Dopo una battuta di caccia ai puffini (© Franco Pelliccioni) |
Le Vestmannaeyjar e l’isola di Heimaey
Le isole
dell'arcipelago delle Vestmannaeyjar, sono state definite da un poeta islandese
"come zaffiri incastonati in un anello d'argento".
Heimaey, che vagamente assomiglia ad un otto un po'
deformato - come, dall'altra parte del mondo, l'isola di Tahiti -, è l’unica
permanentemente abitata di un gruppo di quindici.
Le altre hanno solo ricoveri temporanei di cacciatori di puffini
(e pecore che vi pascolano durante la breve estate), salvo Surtsey, dove è
proibito sbarcare senza autorizzazione
Pesca, uccellagione
Pur rappresentando solo il 2% della popolazione islandese,
gli isolani mettono insieme il 15% delle esportazioni complessive di pesce con
la loro flotta di 100 imbarcazioni.
Il porto è uno dei più importanti del paese. Il pesce viene
esportato sia fresco, che trattato nei locali impianti conservieri.
Accanto alla pesca gli isolani si dedicano alla raccolta di
alghe (kelp) considerate un cibo sano. In un
arco di circa sei settimane, in estate, catturano gli uccelli (dagli 80.000 ai
100.000 puffini), in primavera raccolgono le uova.
Attività risalenti all'età vichinga, destinate ad integrare
la dieta alimentare, specialmente in un non lontano passato (fino agli anni
'30).
Mangiare puffini, che vengono preparati in occasioni
speciali, di solito durante le festività, come quella di Thjódhátíd, è
oggi soprattutto un simbolo, che denota la stretta appartenenza alla comunità
isolana.
In più di un'occasione è stato fatto rilevare dai miei
gentili interlocutori come essi si sentano, sotto molti aspetti,
"diversi" dagli islandesi della Mainland o "più islandesi degli
islandesi".
Thjódhátíd: una festa nazionale “particolare”
Cosa che si evidenzia
ancora oggi, anno dopo anno, nel corso dell'importante festa
di Thjódhátíd, la loro "particolare" festa nazionale celebrata
in una data diversa da quella islandese. Fin dal 1874. Quando per il maltempo
fu impossibile agli isolani raggiungere Reykjavík, per festeggiare la
concessione della prima costituzione da parte del re danese.
Così per gli abitanti di Heimaey la Thjódhátíd è ben
più importante di tutte le altre festività messe assieme. In effetti si può
affermare come gli isolani delle Vestmannaeyjar abbiano avuto una storia
"autonoma" rispetto alla terraferma islandese.
D'altronde la loro posizione decentrata spazialmente, ma
soprattutto geo-strategicamente più vicina ai paesi europei, ha fatto sì che
nei secoli abbiano potuto contare su un più grande numero di contatti con
l'esterno. Fatti di incontri culturali, ma anche di scontri!
La storia della comunità è stata abbastanza tormentata addirittura da prima della sua fondazione. Quando nell'isola vi furono rintracciati e giustiziati gli schiavi irlandesi (gli "uomini occidentali": è il significato di Vestmannaeyjar) lì rifugiati, dopo aver assassinato il fratellastro di Ingólfur Arnarson.
In seguito il vichingo Herjólfur Báðarson impiantò una
fattoria, i cui resti sono oggi visibili nella Herjólfsadulur. Un perfetto
anfiteatro naturale, dove ogni anno non casualmente si celebra la festa di Thjódhátíd.
Razzie e incursioni di corsari inglesi
e pirati nord-africani
L'arcipelago nel XV secolo divenne proprietà della Norvegia
e, successivamente, del Regno di Danimarca. Diverse e distruttive furono le razzie
dei corsari inglesi che, a partire dalla metà del XV secolo, vi si stabilirono
per oltre un secolo. Fortificando adeguatamente l'insediamento. Fino a quando
furono scacciati dai commercianti danesi.
Mentre "sufficiente" fu l'unica incursione dei pirati nord-africani (1627)! Non contenti delle devastazioni
già apportate ad altri villaggi islandesi, i "turchi" attaccarono Heimaey,
razziandola e bruciandola. Oltre metà degli abitanti fu uccisa, resa schiava e
deportata in Nord Africa.
La statua di Guðríður Símonardóttir.(© Franco Pelliccioni) [Tra i prigionieri sarà famosa Guðríður Símonardóttir (1598-1682), in seguito conosciuta come Tyrkja Gudda (“Gudda la turca”). Venduta come schiava in un harem, sarà riscattata da re Cristiano IV di Danimarca. Più tardi sposerà Hallgrímur Pétursson, uno dei più famosi poeti islandesi] |
Ma gli isolani hanno sempre dovuto combattere una loro
difficilissima quotidiana lotta per poter sopravvivere.
Navigando in un oceano, spesso tempestoso e crudele, dove
solo avvicinare o lasciare il porto diventava un'impresa "eroica".
Lotta quotidiana che richiese, perciò, un alto prezzo in
vite umane. E che spiega molto bene come il carattere dei membri di questa
comunità sia stato forgiato nell'acciaio.
Si ricorda come in un sol giorno ben cinquanta pescatori scomparvero
tra i flutti oceanici e come 100 furono le vittime nel secolo XIX.
Cifre di per sé già molto alte, ma che sono
stratosfericamente incompatibili per il fatto che la comunità, fino a tutto il
XIX secolo, aveva una popolazione demograficamente esigua.
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