“Ciò che distingueva il “Cannibale” dai membri di tutte le altre società religiose era la sua passione per la carne umana. Si gettava sugli spettatori mordendoli e strappando bocconi di carne dalle loro braccia. La sua danza era quella di un folle inebriato dal “cibo”, un cadavere preparato in precedenza, che gli veniva recato da una donna sulle braccia tese. Nelle grandi occasioni i “Cannibali” mangiavamo i corpi di schiavi uccisi a questo scopo” [Benedict, 1960: 181]. Come accadde a Fort Rupert, nel nord dell’isola di Vancouver, nella seconda metà dell’ottocento [Vedi nota n. 115]. L’antropologo Franz Boas ascoltò il racconto di un indiano, che era stato testimone di un altro raccapricciante episodio: “una schiava doveva ballare davanti agli Hāma’tsa. Prima di cominciare esclamò: “Non abbiate fame, non mangiatemi!” Nello stesso momento il suo padrone che le stava dietro l’uccise con un colpo d’accetta sul cranio. Poi gli Hāma’tsa la mangiarono. Lo stesso indiano spiegò che era difficilissimo mangiare carne umana fresca. Molto più difficile che mangiare salme essiccate” [Volhard, 1949: 377]. Solo dopo aver bevuto sangue umano si diventa infatti membro della Società segreta, anche se il primo “pasto” verrà consumato in gran segretezza assieme agli altri Hāma’tsa. In tal modo sarà in grado di aggiungere teschi umani in legno alla propria maschera. Nel XIX secolo Jacobsen, collezionista di oggetti etnografici per conto del Museo di Berlino, vide maschere Hāma’tsa con almeno otto teschi...[Volhard, 1949: 380].
Una foto realmente terribile! Un Hāma’tsa Kwakiutl si predispone a mangiare la “mummia” legata in posizione fetale (Foto Edward S. Curtis, ca. 1911, Library of Congress) |
“Poiché i Kwakiutl avevano un forte
timore dei morti e la gente in condizione normale era disgustata da questo
atto, era evidente che esso poteva essere compiuto solo quando l’Hāma’tsa era
posseduto dagli spiriti” [Bancroft-Hunt, 1979: 116]. “Proprio la
ripugnanza dei Kwakiutl per la carne umana faceva del cannibalismo una compiuta
espressione della virtù dionisiaca insita nel terribile e nel proibito” [Benedict, 1960: 182-183].
In proposito i membri di questa società
hanno avuto nel tempo due modalità: mangiare uno schiavo, o “cibarsi” di una
salma. In quest’ultimo caso erano sostanzialmente degli endocannibali [Panoff e Perrin nel
loro dizionario rilevano come sia un cannibalismo in cui la vittima è un membro
dello stesso gruppo, del quale si mangiano le ossa bruciate, ridotte in polvere
(Panoff-Perrin, 1975: 53). L’esocannibalismo è invece il cannibalismo per necessità
o per gusto [o “bellico”, aggiungo io]. Ma gli Indiani del Nord-Ovest, pescatori per
definizione, in particolare di salmoni, non avevano certo alcun bisogno di
integrare la loro dieta… Poiché, anche se non ingerivano le ceneri dei parenti
defunti [Endocannibalismo
praticato tuttora nel mondo da diversi gruppi umani, tra cui le tribù indie
dell’Amazzonia. Come gli Yanoáma (oggi Yanomami) localizzati tra Venezuela e
Brasile (Biocca, 1969: 226-240)], cosa forse ben più raccapricciante
prendevano un boccone di un cadavere ormai mummificato, essendo trascorsi dalla
sua morte almeno uno-due anni [I Kwakiutl esponevano i
loro morti in una cassa appesa agli alberi. Dopo un lungo rito, la salma veniva
preparata dall’Heliga, uno sciamano (Boas, 1893: 72). Poi l’Hāma’tsa
l’affumicherà, accendendo un fuoco]. Anche se subito dopo assumevano un emetico
per vomitare.
L’iniziazione del nuovo Hāma’tsa dura ca. quattro anni [Sintetizzo qui le fasi
del rituale “pubblico”, poiché l’intera procedura è ben più elaborata e
complessa].
Negli ultimi quattro mesi il giyakila (novizio) va a nascondersi nudo
nei boschi [Nonostante
la latitudine, gli Indiani del Nord-Ovest erano nudi. Specialmente in estate,
durante il lavoro o nel corso di alcune danze. In inverno gli uomini si
coprivano con mantelli di pelli o di scorza di cedro. Lo stesso facevano le
donne, che vi aggiungevano un ampio grembiule. Va anche ricordato come i
settentrionali Chilkat Tlingit tessessero pregiate coperte con corteccia di
cedro e lana di capra, caratterizzate da una tavola dipinta, che rappresentava
gli stemmi di clan o lignaggi. Ricercatissime in tutta la regione, presto
diventarono una vera e propria moneta di scambio intertribale], coperto solo da
diversi “anelli di corteccia di cedro, realizzati appositamente per
l'occasione, che passa sotto il braccio sinistro e sopra la spalla destra” [Jacobsen, 2010]. Si ritiene che sia
stato portato nella dimora di Bagbakualanasinae (“Il
Cannibale-dell’Estremo-Nord-del Mondo”), cioè lo Spirito Cannibale.
Invece si trova a non molta distanza da casa, dove riceve precise istruzioni
dalla società sui corretti comportamenti da seguire.
Trascorso il periodo di isolamento, quando
gli abitanti del villaggio sentono il grido “Hap! Hap!” ripetuto più volte, capiscono che
il cannibale sta tornando e cercano di fuggire, per non essere morsicati da
lui, che è in pieno furore estatico. Ma ci sarà sempre qualcuno che non
riuscirà a sfuggirgli! Almeno all’inizio del XX secolo, l’Hāma’tsa si
limiterà a provocare con i denti piccole escoriazioni, per succhiare quanto più
sangue possibile [Volhard,
1949: 377. Comunque lo sfortunato sarà ricompensato con quaranta coperte
Chilkat (Jacobsen, 1983 (1884): 30)].
A questo punto l’Hāma’tsa è
titubante, poiché ancora non si decide ad entrare nella “grande casa”, dove
l’attendono i vecchi Hāma’tsa, che vi si sono precipitati dentro nudi e
dove si svolgerà il rito principale e segreto.
L’Hāma’tsa, comunque, continua sempre più ad avvicinarsi. Accompagnato dall’assistente Kinqalalala, una parente, anch’essa nuda. Indossa una maschera e sulle braccia tiene un cadavere o la sua effigie, che raffigura “la schiava del mito di origine che attirava gli uomini nella casa di Bagbakualanasinae e poi li uccideva per il suo padrone” [Bancroft-Hunt, 1979: 114].
La Kinqalalala per calmare l’eccitazione del novizio ad un certo momento inizia a danzare. Indietreggiando lentamente verso la porta, in modo da portarlo all’interno. Infine l’aspirante Hāma’tsa entra nella casa…
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