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giovedì 23 maggio 2024

147. L'EPOPEA DI UN APPASSIONATO CANTORE DEI SIOUX, DEI PAWNEE E DEI POTAWATOMIE, GEORGE CATLIN (1796-1872), PITTORE-ETNOGRAFO, SPESE LA SUA VITA PER DIFENDERE E FAR CONOSCERE IL MONDO DEI PELLIROSSE

 

Le pitture di guerra sul volto di un guerriero Pawnee dopo una vittoria. Le mani dipinte indicano che ha ucciso un nemico in un corpo a corpo

"L'epopea di un appassionato cantore dei Sioux, dei Pawnee e dei Potawatomie. George Catlin, pittore-etnografo, spese la sua vita per difendere e far conoscere il mondo dei pellirosse. E' questo il racconto di una vita interamente dedicata a raccogliere su tela e su carta, per la prima volta nella storia, quelle che nella prima metà del XIX secolo apparivano come le ultime testimonianze di un mondo in rapida scomparsa: quello degli indiani d'America".

Tra il 1853 e il il 1859 il nostro personaggio vagabondava tra Sud e Nord America. 

Sappiamo poco di quel periodo, tra il leggendario e il misterioso. 

Sembra che inizialmente sia andato alla ricerca dell’oro, circostanza abbastanza strana e singolare, nonostante l’avventuroso passato avesse potuto giustificarla.

Aveva trascorso una vita ai limiti dell’impossibile. 

Aveva perso moglie e figlio maschio per malattia. 

Per anni aveva combattuto disperatamente, in difesa dei popoli pellerossa, contro i mulini a vento dell’establishment statunitense. In quell’epoca era povero in canna. Avrebbe perciò potuto barattare pennello, tele e diari per setaccio e piccone?

 Nella sua pluriennale peregrinazione infatti prese schizzi, dipinse e scrisse un po’ dovunque: dalla Terra del Fuoco alle Ande, dal Rio delle Amazzoni al Perù, dalla costa del Pacifico alla Pampa, dal Mato Grosso alle Indie occidentali, al Venezuela a Panama, e oltre. 

Lungo la costa occidentale degli Stati Uniti, fino alle Aleutine (stretto di Bering) e, persino, in Siberia. Tornando poi indietro, oltrepassando la catena delle montagne rocciose e, infine, salpando per lo Yucatan

  Da oltre un secolo e mezzo il nome di George Catlin ha superato i pur ampi confini degli USA e quelli direttamente concernenti la cultura degli indiani d’America. Ogni studente o cultore della scienza dell’Uomo prima o poi si è imbattuto nel suo nome. 

Come nel tempo hanno fatto i visitatori dei numerosi musei statunitensi, tra cui lo Smithsonian di Washington, che orgogliosamente ospitano i suoi dipinti.

E’ questo il racconto di una vita intensa e straordinaria, interamente dedicata a raccogliere, su tela e su carta, per la prima volta nella storia, quelle che nella prima metà del XIX secolo apparivano come le ultime testimonianze di un mondo in rapida scomparsa, quello dei pellerossa stanziati negli accampamenti al di là della frontiera: “la storia e i costumi di quella gente, fissati sulla tela, sono temi che valgono la vita di un uomo, e nulla, che non sia la perdita della mia stessa vita, mi impedirà di visitare la loro terra e di diventare il loro storico”.

  Superando ostacoli e pericoli d’ogni tipo, in battello, su carri, a cavallo, in canoa e a piedi, per otto lunghi anni Catlin si spinse oltre l’immaginabile e il consentito, in terre dove solo l’esercito osava muoversi in armi. Lasciando luoghi e territori relativamente “sicuri”, poiché da più tempo colonizzati, apriva una via di conoscenza transculturale verso l’ignoto etnografico: “il lettore deve venire con me lontano dal mondo civilizzato. 

Deve portare i suoi passi molto lontano da New York, oltrepassare gli Allegheny, spingersi oltre il maestoso Missouri, inoltrandosi fino alle pendici delle Rocky Mountains, e poi inerpicarsi sulle loro vette, a due o tremila miglia di distanza dalla costa dell’Atlantico”. 

Così facendo, deliberatamente infrangeva un mito composto da un blend di pregiudizi e razzismo, che bene si rispecchia nella sciagurata frase attribuita al generale Sheridan: “l’unico indiano buono è un indiano morto”. 

Tanto che, aggiunge Catlin: “dovrebbe anche scordare molte teorie che ha letto sui libri a proposito della barbarie indiana, con carneficine e uccisioni spietate; dovrebbe spogliarsi il più possibile dei letali pregiudizi che si porta dietro fin dal tempo dell’infanzia e che denigrano la parte del genere umano più sfortunata e più sfruttata”.

  Egli è stato l’eccezionale testimone della vita giornaliera, cultuale, famigliare degli appartenenti a quarantotto tribù “incontaminate”, poiché non raggiunte dalla civilizzazione europea, con le sue viscide lusinghe e i suoi mali tenebrosi. Prima dell’arrivo della “pax americana”, che in pochi decenni fece fisicamente scomparire un incredibile numero di loro, in un autentico e ripetuto etnocidio. Non solo Catlin prese una decisa posizione in favore del rispetto e, soprattutto, della vita dei pellerossa, fatto che gli costò moltissimo in termini di mera sopravvivenza. Ma la sua battaglia ideale seguì linee riecheggianti da vicino il “bon sauvage” di rousseauiana memoria, che non tutti gli etnologi accettarono, criticando la “forma” assunta dal suo costante, accorato “je accuse”. 

D’altronde Catlin ne aveva ben donde. Quanto da lui idealizzato od esaltato: “mi si vorrà perdonare se posso aver sopravvalutato il carattere dell’indiano”, nella sostanza dei fatti nudi e crudi delle diverse realtà esistenziali tribali, dei loro tradizionali percorsi culturali, che di lì a poco saranno attraversati dal Progresso (forti, ferrovie, fattorie, soldati, coloni), che li bloccherà, coarterà e depriverà della terra degli antenati, come della stessa vita…, esigeva una “strategia” che unisse l’artista e l’etnografo al cantore del mondo dei nativi americani. Oltre che al polemista denunciatore di soprusi e di prevaricazioni in nome di una civiltà “superiore”. 

Se arrivò a giustificare le sanguinose reazioni indiane, fu lungimirante nel prevedere la loro fine: “una vita dedicata alla riproduzione con lo scritto e con l’immagine del modo di vivere, dei costumi e del carattere di un’interessante razza di uomini che sta rapidamente scomparendo dalla faccia della Terra. Volevo andare a tendere la mano a una nazione in agonia, all’interno della quale non vi sono né storici né biografi”.

  Catlin riteneva che si dovesse conoscerne la lingua e cercare le motivazioni profonde delle istituzioni, senza restare alla superficie. 

Il suo è un certosino lavoro etnologico, che anche in futuro sarà estremamente utile, dove metodicamente “separa i fatti dalle opinioni” personali: “la sua testimonianza minuziosa e di prima mano di un momento tanto importante della storia degli indiani nordamericani, quando la Frontiera è già arrivata stabilmente nel Mississipi, ma ancora esistono tribù praticamente incontaminate, è di valore assoluto. Non per nulla la sua opera figura in tutte le future bibliografie, non per nulla le sue descrizioni saranno confermate dagli studiosi più accreditati”.

  “Come pittore Catlin fu sostanzialmente un documentarista, attento più ai fatti che all’estetica delle cose. Eccelse soprattutto nei ritratti. Con un sapiente uso del pennello seppe cogliere non solo i lineamenti del soggetto, ma anche il suo spirito orgoglioso e la sua personalità”, in questo aiutato dalla velocità di esecuzione dei dipinti, dalla memoria, dagli schizzi presi sul campo, dalla realizzazione successiva dei quadri.

Catlin nasce nel 1796 a Wilkes-Barre (Pennsylvania). Nel 1817-18 frequenta a Litchfield uno studio di avvocato. Poi inizia a praticare legge nella contea di Luzerne. 

Da subito è attratto dalla pittura. Vuole "diventare uno storico e un pittore degli aborigeni del grande continente nord americano". 

Nel 1823 va a Filadelfia per perseguire una carriera di ritrattista. In poco tempo diventa popolare. L’anno dopo la Philadelphia Academy of Fine Arts lo accetta come membro. Ritrae il Governatore di New York, dipinge il “suo” primo indiano, l’oratore dei Seneca “Giacca Rossa”. 

Nel 1828-29 è nelle riserve SenecaOneidaMohegan e Tuscarora, restandone deluso: "i selvaggi, liberi indiani ad ovest del Mississippi offriranno un migliore soggetto".

  Nel 1830 a St. Louis, punto di partenza obbligato verso la terra incognita del West, incontra il celebre Generale William Clark. 

Con lui oltrepassa la frontiera, arrivando a Prairie du Chien e Fort Crawford

Dipinge così IowaOmahaSiouxMissouriSauk e Fox

In autunno è a Fort Leavenworth, il posto più remoto dell’esercito sul Missouri (Iowa, DelawarePotawatomiKickapoo e Shawnee). Nel 1831 risale il Platte (Grand PawneeOtoOmahaMissouri).

  Nel 1832 dà inizio sul Missouri al suo grandioso e fantastico viaggio artistico-etnografico, che lo porterà attraverso i grandi spazi del West e numerose tribù indiane. 

Sosta prima nel villaggio dei Ponca, al confine tra gli indiani semicivilizzati e quelli “selvaggi”, poi, alla confluenza con il Teton, a Fort Pierre, letteralmente circondato da seicento tende Sioux, con i quali partecipa alla sua prima caccia al bisonte. 

Infine, prima di giungere a Fort Union (Dakota del nord), si ferma nel villaggio degli Assiniboine. Ha così risalito per 2000 miglia il fiume Missouri. 

Al forte resta per un mese dipingendo BlackfootCrowCree e Sioux. Con una canoa e due compagni parte poi per il viaggio di ritorno. A Fort Clark (il Fort Mandan della spedizione Lewis-Clark) osserva a lungo la cultura dei Mandan, in quella che rappresenta la fase fondamentale di tutta la sua esperienza nell’ovest. 

Sarà il primo bianco a vedere la cerimonia della Danza del Sole. Nelle vicinanze visita i villaggi Hidatsa. Di nuovo a St. Louis fa i ritratti di capi indiani prigionieri.

  Nel 1834 è tra i CherokeeChoctawCreek e Osage di Fort Gibson.

 Si unisce alla spedizione dei dragoni diretta a stabilire contatti con le tribù ComancheKiowa e Wichita

Nel 1835 dipinge Chippewa (Ojibwa), Sauk e Fox nel Minnesota. Qui incontra Lawrence Tagliaferro, maggiore d’origine italiana, che per lui organizzerà una festa indiana. Apprende della favolosa cava della Pietra della Pipa. Anche in questo caso è il primo bianco a studiarla. Vi raccoglierà campioni di un nuovo minerale, che si chiamerà catlinite.

  Nel 1837 a New York inizia ad esibire nella sua Indian Gallery quadri e oggetti etnografici. È un trionfo, anche se non tralascia occasione per criticare l’invasione delle terre dei nativi. 

Per la prima volta si affaccia l’ipotesi che il Congresso degli Stati Uniti possa acquistare la collezione. 

A Fort Moultrie dipinge il capo Seminole Osceola, preso prigioniero. Successivamente la mostra diventa itinerante, ma non avrà il consenso sperato. 

Nel 1840 Catlin la porta a Londra, ottenendo un successo clamoroso e il plauso della regina Vittoria, che lo aiuta a pubblicare le Letters and Notes on the Manners, Customs, and Condition of the North American Indians. Quando si contraggono i visitatori, saranno per lui guai seri, anche perché ha una famiglia numerosa (moglie e quattro figli).

  Nel 1843 il suo Wild West Show, precorritore di quello di Buffalo Bill, gira l’Inghilterra, dapprima con nove Ojibwa, poi con quattordici Iowa

Nel 1844 pubblica: The North American Indian Portfolio of Hunting Scenes and Amusements

Nel 1845 la Gallery va a Parigi. Re Luigi Filippo, che tra il 1797 e il 1800 era stato in America percorrendo Ohio e Mississipi, concede una galleria del Louvre per lo show

Muore la moglie Clara. 

Per Versailles dipingerà quindici ritratti di indiani. 

L’anno dopo Catlin si sposta in Belgio, ma la morte per vaiolo di tre indiani lo costringe a fermare tutto. 

Torna povero a Parigi, sempre sperando che il Congresso compri la collezione. In quest’anno morirà anche il figlio. Nel 1848 una sommossa popolare costringe il re ad abdicare. Perciò il suo lavoro non sarà pagato. Inoltre ha lo studio devastato, poiché noti sono i suoi rapporti con il re. 

Torna quindi con le tre figlie nuovamente a Londra, Gradatamente diventa sordo.

  Nel 1852 per un solo voto la proposta di acquisto dell’Indian Gallery è respinta al Congresso. I debitori incalzano. Il cognato porta via le sue figlie. Infine un industriale di Filadelfia salderà tutti i debiti in cambio della collezione. 

Prostrato Catlin torna a Parigi, Qui, nella Bibliothèque Impérial, un viaggiatore gli descriverà le miniere d’oro del Brasile. Parte così per il Sud America…

  Morirà a Washington nel 1872. 

Nel 1879 la collezione Catlin viene regalata alla Smithsonian.

Da: COMPANION BOOK DI NEL WEST. CONQUISTADORES, ESPLORATORI, NATURALISTI, ARCHEOLOGI, ETNOLOGI ALLA SCOPERTA DELL’OVEST AMERICANO, E-Book e versione cartacea (108 pp., 47 foto, 35 note)


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Versione cartacea: https://www.amazon.it/dp/1520532458


SOMMARIO

PREMESSA: Ecco i primi personaggi: 

un conquistador spagnolo, due militari-esploratori, due pittori (il primo sarà un famoso ornitologo, l’altro un celebre etnografo), un geologo-esploratore-etnografo. 

Otto etnologi e/o antropologi culturali, un archeologo, un’appassionata divulgatrice della propria cultura indiana

Francisco Vásquez de Coronado (1510-1554)

Meriwether Lewis (1774-1809) e William Clark (1770-1838)

John James Audubon (1785-1851)

George Catlin (1796-1872)

John Wesley Powell (1834-1902)

Frank Hamilton Cushing (1857-1900)

Frederick Webb Hodge (1864-1956)

Frances Theresa Densmore (1867-1957)

Robert Lowie (1883-1957)

Gladys Amanda Reichard (1893-1955)

Ralph Linton (1893-1953)

Clyde Kay Maben Kluckhohn (1905-1960)

Laura Maud Thompson (1905-2000)

Fred Eggan (1906-1991)

Rosebud Yellow Robe (1907-1992)

BIBLIOGRAFIA

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PAGINA AUTORE ITALIA;

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