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venerdì 28 giugno 2024

157. GLI IMPRESSIONANTI FARAGLIONI DI STAC LEE, STAC AN ARMIN E BORERAY. DOVE PER SOPRAVVIVERE, RISCHIANDO OGNI VOLTA LA VITA, UOMINI (E DONNE) DI ST KILDA SI ARRAMPICAVANO PER CATTURARE UCCELLI MARINI E RACCOGLIERE UOVA. Da: NELL'ARCIPELAGO DEGLI “UOMINI-UCCELLO” DI ST KILDA. VITA E MORTE DI UNA REMOTA COMUNITÀ' SCOZZESE

 

 Lo Stac an Armin. lo "scoglio del guerriero": il più alto del Regno Unito (© Franco Pelliccioni) 

UNA COMUNITÀ' DI “UOMINI-UCCELLO”

Per tentare di descrivere l'intima essenza della comunità marittima di St Kilda ["un remoto pugno di isole, avanzi di un vulcano attivo 60 milioni di anni fa, in pieno Oceano Atlantico, difficile da raggiungere.  Oltre tutto, non è detto che vi si possa sempre sbarcare. A causa delle precarie condizioni meteo-marine e all'assenza di un sicuro, protetto ancoraggio, che spesso sconsigliano l'ormeggio nella Village Bay, nell'isola di Hirta"], dovrei impiegare un termine ormai desueto che, pur con la sua inevitabile approssimazione, secondo me rende bene l'idea: “comunismo". Pascoli, animali e terreni coltivati erano, infatti, di "tutti". Tanto che dopo qualche anno con il runrig i terreni venivano "girati" di famiglia in famiglia.

La storia di St Kilda in quest'ultimo secolo e mezzo ci parla di una comunità fortemente solidaristica e tenacemente attaccata alla tradizione, dove il baratto faceva aggio sulla moneta. Ma destinata a collassare a causa dell'accelerazione indotta da una mutazione culturale giunta dall'esterno. Prima da naviganti e pescatori, poi dai pastori protestanti, infine dai turisti, dai funzionari governativi britannici e da altri agenti di cambiamento: insegnanti, infermiere.

Provocando, infine, un inarrestabile processo di deculturazione… E la sua morte!

(…) Era una comunità marittima, sì, i cui membri preferivano però cacciare e catturare gli uccelli marini, che vi si trovavano in grandissima quantità.

E catturarli non era impresa facile. Anzi difficilissima e rischiosissima, che ogni volta metteva in gioco la vita degli “uomini-uccello”.

Sia quando scalavano le scogliere o i faraglioni, ma ancora prima. Quando dalla barca dovevano cercare di raggiungere le rocce, ad esempio degli Stacs.  

Così quello dell’uccellagione era mestiere che si imparava fin da giovanissimi. Una sorta di “rito di passaggio” all’età adulta (…)   

Martin Martin [nato a Skye, fu precettore nella famiglia dei MacLeod, proprietari di St Kilda. Nell’estate del 1697 accompagnò il ministro (del culto) di Harris, John Campbell, nell’annuale visita all’arcipelago. Scriverà la prima dettagliata relazione sulla vita nelle isolenel 1697 rilevò che “il loro principale nutrimento deriva dalle gigantesche colonie di uccelli marini, che popolano le scogliere dell’isola e i vicini faraglioni. Non solo raccolgono le uova di sule e di procellarie, ma catturano e mangiano gli stessi uccelli. Per fare ciò costruiscono corde che calano per centinaia di piedi lungo le scogliere di Hirta [la sola grande isola abitata (…) allora possedevano solo tre corde lunghe ciascuna 144 piedi [ca. 44 m] (…) si arrampicano a piedi nudi e, in fare ciò fin dalla fanciullezza, sviluppano caviglie e piedi, che bene si adattano al loro compito”.

Dagli uccelli traevano quasi tutto il loro sostentamento. Nel 1876 gli isolani presero 89.600 puffini per la carne e il piumaggio. Tramite il baratto, prima e la vendita, ben più tardi, riuscivano ad ottenere anche ciò di cui avevano bisogno, dal chiodo alla farina.

Degli uccelli si usava tutto: carne, piume, ossa, olio, ecc. Oltre alle uova, raccolte sulle pareti scogliose, i St Kildani si cibavano dei volatili, anche affumicati. L'olio delle procellarie serviva come prezioso combustibile, ma anche contro i reumatismi, gli arti pesti o doloranti, e come purga ed emetico (…)    

Tutto ciò sarebbe andato avanti per un lunghissimo tempo. Fino a quando, sul finire del XIX secolo, la domanda di tali generi cessò del tutto. Contribuendo, in tal modo, al tracollo finale della comunità.

Il denaro negli anni seguenti sarebbe arrivato nella comunità dai turisti di passaggio, dalla carità e (poco) dalla vendita di tweed, dal 1900 diventato l'unico prodotto di St Kilda.

GLI IMPRESSIONANTI FARAGLIONI DI STAC LEE, STAC AN ARMIN, BORERAY

   Quando si naviga intorno a questi grandiosi e terrificanti scogli rocciosi è praticamente impossibile immaginare come gli abitanti di St Kilda riuscissero a scendere a terra dalle loro barche.

Non solo usavano corde artigianali, ma uomini e donne riuscivano a scalare questi straordinari faraglioni. Portando poi via barili di uova e uccelli dalla sommità, fino al villaggio di Hirta.

Spedizioni che potevano durare anche diversi giorni. Per cui “uomini-uccello” (e donne) avrebbero dovuto pernottare dentro piccoli ripari (bothies) su quei giganteschi pinnacoli. 

Lo scoglio più grande [tanto da essere considerato un isolotto], Boreray, è un gigantesco cuneo. Verticale sui tre lati e molto scosceso, ma ricoperto d’erba sul quarto. Qui nel tempo furono costruiti numerosi cleitean per depositarvi temporaneamente quanto raccolto (uccelli, uova, ecc.).

Dopo che il gruppo di uccellatori toccava terra, la barca rientrava ad Hirta, per tornare a recuperarlo dopo diversi giorni.

 Ecco come si “approda” a Stac Lee
(Norman Heathcote, "Climbing in St Kilda", Scottish Mountaineering Club Journal, vol. 6, 5, maggio 190
1)

Stac Lee, anche se meno elevato dei due scogli, è il più impressionante dal punto di vista alpinistico. Poi, osservando con attenzione, meglio se (onde permettendo) con un binocolo, si può intravedere nei pressi della sommità, sulla sinistra, l’ingresso al bothy, che può accogliere solo un paio di persone.

NEL 1876 IL GIORNALISTA BRITANNICO JOHN SANDS SCALA, ASSIEME AGLI “UOMINI-UCCELLO” DI HIRTA, L'ISOLOTTO DI BORERAY. ARRIVANDO FINO A 243 METRI DI ALTEZZA  

 Il giornalista John Sands, ritornato a St Kilda nel 1876, racconta: “il 29 giugno andai con un gruppo di diciotto, tra uomini e ragazzi, con la nuova barca [che aveva fatto costruire per loro] all’isola di Boreray. Tutti gli uomini, meno due, ai quali fu lasciato il compito di prendersi cura dell’imbarcazione, si arrampicarono sulla scogliera. Fui tentato di unirmi a loro. Con il capo di una corda attorno alla cintola, tenuto da un uomo, che mi precedeva, mi arrampicai su tali sentieri, che si possono vedere solo negli incubi. Pensai che fosse meglio non guardare in avanti troppo lontano, ma fissare l’attenzione al terreno sotto i piedi. A volte dovevo ringraziare la mia guida, che toglieva di torno qualche difficile pezzo. Così che fui in grado di arrivare in cima. L’altitudine era probabilmente di 800 piedi [243 m], anche se le più alte rocce di questa isola superano il migliaio [304 m]. Alcune scogliere erano bianche per le sule. Tutti gli uomini si sparpagliarono, calandosi lungo i dirupi, per catturare le procellarie. Io fui lasciato sotto la sorveglianza di un giovane chiamato Callum Beag, o “Piccolo Malcolm”, che terrà sempre questo nome anche se crescerà fino a sei piedi [1,82 cm] (…) È tradizione dei St Kildani inviare ogni anno un gruppo di giovani donne nell’isola, per catturare puffini per le loro piume. Durante la mia prima visita [1875] sono andato con un gruppo del genere a Boreray e le ho viste al lavoro. Sollevando i piccoli dai buchi nella torba, i curiosi uccelli (chiamati Tammie Nories in alcuni posti) hanno bisogno di essere scansati per essere catturati. Poi bisogna essere molto attenti nel tenerli, perché le loro beccate sono molto dolorose. Conoscendo le loro abitudini, le donne portano i cani, che allarmano i puffini, così da catturarli non appena svolazzano fuori dai buchi (…) Le ragazze collocano le corde di peli sul terreno, tenute ferme ad entrambi i capi da pietre. Cappi di crini di cavallo sono aggiunti alla corda, in modo che gli uccelli, che in numero incredibile frequentano l’isola, vi mettano le zampe. Così in un giorno alcune ragazze riescono a catturare fino a 4-500 puffini. Le giovani donne rimangono tutte sole nell’isola per circa tre settimane. Lavorando fino a che cadono addormentate. Ognuna ha con sé la Bibbia in Gaelico, che tutte leggono facilmente. Dormono con i vestiti che hanno indossato durante il giorno”.

……

Gli ultimi 36 abitanti del villaggio di Hirta furono evacuati dalla Marina britannica il 29 agosto del 1930:

Era un giorno foschioso, ma tranquillo.

Dalla mattina presto l’HMS Harebell, la nave che doveva trasportare gli isolani nelle nuove case, era all’ancora nella Village Bay. Con le pecore e le mucche via e i cani morti, l’evacuazione della gente poteva iniziare.

Si impacchettarono le ultime cose, i beni portati giù al molo, le casse caricate sull’Harebell.

La maggior parte dei mobili, letti, sedie, telai, come pure le barche, gli attrezzi agricoli e per l’intrappolamento degli uccelli doveva essere lasciato

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NELL'ARCIPELAGO DEGLI “UOMINI-UCCELLO” DI ST KILDA. VITA E MORTE DI UNA REMOTA COMUNITÀ' SCOZZESE

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