Mappa dell’Arcipelago di St Kilda (GNU Free Documentation License, Autore: Eric Gaba - Sting -, marzo 2009, con l’utilizzo di Landsat ETM+ imagery [dominio pubblico]) |
“Solo e con le spalle alle capanne, potevo immaginare quale vita poteva essere stata ad Hirta e fui sopraffatto dalla lontananza di una vita siffatta. Avessi viaggiato direttamente fino a St Kilda da Edimburgo o Londra, quel senso di distanza si sarebbe accresciuto ancora ulteriormente. Dopo tre mesi di saltellamenti tra un’isola e un’altra, ero condizionato da terre circondate dall’acqua. Così mi era diventata famigliare la sensazione di essere isolato dal resto del mondo. Ma la nozione di distanza [remoteness] veniva costantemente ridisegnata. Arran sembrò remota rispetto alla terraferma dello Ayrshire, ma mi sembrò ridicola tale nozione allorché visitai Colonsay e Jura. Coll, in particolare, e Tiree erano apparse ancora più isolate - più Ebridi Esterne, che Interne -, come per Rum. St Kilda portò la mia definizione di isolamento e di remoto a nuovi livelli. Qui c’era il confine, un confine geografico alla frontiera dell’Europa nord-occidentale, ma anche un confine culturale e sociale” (Jonny Muir, 2011).
La meta di quel viaggio non si poteva certamente definire "agevole". Nella mia vita più di una volta mi sono sentito dire, a proposito della scelta "a tavolino" dei luoghi dove andare a svolgere le mie ricerche, che "me le andavo cercando con il lanternino...". Per difficoltà, logistiche, o di altra natura, evidenti anche grazie ad una lettura, neanche tanto approfondita, della carta geografica. Difficoltà che avrebbero reso spesso difficoltosa la "discesa sul terreno". Ai miei gentili interlocutori non sfuggiva comunque il fatto che, superati gli "scogli", i risultati ottenuti sarebbero stati densi di gratificazioni, anche personali.
Avrei pensato proprio a ciò subito dopo aver
appreso dalla radio di bordo che la guardia costiera scozzese da Stornoway
consigliava al mio skipper di tornare
indietro. Dopo due ore di navigazione passate in mezzo alle acque
dell'Atlantico che, anche se non burrascose, erano senza dubbio molto inquiete.
In seguito avremmo potuto tentare una
nuova traversata. In quel preciso frangente avrei sperimentato cosa
significasse realmente cercare di raggiungere la mia meta. Che per una lunga serie di motivazioni costituiva l’aspetto più
illuminante della ricerca di quell'anno. Del resto già caratterizzata da
numerosi elementi di interesse.
La destinazione di quel giorno, anche simbolicamente,
rappresentava per me moltissimo. Fin da quando, ormai molti anni addietro, avevo
iniziato i miei vagabondaggi scientifici per l'Atlantico. In più di
un'occasione avrei infatti ad essa fatto riferimento, senza averne conoscenza
diretta. E i lineamenti della sua eccezionale storia, da un lato
"unica" nel suo genere, dall'altro paradossalmente uguale a quella di
tante altre situazioni riscontrabili non solo nello scacchiere europeo, mi
avevano da tempo affascinato e coinvolto emotivamente. Non solo come studioso
dell'uomo. Rendendomi partecipe di una straordinaria, plurisecolare vicenda
umana. Storia il cui triste, anche se non del tutto inatteso, epilogo, avrebbe
avuto luogo non tanti decenni addietro.
Da tempo, quindi, avevo incluso nel mio programma
antropologico sulle comunità marittime dell’Atlantico del Nord una ricognizione
"in loco".
Nei secoli precedenti, ma ancora ai giorni
nostri, le difficoltà insite nella navigazione rendono sempre difficile e per
niente scontato l'arrivo in quel remoto pugno di isole, costituito dall'arcipelago
di St Kilda.
Allorché si riesce poi a raggiungerlo (quanti viaggiatori sono arrivati nei
pressi per essere poi obbligati a tornare indietro...), non è detto che vi si
possa sbarcare. A causa delle precarie condizioni meteo-marine e all'assenza di
un sicuro, protetto ancoraggio, che spesso sconsigliano l'ormeggio nella Village Bay [il villaggio evacuato dalla Marina britannica nel 1930],
nell'isola di Hirta. Ove ciò sia
possibile, le non numerose imbarcazioni che riescono ad arrivare, si
ancorano al largo. Facendo scendere i passeggeri su gommoni o dinghies, che raggiungeranno il piccolo molo senza ulteriori problemi.
Eseguito il consiglio, la Eilean Na Hearadh, in gaelico Isola di Harris, sulla quale mi ero imbarcato nel porticciolo occidentale di Tarbert, nell'omonima isola appartenente all'arcipelago delle Ebridi Esterne, al largo della Scozia nord-occidentale, invertì la rotta. Dirigendosi verso un sicuro ancoraggio interno. Cioè verso Loch Resort, uno dei profondi fiordi che caratterizzano il lato occidentale e aperto verso l'Atlantico di queste stupende isole. Riuscendo in tal modo a mitigarne la terribile potenza.
Verso sera, a distanza di diverse ore dal brusco, ma necessario, dietro front, lo skipper si spingeva nuovamente in pieno oceano, per coprire le cinquanta miglia nautiche che ci separavano da St Kilda. Se tutto fosse andato per il verso giusto si sarebbe dovuti arrivare intorno alle due e trenta di notte. Mi fu fatto altresì notare come intorno alla mezzanotte (cosa che puntualmente si verificò) la piccola e bassa imbarcazione, un vetusto motorsailer, avrebbe considerevolmente ballato per le forti ondate. In quell'ora ci saremmo trovati sul bordo della piattaforma continentale, laddove la profondità oceanica tende ad inabissarsi. Per poi risalire in prossimità del piccolo arcipelago.
Numerosi erano quindi i motivi di interesse che mi
spingevano fino a St Kilda. In
teoria facendomi rischiare anche la vita. Ma ne valeva la pena. Perché,
nonostante la durata della mia permanenza nell'isola di Hirta, la maggiore del
gruppo, si sarebbe giocoforza contratta, le ore passate a terra: a
curiosare, indagare, cercare, individuare, prendendo appunti e fotografie,
rappresentarono un'eccezionale esperienza, anche per un giramondo. .
(...) Ecco che, gradatamente, si sono venuti enucleando i punti di forza dell'isola atlantica: esistenza di una comunità marittima; isolamento plurisecolare della stessa dalla terraferma scozzese (e britannica) e, perciò, dal cosiddetto "mondo civile"; forzato e "archetipico" abbandono dell'isola in tempi recenti; trasformazione dell'uso del territorio (militare, ma soprattutto naturalistico).
Una comunità marittima, quella di St Kilda, i cui membri
preferivano però cacciare e catturare gli uccelli marini, che vi si trovavano
in grandissima quantità. E catturarli non era
impresa facile. Anzi difficilissima e rischiosissima, che ogni volta metteva in
gioco la vita degli “uomini-uccello”. Sia quando scalavano le scogliere o i
faraglioni, ma ancora prima. Quando dalla barca dovevano cercare di raggiungere
le rocce, ad esempio degli Stacs.
p.s.
A proposito del suo toponimo, nonostante alcune importanti pagine Web (in italiano) si ostinino a riportare l'aggettivo Santa (Santa Kilda), non esiste una Santa di nome Kilda. Come oggi si evince dalla corretta scrittura del toponimo in inglese, privo di punto.
L’errore è riportato cartograficamente in una carta di L. J. Waghenaer Thresoor der Zeevaert del 1592, che ricopia malamente una mappa di Nicolas de Nicolay del 1583 (Charte de la Navigation du Royaume d'Escosse). Dove appare Skildar, dall’islandese skildir, cioè “scudi”. Mentre sempre, nell’odierno vocabolario islandese [Ensk-Íslensk, a cura di Sævar Hilbertsson e Bjarni Gunnarsson, 1985], per Kilda leggo: "acquitrino-palude".
DA: NELL'ARCIPELAGO DEGLI “UOMINI-UCCELLO” DI ST KILDA. VITA E MORTE DI UNA REMOTA COMUNITÀ' SCOZZESE
E-Book, I e II ediz. cartacea a colori https://www.amazon.it/dp/B01N8R37RZ https://www.amazon.it/dp/1520343477 https://www.amazon.it/dp/1791748090 |
Premessa
Introduzione
CAPITOLO 1
Il viaggio
L'arcipelago di St Kilda
La natura a St Kilda
Una comunità' di “uomini-uccello”
L'arrivo
Nel villaggio: le “case bianche” e i ruderi di quelle “nere”
L’incontro tra la Euphemia MacCrimmon e il grande
folclorista scozzese Carmichael
Le comunicazioni con il mondo esterno: John Sands e la St
Kilda Mail
Il “Parlamento”
XVIII secolo: lo strano, tragico caso di Lady Grange,
deportata nell’isola; si cerca Bonnie Prince Charles a St Kilda
I soggiorni di John Sands a St Kilda: 1875 e 1876-77
CAPITOLO 2
Il turismo "ante litteram" verso l'esotico
britannico
CAPITOLO 3
La fine del Paese di Utopia: problemi ambientali, sanitari,
di sopravvivenza
Le tre fasi finali del tramonto di una remota comunità
isolana: “contatto”, “scontro”, “disgregazione” culturale
Il giorno dell’evacuazione: 29 agosto 1930
CAPITOLO 4
Alla scoperta dell’arcipelago
Stac Lee, Stac an Armin, Boreray
John Sands si arrampica su Boreray: con gli “uomini-uccello”
nel 1876, con le “donne-uccello” nel 1875
La scalata dello Stac an Armin del 1994
Quando Marylin non è la Monroe. Ovvero gli incredibili
Stacs, palestra privilegiata di un pugno di alpinisti britannici, nella loro
doppia sfida ai flutti dell’oceano e alle rocciose piramidi, per conquistare i
più ambiti “marilyn” del Regno Unito
Visitando Hirta
CAPITOLO 5
I “Viaggiatori” (1202-1929): Vescovi, religiosi e fattori;
pirati, naufraghi e deportati; naturalisti e ornitologi; geologi e folcloristi;
medici e chimici; nobili, politici, filantropi e commissioni d’inchiesta;
pittori, fotografi e cineasti; turisti e alpinisti; il leader di una missione
di soccorso; perfino un’eccezionale emula della celebre aviatrice Amelia
Earhart
1930: Due non previsti testimoni dell’evacuazione di St
Kilda
BIBLIOGRAFIA
Nessun commento:
Posta un commento