykjavík acquistò per una grossa cifra, raccolta attraverso una pubblica sottoscrizione, in un'asta tenutasi da Sotheby's, a Londra, la sua alca. 

Essa aveva fatto parte della collezione di un nobile danese e, con ogni probabilità, fu a suo tempo uccisa proprio ad Eldey.

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