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mercoledì 19 giugno 2024

148 BIS. BALENE E BALENIERI, TRA NORD ATLANTICO, PACIFICO SETTENTRIONALE, MAR GLACIALE ARTICO. VAGABONDAGGI ALLA RICERCA DELLE TESTIMONIANZE DELL’ERA DELLA CACCIA ALLE BALENE

 

La bocca di una Finner Whale (Balaenoptera physalus). Stazione baleniera di Colla Firth, Shetland, 1904
(foto W. G. Burn Murdoch, da: Modern Whaling & Bear-Hunting…1917) 

Premessa

Per molti anni (dal 1995 al 2012) ho collaborato alla storica Rivista Marittima, pubblicando anche un supplemento sull’isola di Creta, oltre che al Notiziario della Marina. Inoltre sono stato onorato più volte dei Patrocini che lo Stato Maggiore della Marina Militare mi ha concesso per le ricerche condotte in Atlantico (tra il 1982 e il 1998), nell’ambito del mio Programma sulle Comunità Marittime dell’Atlantico del Nord.

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Nel corso dei viaggi di ricerca che mi hanno condotto in diversi settori dell'emisfero boreale, mi sono spesso imbattuto nei resti e nelle, più o meno vistose, tracce di stabilimenti e di stazioni di caccia alle balene.

 Sovente abbandonate da molto tempo, altre volte solo da pochi decenni, costituiscono il simbolo di un'era ormai lontana nel tempo, alla quale la maggioranza di noi si sente oggi totalmente estranea.

 Nonostante le numerose e complesse implicazioni inerenti alla tecnica e all'oggetto stesso della caccia, la sanguinosa mattanza dei cetacei, per lunghi secoli e per diversi popoli, in particolare di regioni e aree marittime - insulari o costiere -, ha rappresentato una parte invero non secondaria, se non di determinante importanza, della loro cultura.

 Caratterizzata da uno stretto rapporto con l'habitat e l'ambiente marittimo. Bisogna infatti ricordare, e ciò è valido ed è ugualmente estensibile a tanti altri campi del nostro vivere quotidiano, come del tutto "recenti" siano le conquiste operate da ecologi ed etologi, da "verdi" ed animalisti.

A parte pochi casi ascrivibili agli usuali precursori. Membri di una "illuminata" avant-garde, senza bandiere e senza frontiere.

Il problema nacque e si impose all'attenzione dell'opinione pubblica internazionale e dei governi, con sempre più forza e determinazione, non a causa della caccia in se stessa. Ma, come al solito, dal "progresso", che anche in questo campo ha comportato l'impiego di tecnologie sempre più devastanti e distruttrici.

 A partire dall'invenzione, nel 1864, del celebre cannoncino fiocinatore esplosivo, ad opera del norvegese Svend Foyn.

Per cui quello che era un "prelievo" di risorse marine, più o meno giusto, nel tempo si sarebbe trasformato nell’indiscriminato sterminio dei cetacei, alcuni dei quali erano, e sono tuttora, minacciati di estinzione!

 Se le vecchie stazioni baleniere abbandonate, che mostrano oggi abbondanti tracce del degrado provocato dallo scorrere del tempo e dalle avverse condizioni climatiche, ci ricordano anche "realtà" che possono anche non piacerci, poiché indissolubilmente collegate alla morte di tanti grandi mammiferi marini, l'avvistamento delle balene, sia volontario, nel corso di appositi e gradevoli whalewatching, o casuale, ha sempre provocato, in chi scrive, un'eccitazione ed un'esaltazione indescrivibili, quasi fanciullesche, che mai erano state altrove provate. Nei confronti di altri stupendi abitatori del mare (delfini, foche o lontre, ad esempio) o, magari, terrestri.

 In Africa il paragone va ai tanti elefanti, rinoceronti, od addirittura ai leopardi, intravisti, fotografati, e perfino inseguiti, tra Kenya settentrionale e Sudan meridionale.

Strano a dirsi, ma l'incontro con i grandi abitatori della savana non riesce a reggere il confronto con quello delle balene. È un contatto visivo, ma non solo..., che trascende il rapporto occhi-cervello: è emotivo, istintivo.

 Si collega alla parte più nascosta di noi, quella che gli psicanalisti definiscono l'io, che riesce a smuovere perfino le "acque" del nostro subconscio.

 E quella, in effetti, rappresenta un'imprevedibile e sorprendente realtà del mare che è riuscita sempre a stupirmi.

 Ad attrarmi per tutte le sue implicazioni, di fantasia e di mistero - perché no: non sono un cetologo o un biologo marino! -, ma anche per quell'alone di poesia, che pure quel mastodontico abitatore delle profondità oceaniche, con i suoi comportamenti di superficie, a volte flessuosi come quelli di una ballerina d'opera, è riuscita sempre a evidenziare. Suscitando profondi, indimenticabili, turbamenti.

 Negli anni i miei diversi incontri, nelle regioni più diverse, di questa realtà, mi hanno offerto la possibilità di riflettere sull'importante ruolo che la caccia alle balene ha avuto in passato nei campi più disparati.

Dalle esplorazioni di terre ignote e lontane (i volumi scritti dal baleniere scozzese Scoresby sono entrati di diritto nella storia delle scoperte geografiche), e quindi dall'apertura di nuove vie. Sia marittime, che terrestri, che hanno condotto ad una più accurata ricognizione di territori e passaggi marittimi, e all'incremento delle conoscenze geografiche (isole, stretti e canali, regioni continentali, ecc.) e climatiche, come di quelle etnografiche.

 Grazie ai molteplici incontri ed alle descrizioni che venivano fatte degli "usi e dei costumi" delle diverse popolazioni artiche indigene. Su quest'ultimo fa, però, notevole aggio l'aspetto negativo sui risvolti positivi.

Ciò per la continua e costante opera di acculturazione e di disgregazione culturale che i popoli artici avrebbero sperimentato sulla propria pelle fin dal principio del XIX secolo. E, a volte, ancora prima, a seconda del settore geografico artico interessato. Negative dinamiche culturali, che sarebbero state innescate anche a prescindere dalla volontarietà, o meno, degli stessi cacciatori di balene.

(...) Il libro si focalizzerà su alcuni aspetti, storici od attuali, ai quali ho potuto accedere direttamente, nei settori nord-atlantici, del Pacifico settentrionale e dell'Artico canadese, groenlandese, norvegese.

 Ecco le tappe del nostro lungo itinerario nello spazio e nel tempo: Alaska sudorientale (USA); isola di Vancouver (Colombia Britannica, Canada); Tuktoyaktuk (Mare di Beaufort, Artico occidentale, Canada); Qausuittuq (Alto Artico canadese); Iqaluit e Pangnirtung (isola di Baffin, Artico orientale, Canada); Narsaq (costa occidentale della Groenlandia meridionale); Svalbard (Norvegia); Norvegia; Islanda; Shetland, Orcadi, Ebridi Esterne, St Kilda (Scozia, UK); Fær Øer (Danimarca); Saint-Pierre et Miquelon (Francia), Terranova, Québec (Canada), Madeira (Portogallo); Canarie (Spagna).

 Invece, per quanto riguarda le popolazioni autoctone, il libro si interesserà agli Inuit e agli Indiani del Nord-Ovest (i cosiddetti indiani dei totem o del salmone).

Per quanto invece concerne gli europei, spazio sarà dato a canadesi, norvegesi, scozzesi e faroesi, nonché agli equipaggi delle diverse nazioni europee che, a partire dal XVII secolo, si interessarono, e "con profitto", alle fisheries delle Svalbard e del Mare di Barents.

 In ultimo, non ci dimenticheremo del ruolo pionieristico esercitato dai baschi in questa attività venatoria. Tra i primi a cimentarsi nella caccia alle balene, specialmente alla Eubalaena Glacialis.

 Spingendosi fin sulle sponde nord americane, a partire dal XV secolo. Secondo alcuni studiosi, i baschi avrebbero frequentato i mari subartici nord-americani addirittura prima di Colombo.

È questo un ulteriore caso di "scoperta" dell'America prima del Navigatore, che va ad aggiungersi a quella dei Vichinghi di Vinland?


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TUTTI I DATI (ECONOMICI, STATISTICI, DEMOGRAFICI, ETNOGRAFICI, ECC.) CONTENUTI NEI MIEI LIBRI SONO STATI ACCURATAMENTE VERIFICATI, INTEGRATI E AGGIORNATI AL MOMENTO DELLA LORO PUBBLICAZIONE.


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