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domenica 11 dicembre 2022

77. UN RACCONTO ESOTICO-ETNOLOGICO GIOVANILE: OTTAVA PUNTATA (DRAMMA DELLA GELOSIA! TRAGEDIA SFIORATA AL NORFOLK HOTEL)

Il Norfolk Hotel di Nairobi all'inizio degli anni '1980

A sedici anni (1962-63) ho scritto il mio unico romanzo. Purtroppo è rimasto incompiuto... Il protagonista è un etnologo italiano, poiché allora ero attratto dall'Etnologia. Oltre a raccontare anche dell'amore tra lui e un'affascinante, ma molto gelosa, donna, basandomi sulla letteratura di viaggio ed etno-antropologica in mio possesso (e sulle ricerche  effettuate nelle Biblioteche dell'Istituto Italo-Africano e del Museo Pigorini, al Collegio Romano), ho cercato di descrivere l'ambiente tropicale, la fauna, alcuni popoli.  Ho anche lasciato inalterato il testo. 

[precedenti 7 puntate: 23 settembre; 3, 8, 15, 23, 31. ottobre; 2 novembre, oltre all'integrazione del 22 novembre] 

MENTRE I CONIUGI INGLESI EFFETTUANO LA VISITA MATTUTINA DI NAIROBI…

AL NORFOLK HOTEL, DOPO IL CONTROLLO DEI BAGAGLI E LA TELEFONATA AL “CACCIATORE BIANCO”…

Suonarono alla porta. Giorgio lasciò il telefono e i suoi pensieri, per andare ad aprire. Quella mattina non aspettava nessuno. Disse tra sé, mentre a grandi falcate si avvicinava all’uscio. Sarà forse il dottor Johnson, che mi vuol ragguagliare sulla rissa di ieri notte. Boh?

Aprì la porta e la faccia si illuminò per i raggi del sole, ma anche per lo stupore. Sulla piccola veranda, intenta a fumare una sigaretta americana, c’era una ragazza di circa 21-22 anni. Non molto alta. Anzi, si potrebbe definirla piccolina, ma ben proporzionata. Un “gingillo” da salotto, una bamboletta. Con i capelli rossi, per la maggior parte nascosti da un foulard verde, che le lasciava sulla fronte due ampie ciocche di capelli. Aveva due grandissimi occhi verdi. Una bella bocca, un bel nasino e un mento non molto pronunciato con la caratteristica fossetta. Indubbiamente era assai carina.

La bamboletta indossava un paio di calzoni rossi, che non lasciavano molto spazio all’immaginazione, poiché risaltavano le armoniose curve del suo corpo. Oltre tutto portava una maglietta aperta sul collo.

- “Ciao Giorgio. È parecchio tempo che non ci si vede, non ti sembra? Non restare così imbambolato. Va bene che non… avresti mai pensato di rivedermi ancora, da quella volta, e, quindi, si può ritenere legittimo il tuo stupore” – proseguì la ragazza con fare sprezzante

- “Va bene che per te non conto ormai più nulla. Va bene che mi consideri molto stupida, ma io mi ricorderò sempre quel giorno!”

- “Senti”, rispose con voce ansimante e piuttosto affannata l’italiano, visibilmente provato dall’inaspettato incontro, che non gli andava certo a genio (sudava e non sapeva più come comportarsi, dove tenere le proprie mani, che andavano nervosamente dal collo alla camicia, all’orologio, alla tasca).

Senti, ormai è acqua passata. È trascorso più di un anno da quella volta e io… io…IO, mi sono pentito molto. Tu non ci crederai, ma mi sono pentito! Già ti porsi allora le mie scuse, e poi…

- “E poi te ne andasti la mattina presto, lasciandomi nei guai, col rischio che mi beccasse la polizia, che i miei genitori mi cacciassero di casa, senza un soldo. Tanto da costringermi a fare la sgualdrina. E' questo che volevi dire, no?! Non è questo? Avanti. Voglio vedere quali sono le tue sfrontatezze, che ancora una volta vuoi darmi a bere. Avanti… Parla!”

- “Senti Kathy, cerca di ascoltarmi, non fare così, che mi rendi più nervoso di quello che già sono “-, disse Giorgio con voce ancora più sommessa, “E’ acqua passata…”

- “Perché, tu credi che io non sia nervosa, che abbia trascorso tutti questi giorni (e sono tanti) come rose e fiori”, rispose, alzando sempre più la voce, quasi gridando.

Ora era paonazza in viso. Alla ragazza cadde in terra il fazzoletto, mentre la massa dei capelli, che sembravano ancora più rossi, si sciolsero sulle sue spalle.

I suoi occhi “acquamarina” si muovevano, fissando sia lui, sia la porta, che tutto intorno. Saettando da una parte all’altra.

Giorgio sudava sempre più. Il liquido gelato gli colava giù per la faccia, per il collo. La sua camicia color kaki era tutta bagnata.

- “Kathy, cerca di abbassare la voce, non fare così, vuoi rovinarmi? Vuoi che tutta Nairobi sappia?”

La ragazza adesso si era zittita, ma era solo la quiete, che precede la tempesta. Infatti, guardandolo fissamente negli occhi:

- “Me la pagherai… sporca carogna!”.

Velocemente mise la mano destra in tasca, estraendo una piccola pistola, che gli puntò contro. Era del tipo che una volta le signore  portavano elegantemente nella borsetta, quando andavano ai cocktail parties e che avrebbero anche usato per difendersi, all’epoca dei Mau Mau.

Il giardino del Fairmont The Norfolk Hotel, 2019
(CC, Some rights reserved, Pi3.124)
 


- “Entra dentro, Giorgio”, disse con voce calma. “Entra dentro il villino”.

- “Non fare la stupida, Kathy, non scherzare con la pistola. Metti via quell’arma. Vuoi che succeda qualcosa di brutto? Non stiamo in Sicilia! Smettila!”

- “Stai zitto ed entra”.

Facendo buon gioco a cattiva sorte, Giorgio accondiscese ed entrò, seguito dalla ragazza, che teneva sempre puntata la pistola alla schiena dell’italiano.

. “Va in camera da letto”.

- “Senti, basta ora! Sei diventata tutto ad un tratto pazza?”

- “Può darsi, ma non è tuo diritto giudicare. Avanti, cammina o ti devo fare il solletico con la canna? Guarda che sono molto nervosa e non si sa mai se ti uccido adesso, o dopo…”

Giorgio entrò nella camera, sempre voltando le spalle alla ragazza.

- “Accomodati come meglio puoi sul divano, che ora ti voglio rinfrescare la memoria, poiché la dovresti avere assai annebbiata”. -“Incomincerò dal principio, Vuoi? O è meglio iniziare da quello che viene dopo? Come preferisci? Per me è lo stesso…”

- “Senti Kathy, cerca di ragionare, posa quell’arma e vattene. Anch’io tra un po’ di giorni me ne andrò e…”

- “Chi s’è visto, s’è visto! Troppo comodo, mio caro. Ora hai davanti a te quella stupidella che violentasti. Non ha paura? Se premo il grilletto vai nel mondo dei più in poco tempo. 

Stai tranquillo, che mi ucciderò anche io. Non voglio rischiare l’impiccagione o, se le cose vanno bene, se trovo un azzeccagarbugli abbastanza bravo, me la posso cavare con una bella ventina di anni di carcere ed esco ormai vecchia. Un pezzo da museo e nient’altro. Tu mi hai rovinata. Hai fatto di me una cosa da poter usare ed adoperare al momento adatto, per poi buttarla via”.

- “Senti, Cerchiamo di ridimensionare il fatto. Tentiamo di riportare le cose alla loro giusta dimensione. È passato un anno, e quella notte mi ero talmente ubriacato da non capire più niente. Avevo la mente annebbiata e tu fosti così gentile da accompagnarmi all’albergo. Proprio qui, proprio in questa stanza”,

- “Gentilezza male ripagata!”

- “Quella notte, ti giuro, non capivo niente. Comprendevo solo che nella mia stanza c’era una ragazza e che era molto bella… È stata una ragazzata! O forse non proprio?”

- “E tu da maiale ne approfittasti, ma ora sono io ad avere il coltello dalla parte del manico, mio caro…

- “Non dire mio caro, per favore. La mattina dopo, quando mi resi conto di quello che avevo fatto, mi scusai moltissimo, ero davvero dispiaciutissimo, se non ricordo male…”

- “Fu molto bello da parte tua. Chiudi la stalla quando già sono usciti i buoi. Resta il fatto che mi hai disonorata e quindi devi morire!

. “Non fare la pazza”, urlò Giorgio

Kathy tolse in pochissimo tempo la sicura e premette il grilletto. Un colpo rintronò nella stanza semi buia, che si riempi subito di fumo.

Giorgio, che aveva avuto la prontezza di spirito di buttarsi da un lato, riuscendo ad evitare il colpo, che poteva essere mortale, in qualche modo cercò di distrarla.

- “Ancora non sei morto, hai più vite di un gatto, ma ora vedrai…”

Prima che potesse premere il grilletto per la seconda volta, Giorgio si buttò selvaggiamente su di lei e con una mossa repentina le fece cadere sul pavimento la pistola, che ormai sembrava inoffensiva.

Giorgio teneva molto stretto il braccio destro di Kathy, mentre con l’altra mano la teneva per il collo. Kathy cercò di divincolarsi per cercare di afferrare la pistola. Non ci riuscì. Così con la bocca si avventò  contro la mano, che le teneva il collo, mordendola con tutta la forza possibile.

 -“Ah, sei peggio di una cagna – Giorgio cercò di estrarre la mano dai suoi denti. Riuscendoci. Poi con una mossa di judo la scaraventò a terra. La mano sinistra sanguinava molto, sporcando la pelle di leone, che nella concitazione era stata gettata da una parte.

- “Speriamo che ne hai finalmente abbastanza”, fece lui.

Kathy ormai non opponeva più resistenza. Giorgio lasciò la presa. Cercò un fazzoletto e ripose la rivoltella in un cassetto. La ragazza, ora inerte sul pavimento, non dava più apparenti segni di vita, salvo che per il suo pianto sommesso. Piangeva a singhiozzi, istericamente.

-“Sei riuscito a farmela anche questa volta… Sei… Stato più… furbo… di me. Dovevi morire…”

- “Calmati, vuoi che ti faccio portare qualche cosa?  Adesso ti tranquillizzi. Vedrai che tra un po’ non avrai più niente”.

- “Non voglio niente, hai capito, non voglio niente”, e si rimise a piangere.

La sollevò dal pavimento con la mano destra e l’adagiò sul letto.

Andò nel bagno e si pulì accuratamente la ferita, che non solo era piuttosto profonda, ma era del tutto evidente che era stata provocata da una morsicatura, certamente non da parte di un cane...

Aprì l’armadietto dei medicinali, prese cerotti e spirito.

Dopo aver medicato al meglio la ferita, ritornò in camera. Kathy stava ancora piangendo, ma adesso più flebilmente, sommessamente. Guardò l’ora, era l’una e mezzo, l’ora concordata per il pranzo con i due inglesi.

Affinché nessuno si potesse preoccupare e decidesse di mandare qualcuno a chiamarlo, telefonò alla hall per avvertire che avrebbe tardato un po’. La verifica dei bagagli aveva richiesto più tempo del previsto.

Accese le luci. Il viso di lei era bagnato dalle lacrime. Non piangeva più. Gli occhi verdi, lucidi di Kathy lo stavano guardando. Si avvicinò e, preso un altro fazzoletto, si chinò per asciugarle il viso come meglio poteva .

- “E’ meglio che ti vai a lavare”, le disse.

L’aiutò ad alzarsi e mentre lei si lavava, andò a guardare che fine avesse fatto la pallottola. Nella parete, dalla parte del divano, si era formato un buco. La pallottola, perforante, non aveva avuto buon gioco su quel materiale duro. Si era inutilmente schiacciata, piombando sui cuscini. La raccolse. Cercò il bossolo. Era vicino al letto. Raccolse anche quello.

- Come me ne posso sbarazzare, pensò. Non nella spazzatura, che potrebbero essere scovate da qualche boy curioso . È meglio che le riponga nel mio bagaglio.  Me ne disferò domani.

Ah! Il colpo che era rintronato nella stanza? Speriamo che nessuno l’abbia sentito. Forse… Sì, bravo Johnson, che mi ha dato questo villino, che è il più appartato che ci sia al Norfolk. Del resto, se l’avessero udito, qualcuno sarebbe certo venuto a curiosare. Magari sarebbe stata addirittura avvertita la polizia, ed allora addio Turkana…

La porta del bagno si spalancò. Kathy venne verso di lui. Lo salutò con pochi monosillabi. non sembrava più che, fino a poco tempo prima, i suoi begli occhi verdi avessero pianto come le cascate del Niagara. Si era rimessa a posto il leggero trucco che portava e si avviò verso il soggiorno. Raccolse il suo foulard e si allontanò. Nel nulla! Così come era venuta…. 




 

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