Heimaey con i suoi due vulcani: a sinistra l’Eldfell [il nuovo vulcano], a destra l’Helgafell (© Franco Pelliccioni) |
Premessa
Per molti anni (dal 1995 al 2012) ho collaborato alla storica Rivista Marittima, pubblicando anche un supplemento sull’isola di Creta, oltre che al Notiziario della Marina. Inoltre sono stato onorato più volte dei Patrocini che lo Stato Maggiore della Marina Militare mi ha concesso per le ricerche condotte in Atlantico (tra il 1982 e il 1998), nell’ambito del mio Programma sulle Comunità Marittime dell’Atlantico del Nord.
L’ULTIMA COMUNITÀ MARITTIMA INTERESSATA DAL MIO PROGRAMMA
NORDATLANTICO
Nella "Capri del Nord", come è soprannominata Heimaey (l'«isola-casa»), nell’arcipelago delle Vestmannaeyjar, per le sue grotte marine e i faraglioni, ho effettuato l'ultima ricerca antropologica prevista dal mio Programma sulle Comunità Marittime dell’Atlantico del Nord.
Una scelta dettata da una serie di fattori
storico-geografici e culturali di rilievo, tra i quali: la trainante economia
basata sulla pesca, la relativa lontananza dell'isola dalla costa islandese, la
"diversa" e ben radicata cultura dei suoi abitanti.
Ciò che mi affascinò maggiormente di Heimaey, però, fu la storia di un evento imprevisto e catastrofico, e di come si riuscì, a livello individuale e collettivo, a fronteggiarlo, sia nel momento della massima emergenza, che in seguito.
E,
infine, di come oggi gli isolani siano sempre pronti, quasi con "animo
leggero", ad una sempre possibile iterazione dello stesso terribile
fenomeno.
UN’IMPROVVISA ERUZIONE VULCANICA IN GRADO DI ANNICHILIRE
L’ISOLA E I SUOI ABITANTI
Nel cuore della notte di martedì 23 gennaio 1973, ore 1,55, improvvisamente iniziava un'eruzione da una fessura posta ad est dell'isola, senza segni premonitori, se si eccettuano alcune leggere scosse di terremoto cominciate alle dieci di quella sera.
Una serie di fortunate circostanze, accomunate a know how, determinazione e dosi elefantesche di sang froid sparse a piene mani, riuscirono ad impedire che si verificasse un'immane tragedia.
Innanzitutto, grazie al
persistere di quello che amo definire "tempo islandico", cioè la
trilogia: gelo, vento forte, pioggia battente.
In quelle ore tale aggettivazione sarebbe calzata a pennello: pioggia fortissima con raffiche di vento da sud-est forza 12. Costringendo, in quella notte da lupi, a far restare in porto tutta la flotta.
Questo fatto, unitamente ad altri, che verranno in seguito individuati, consentì che il "fuoco della terra" non provocasse né morti, né feriti.
Non solo… La cittadina fu salvata e migliorò perfino l'infrastruttura
naturale del porto. Ma andiamo subito ai fatti.
Già alle 2,30 il primo peschereccio pieno di sfollati lasciava l'isola. Tutte le altre imbarcazioni allertate e pronte a seguire, come una corrente.
Solo poco prima delle 2 c'era stata l'allarmata telefonata
al posto di polizia annunciante l'eruzione in prossimità della Kirkjubær.
Un immediato controllo verificava la presenza di due lingue di lava, che partivano dall'ovest dell'Helgafell, il vulcano dell'isola (226 m) che mai, nei secoli, aveva dato segni di irrequietezza.
Contrariamente a quanto
si era invece verificato dieci anni prima, con un'eruzione vulcanica
sottomarina, che in pochi anni portò alla creazione dell'isola di
Surtsey.
L'eruzione aveva
preso il via da quello che è diventato il vulcano gemello dell'Eldfell (la
"montagna di fuoco").
In meno di due ore, vigili del fuoco e polizia fecero
scendere la popolazione in strada, radunando tutti al porto con poche cose.
Immediatamente si prese la decisione di evacuare i suoi 5300 abitanti, e al più presto. Poiché i fiumi di lava, che correvano in due direzioni opposte, potevano bloccare contemporaneamente l'ingresso al porto e distruggere la pista aeroportuale.
In poco tempo circa 300 persone (per lo più vecchi e malati) furono evacuati a Reykjavík, grazie ad un ponte aereo operato dalle linee aeree islandesi e dalla NATO.
Ad Heimaey, alla fine, rimasero solo due-trecento persone per l'emergenza.
Enorme fu l'assistenza e l'aiuto portato dalla comunità internazionale, in
particolare dagli stati scandinavi.
Alcuni numeri che quantificano ciò che accadde.
In cinque mesi e dieci giorni l'eruzione produsse 250 milioni di m3 di lava e cenere. Il nuovo vulcano raggiunse un'altezza di 225 m.
Anche le dimensioni dell’isola si accrebbero di un buon 15%, passando dai 12 ai 14,5 Kmq. La solidificazione della lava di Kirkjubaerhaurn contribuì inaspettatamente a migliorare le caratteristiche del porto, restringendo l'imboccatura della baia, ora ben protetta dalle intemperanze oceaniche.
Da terra e utilizzando i cannoni d'acqua di due navi, si pomparono 5,5 milioni di tonnellate d'acqua di mare per raffreddare la lava, allo scopo di rallentare o bloccare, sia pure in parte, la sua catastrofica corsa verso il porto e la città.
La massa di lava raffreddata agì efficacemente da diga contro
l'avanzare di quella incandescente (30 m al giorno). Una misura adottata per la
prima volta, che si dimostrò risolutiva.
L'isola, costantemente nascosta da un'immensa nuvola di
vapore, si salvò.
Come si salvò il porto, tra i più importanti dell'Islanda.
Le correnti di lava ne lambirono solo il lato orientale. Evitando quasi completamente le abitazioni, che furono distrutte dalla cenere, che tutto ricoprì e bruciò. Ne caddero 1,5 milioni di tonnellate! Il suo peso fece crollare la maggior parte degli edifici. In totale 360 case furono distrutte, 400 danneggiate, 400 rimasero intatte.
La chiesa, dove al culmine dell'eruzione vulcanica si celebrò una messa, fu miracolosamente risparmiata.
Immagine dell’eruzione dell’Eldfell alle spalle della chiesa (Landakirkja) risparmiata dal vulcano. Foto esposta nel Museo Folk di Heimaey (© Franco Pelliccioni) |
Sulla città caddero complessivamente 1,5 milioni di tonnellate di cenere.
Subito dopo la fine dell'eruzione, si scavò molto per riportare alla luce le
case sepolte sotto metri e metri di cenere, come a Pompei...
Nel 1975 la maggior
parte della cenere era già stata tolta. Venne usata per costruire strade,
allargare la pista aeroportuale e per le fondamenta delle case, che si
ricostruirono a nord-ovest, dalla parte opposta dell'isola.
Due terzi degli abitanti ritornarono ad Heimaey.
Il
principale danno arrecato dall'eruzione fu costituito proprio dal mancato
ritorno degli isolani, per lo più vecchi e ammalati, ma anche giovani, che
preferirono restare nella Mainland.
Anche in quella tremenda occasione gli islandesi sono riusciti a ricavare il buono da quanto era successo.
Realizzando, tra il 1976 e
il 1988, un sistema termodinamico per riscaldare le case che utilizzava,
incredibile a dirsi, la… lava ancora bollente come fonte energetica. Poiché
riscaldava l'acqua immettendola in un sistema di termoriscaldamento centrale,
che riforniva tutte le case.
Ora che la lava si è raffreddata il sistema funziona grazie
all'energia elettrica.
DA: AI CONFINI D’EUROPA. VIAGGIO-RICERCA NELL’ISLANDA DEI
VULCANI, DEI GHIACCIAI, DELLE SAGHE, DEL MONDO VICHINGO
E-Book, versione cartacea a colori e in bianco e nero, I e II ediz., 297 pp., 150 note, Bibliografia, Mini-Glossario geografico, 346 immagini, di cui 304 a colori (284 sono dell'A.)
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