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mercoledì 9 febbraio 2022

11. LA “SOCIETÀ DEI CANNIBALI”: GLI HĀMA'TSA (INDIANI KWAKIUTL - OGGI KWAKWAKA’WAKW - , COLOMBIA BRITANNICA, CANADA)

Un Kwakiutl della banda Nakoaktok (oggi Nak'waxda'xw) in costume Hāma’tsa senza maschera, ca. 1910 (foto Edward S. Curtis, Library of Congress)

Tra i Kwakiutl esistevano “società segrete”, anche conosciute come “Società di Danza”, “ciascuna delle quali caratterizzata da un certo numero di posizioni di danza classificate in ordine di importanza” [Bancroft-Hunt, 1979: 110]. Le più importanti erano quelle degli Sciamani e dei Dluwulaxa, “Quelli-che-discendono-dai-cieli”. La più potente era però la terza, quella degli Hāma'tsa, la “Società dei Cannibali”, alla quale potevano appartenere solo i capi e le persone di alto lignaggio.

Membri della Società del Lupo dei Kwakiutl (Kwakwaka'wakw) danzano in una “grande casa” (da: Franz Boas, 1897, “ The social organization and the secret societies of the Kwakiutl Indians”, Annual Report, US National Museum,  313-738)

   “Ciò che distingueva il “Cannibale” dai membri di tutte le altre società religiose era la sua passione per la carne umana. Si gettava sugli spettatori mordendoli e strappando bocconi di carne dalle loro braccia. La sua danza era quella di un folle inebriato dal “cibo”, un cadavere preparato in precedenza, che gli veniva recato da una donna sulle braccia tese. Nelle grandi occasioni i “Cannibali” mangiavamo i corpi di schiavi uccisi a questo scopo” [Benedict, 1960: 181]. Come accadde a Fort Rupert, nel nord dell’isola di Vancouver, nella seconda metà dell’ottocento [Vedi nota n. 115]. L’antropologo Franz Boas ascoltò il racconto di un indiano, che era stato testimone di un altro raccapricciante episodio: “una schiava doveva ballare davanti agli Hāma’tsa. Prima di cominciare esclamò: “Non abbiate fame, non mangiatemi!” Nello stesso momento il suo padrone che le stava dietro l’uccise con un colpo d’accetta sul cranio. Poi gli Hāma’tsa la mangiarono. Lo stesso indiano spiegò che era difficilissimo mangiare carne umana fresca. Molto più difficile che mangiare salme essiccate” [Volhard, 1949: 377]. Solo dopo aver bevuto sangue umano si diventa infatti membro della Società segreta, anche se il primo “pasto” verrà consumato in gran segretezza assieme agli altri Hāma’tsa. In tal modo sarà in grado di aggiungere teschi umani in legno alla propria maschera. Nel XIX secolo Jacobsen, collezionista di oggetti etnografici per conto del Museo di Berlino, vide maschere Hāma’tsa con almeno otto teschi...[Volhard, 1949: 380].


Una foto realmente terribile! Un Hāma’tsa Kwakiutl si predispone a mangiare la “mummia” legata in posizione fetale (Foto Edward S. Curtis, ca. 1911, Library of Congress)

   Poiché i Kwakiutl avevano un forte timore dei morti e la gente in condizione normale era disgustata da questo atto, era evidente che esso poteva essere compiuto solo quando l’Hāma’tsa era posseduto dagli spiriti” [Bancroft-Hunt, 1979: 116]. “Proprio la ripugnanza dei Kwakiutl per la carne umana faceva del cannibalismo una compiuta espressione della virtù dionisiaca insita nel terribile e nel proibito” [Benedict, 1960: 182-183].

   In proposito i membri di questa società hanno avuto nel tempo due modalità: mangiare uno schiavo, o “cibarsi” di una salma. In quest’ultimo caso erano sostanzialmente degli endocannibali [Panoff e Perrin nel loro dizionario rilevano come sia un cannibalismo in cui la vittima è un membro dello stesso gruppo, del quale si mangiano le ossa bruciate, ridotte in polvere (Panoff-Perrin, 1975: 53). L’esocannibalismo è invece il cannibalismo per necessità o per gusto [o “bellico”, aggiungo io]. Ma gli Indiani del Nord-Ovest, pescatori per definizione, in particolare di salmoni, non avevano certo alcun bisogno di integrare la loro dieta… Poiché, anche se non ingerivano le ceneri dei parenti defunti [Endocannibalismo praticato tuttora nel mondo da diversi gruppi umani, tra cui le tribù indie dell’Amazzonia. Come gli Yanoáma (oggi Yanomami) localizzati tra Venezuela e Brasile (Biocca, 1969: 226-240)], cosa forse ben più raccapricciante prendevano un boccone di un cadavere ormai mummificato, essendo trascorsi dalla sua morte almeno uno-due anni [I Kwakiutl esponevano i loro morti in una cassa appesa agli alberi. Dopo un lungo rito, la salma veniva preparata dall’Heliga, uno sciamano (Boas, 1893: 72). Poi l’Hāma’tsa l’affumicherà, accendendo un fuoco]. Anche se subito dopo assumevano un emetico per vomitare.

   L’iniziazione del nuovo Hāma’tsa dura ca. quattro anni [Sintetizzo qui le fasi del rituale “pubblico”, poiché l’intera procedura è ben più elaborata e complessa]. Negli ultimi quattro mesi il giyakila (novizio) va a nascondersi nudo nei boschi [Nonostante la latitudine, gli Indiani del Nord-Ovest erano nudi. Specialmente in estate, durante il lavoro o nel corso di alcune danze. In inverno gli uomini si coprivano con mantelli di pelli o di scorza di cedro. Lo stesso facevano le donne, che vi aggiungevano un ampio grembiule. Va anche ricordato come i settentrionali Chilkat Tlingit tessessero pregiate coperte con corteccia di cedro e lana di capra, caratterizzate da una tavola dipinta, che rappresentava gli stemmi di clan o lignaggi. Ricercatissime in tutta la regione, presto diventarono una vera e propria moneta di scambio intertribale], coperto solo da diversi “anelli di corteccia di cedro, realizzati appositamente per l'occasione, che passa sotto il braccio sinistro e sopra la spalla destra” [Jacobsen, 2010]. Si ritiene che sia stato portato nella dimora di Bagbakualanasinae (“Il Cannibale-dell’Estremo-Nord-del Mondo”), cioè lo Spirito Cannibale. Invece si trova a non molta distanza da casa, dove riceve precise istruzioni dalla società sui corretti comportamenti da seguire.

   Trascorso il periodo di isolamento, quando gli abitanti del villaggio sentono il grido “Hap!  Hap!” ripetuto più volte, capiscono che il cannibale sta tornando e cercano di fuggire, per non essere morsicati da lui, che è in pieno furore estatico. Ma ci sarà sempre qualcuno che non riuscirà a sfuggirgli! Almeno all’inizio del XX secolo, l’Hāma’tsa si limiterà a provocare con i denti piccole escoriazioni, per succhiare quanto più sangue possibile [Volhard, 1949: 377. Comunque lo sfortunato sarà ricompensato con quaranta coperte Chilkat (Jacobsen, 1983 (1884): 30)].

   A questo punto l’Hāma’tsa è titubante, poiché ancora non si decide ad entrare nella “grande casa”, dove l’attendono i vecchi Hāma’tsa, che vi si sono precipitati dentro nudi e dove si svolgerà il rito principale e segreto.

   L’Hāma’tsa, comunque, continua sempre più ad avvicinarsi. Accompagnato dall’assistente Kinqalalala, una parente, anch’essa nuda. Indossa una maschera e sulle braccia tiene un cadavere o la sua effigie, che raffigura “la schiava del mito di origine che attirava gli uomini nella casa di Bagbakualanasinae e poi li uccideva per il suo padrone” [Bancroft-Hunt, 1979: 114]. 

La Kinqalalala per calmare l’eccitazione del novizio ad un certo momento inizia a danzare. Indietreggiando lentamente verso la porta, in modo da portarlo all’interno. Infine l’aspirante Hāma’tsa entra nella casa…


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