Il "tetto di prato" dell'albergo Føroyar viene regolarmente innaffiato. Si scorge la
parte orientale della città di Tórshavn. Al di là della montagna si trova l'antico centro
vichingo di Kirkjubøur (© Franco Pelliccioni) |
PREMESSA; INTRODUZIONE; GEOGRAFIA, CLIMA, NATURA; STORIA; DEMOGRAFIA, ANTROPOLOGIA (FISICA); LINGUA E CULTURA DI UNA NAZIONE-COMUNITA’; ECONOMIA: IL PESCE, L'«ORO» DELLE FÆR ØER. UNA SOCIETÀ COSTRUITA SULLA PESCA; IERI: LA GRANDE CRISI DEGLI ANNI '1990; OGGI: UNA RINASCITA SCANDITA DAL “VERDE”; IL “PORTO DEL DIO TOR”, TÓRSHAVN, CAPITALE DELLE FÆR ØER; IL CATTOLICESIMO NELLE ISOLE; UN’ESCURSIONE NELLE ISOLE DI STREYMOY ED EYSTUROY; VÁGUR (LA "BAIA"), COMUNITÀ DI PESCATORI DELLA LONTANA ISOLA MERIDIONALE DI SUÐUROY; RITORNO A TOR E, POI, A COPENHAGEN; APPENDICE (Corsari e pirati nordafricani, francesi, inglesi, irlandesi; L’isola che “non c’è”: la remota Mykines); BIBLIOGRAFIA, CARTE
Dal diario di viaggio
“A causa delle inevitabili complicazioni derivanti dall’uso dei traghetti, ho deciso di limitare la conoscenza delle isole centrali dell’arcipelago a quelle più importanti, tra loro collegate da un ponte: Streymoy, dove mi trovo, ed Eysturoy.
Interessanti, sia dal punto di vista ecologico e naturalistico, che etno-antropologico e storico. Noleggiata senza problemi una macchina (...) seguo la costiera orientale di Streymoy sulla 52, per poi imboccare il mio primo tunnel, che mi porta nei pressi di Kollafiorður, nell’omonimo fiordo.
Isola di Streymoy: la vecchia stazione baleniera di Við Áir, l'ottocentesca chiesa nera di Hvalvík, cascata di Fossá
Continuo, quindi, sulla 594 per Hósvik e, poi, Við Áir. Qui c’era l’ultima stazione baleniera delle isole.
Infine ecco Hvalvík, con la sua chiesa nera, la più vecchia delle Fær Øer (1829), dopo quella di St. Olav, a Kirkjubøur.
(..) Proseguendo, prima fotografo il villaggio di Svináir, sull’altra sponda dello stretto di Sundini, poi sulla sinistra Fossá, la cascata più alta dell’arcipelago (...).
La "solare" Tjørnuvik, i faraglioni gemelli di Risin e Kellingin
Ad Haldarsvík, nei pressi di un ponte, fotografo un tjaldur. Infine ecco la mia prima meta, Tjørnuvik.
E’ di fronte all’oceano aperto, incastonata in un bell’anfiteatro montuoso e, soprattutto, premiata da uno splendido sole. Qui, dopo aver osservato qualcuno che, molto coraggiosamente, fa il bagno, di fronte all’isola di Eysturoy, a non moltissima distanza da me, vedo i faraglioni gemelli di Risin (il “gigante”, alto 71 m) e di Kellingin (la “strega”, 68 m).
Li fotografo con il teleobiettivo. Nella parte orientale della valle di Tjørnuvik, sono state trovate sepolture vichinghe, ma anche polline di coltivazioni anteriori all’arrivo vichingo (...)
Isola di Eysturoy: Eiði (chiesa con modelli di navi sul soffitto come ex voto)
(...) Seguendo la 62, mi dirigo nuovamente verso nord, raggiungendo il villaggio di Eiði.
Qui visito la chiesa del 1881 e fotografo i due modelli di imbarcazioni a vela, che pendono dal soffitto, uno per lato, con i bompressi rivolti verso l’altare.
Attaverso l'interno montuoso, percorro il tratto più pericoloso dell'intero viaggio: strada stretta, ad una sola corsia, con forte pendenza e piano non perfettamente orizzontale. Precipizi e scarpate sono tutti intorno e sotto di me, c'è poca luce e raffiche di vento scuotono la macchina
Poi lascio la costa, per inoltrarmi con la 662 nell’interno montuoso. La strada è stretta, ad una sola corsia.
Di tanto in tanto caratterizzata da modestissimi slarghi, per consentire il passaggio ai veicoli, che procedono in senso contrario. Pochissimi sono i guard rails.
Non sapevo, allora, che questo sarebbe stato il tratto più “pericoloso” dell’intero viaggio.
Per la forte pendenza, in ascesa e in discesa, solo parzialmente mitigata da numerosi tornanti.
Con precipizi e scarpate, tutti intorno e sotto di me. Oltre tutto viaggiando su una sede stradale, il cui piano non sempre è perfetto. Anzi... Per cui a tutti i costi cerco di non distrarmi. Inoltre la luce del giorno tende a diventare sempre più fioca, per la forte nuvolosità. Almeno non c’è la nebbia, che giocoforza mi avrebbe costretto a fermarmi sulla montagna, non si sa per quanto tempo!
Ormai il sole di Tjørnuvik è solo un pallido ricordo! Le forti raffiche di vento, che senza pietà colpiscono l’automobile, facendola oscillare, di certo non aiutano.
Nonostante sia cupo e orrido, il panorama che, via via, si presenta davanti ai miei occhi, ha un suo indubbio e tenebroso fascino…
Così, in una curva, forse affrontata non con troppa accortezza, probabilmente distratto da ciò che vedo, la macchina sbanda, va leggermente fuori strada.
Per una frazione di secondo temo che per me sia finita…
Invece riesco a riprendere il controllo e a fermarmi!
Dopo di allora, per ammirare e fotografare l’incredibile scenario, mi arresterò un paio di volte. [Una volta a Tor scopro che la strada passa accanto al monte più alto dell’arcipelago, lo Slættaratindur (882 m)].
Il villaggio di Gjógv, considerato il più bello dell'arcipelago
Quindi sulla più “umana” 632 (anche se la strada è sempre stretta, c’è un passo montano da superare, ma minore è l’altitudine media ed è anche meno tortuosa) proseguo fino alla mia nuova meta, Gjógv. Considerato il più bel villaggio delle Fær Øer, si trova in fondo ad una gola collegata al mare, lunga 188 m, dove osservo i binari dell’unica micro-ferrovia dell’arcipelago. Nei pressi c’è una chiesa del 1929.
Fotografo un monumento, che ricorda gli isolani scomparsi in mare. Ancora una volta torno sui miei passi.
Funningur dove, dopo l'anno 800, sbarcò il primo vichingo
Raggiunta Funningur, dove dopo l'anno 800 sbarcò Grímur Kamban, il primo vichingo, proseguo ancora grazie alla 662 (...).
A Tórshavn l'incredibile spettacolo di un tetto di prato, che oscilla al vento, e che viene debitamente annaffiato...
Una volta a Tor, ho ancora tempo (e la luce) per fermarmi davanti al lungo edificio dell’Hotel Føroyar, parallelo a Tórshavn e all’oceano (...) .
E’ l’albergo più lussuoso delle Fær Øer, ma non è questo che mi attrae (...) .
Perché, mentre sono intento ad ammirare dall’alto il panorama dell’immensa baia di Tórshavn, gli innaffiatori, che mai avrei potuto immaginare si potessero trovare sopra il tetto di prato, cominciano incredibilmente ad innaffiarlo.
Mentre l’onnipresente e instancabile vento fa oscillare i ciuffi d’erba…"
....
"IL TITOLO DEL MIO LIBRO È UN OMAGGIO A QUESTO
PAESAGGIO UNICO, DOVE I TETTI SEMBRANO DANZARE AL RITMO DEL VENTO..."
....
Da: VIAGGIO NELLE ATLANTICHE ISOLE FÆR ØER. IL PAESE DAI TETTI DI PRATO, CHE ONDEGGIANO AL VENTO
E-Book, versione cartacea a colori e in bianco e nero: 182 pp, 271 note, 180 immagini (139 sono mie)
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