Il lago Rodolfo, oggi Turkana (da: von Höhnel, Discovery of lakes Rudolf and Stefanie; a narrative of Count Samuel Teleki's exploring & hunting expedition in eastern equatorial Africa in 1887 & 1888, Londra, 1894) |
NELL’ISTITUTO ITALIANO PER L’AFRICA, ROMA, 1962
I soliti convenevoli tra il Dott. Rossi e Rovi: Come state? Bene, grazie. Come sta sua
moglie? Il viaggio come è andato? Ecc…
Giorgio Rovi, così si chiama lo studioso, affrontò l’argomento
che lo interessava.
- Ho intenzione di ripartire sabato sera con la B.O.A.C. per Nairobi,
desidero soggiornare presso i Turkana del Rodolfo.
- Se posso fare qualcosa per lei me lo dica, mi sembra che non
le ho mai negato alcun favore, risponde Rossi
- Certamente! L’unica cosa che vorrei è che lei mi desse una
lettera dj presentazione per il Prof. Giorgetti, che è distaccato a Nairobi, in
modo da accompagnarmi nella mia spedizione (se possiamo chiamarla così nel
1962), verso il nord-ovest del Kenya.
- Senz’altro!
Salirono entrambi le scale, che portavano fuori della biblioteca, quindi
l’ascensore, infine l’ufficio. Il dottore stilò in breve tempo una lettera, che
consegnò a Giorgio.
Ringraziò, stretta di mano e di nuovo giù. Dopo aver salutato la signorina
e l’usciere, risalì sulla Jaguar. Pioveva ancora.
Il giallo della macchina era diventato più scuro, il suo “bidone”
era quasi del tutto infangato. Pensò tra sé e sé: “deve essere quel
maledetto pulviscolo radioattivo portato da tutte quelle bombe atomiche, che
russi e americani, per uno sciocco puntiglio di prestigio, si sono ostinati a
sperimentare (Ma che sciocchezza sto dicendo. Sto diventando peggio di una
donnetta! Mah…)”
Ingranò la marcia, e via. Non volle correre troppo forte. Una
frenata improvvisa ed addio Kenya!
Dopo essere giunto nel suo appartamento, si riposò un istante.
Trasse dal mobile bar la bottiglia di Haig’s, riempii un bicchierino fino
all’orlo, lo trangugiò tutto di un fiato. Si adagiò sulla poltrona preferita.
Una telefonata e prenotò il posto dell’aereo. Tutto bene, pensò!
DA ROMA A NAIROBI, VIA ENTEBBE, UGANDA
Da molte
ore il DC 8 si era lasciata dietro la tanto noiosa, ma tanto amata, Roma e, con
lei, l’Italia. Il Mare Nostrum era già stato sorvolato, e così il Cairo.
A Khartoum,
uno dei pochi scali della linea, che arriva fino a Johannesburg e da lì a Cape
Town, Rovi volle fare una deviazione - così, per capriccio - al programma che
si era preventivamente fissato. Infatti, insieme a pochi altri europei prese una
carretta di un trimotore, che gli ricordava i vecchi Caproni. La “signorina”,
così era stato battezzato l’aereo dagli scherzosi piloti inglesi, lo portò ad
Entebbe.
Il giardino botanico di Entebbe, 1971 (CC Some rights reserved, Guus Gorter) |
Una volta
capitale dell’Uganda, famosa per il clima eternamente primaverile, Entebbe
sorge in riva al Victoria. Conserva tuttora edifici inglesi di stile coloniale.
Giorgio era
la terza volta che vi ritornava e francamente lo faceva volentieri.
- Che peccato! Pensò. Dato che la sosta era solo di poche ore. Vorrà
dire che ne approfitterò per andare a bere un goccetto al Safari Hotel.
Al bar fece la conoscenza di una coppia di giovani inglesi, che si
recavano nel Kenya per un safari.
Lui, tipo sportivo, sui 25 anni, laureato ad Oxford in filosofia, abile giocatore di rugby, fin da bambino aveva sognato di effettuare una partita di caccia grossa nel Continente Nero.
Lei, una bella ragazza bionda sui
vent’anni, aveva occhi azzurri, dita affusolate, un naso un po’ lungo, ma molto
dritto, una bocca larga, con labbra lievemente carnose, ma molto ben tagliate.
Molto alta, aveva delle belle gambe e anche un bel seno da quello che si poteva
scorgere dal vestito. Nel complesso un bel tipino, che aveva indubbiamente
attirato la cupidigia - prontamente repressa - dell’italiano.
Accompagnava il marito nel suo viaggio – sebbene di malavoglia – e
avrebbe fatto le funzioni di fotografa.
Non sapevano una parola di kiswahili e quindi Giorgio ordinò per
tutti tre Martini “Maui mbile” [doppio] al boy negro.
Sorseggiarono il liquido gelato un po’ per volta e incominciarono
a parlare del più e del meno.
John parlò del suo passato di professore e del suo futuro; Giorgio
disse il motivo per cui andava in Kenya.
- Ma lei passa la sua vita tra quelle genti primitive e
selvagge, che neppure lontanamente si sognano cosa sia la civiltà mentre,
continuò John, lei con il suo denaro potrebbe fare la “dolce vita” in
Italia. Goda delle bellezze che Madre Natura ha concesso alla vostra penisola e
magari si faccia dei viaggetti – se ama viaggiare - sulla Costa Azzurra o,
magari, a Rio!
- A parte il fatto che sarei defraudato della mia dignità se
non facessi nulla – rispose Rovi -lei si è laureato in filosofia ed
insegna in un College, io mi sono specializzato in Etnologia e studio i popoli
protomorfi “in loco”. Non mi sembra che ci sia nulla di strano! Due passioni,
due mestieri (se il mio si può chiamarlo in questo modo).
- Perché non la finite di discutere? Tra poco l’aereo riparte e
il pulmino sta aspettandoci! Continuerete in volo il vostro scambio di idee,
s’intromise Milly
- Va bene, disse Giorgio.
- Okay, disse John.
Il pulmino Volkswagen li riportò all’aerostazione, dove salirono
sull’aereo, insieme a molte altre persone di diverse condizioni sociali e di differenti
razze. Tutti avevano come unica destinazione il Kenya.
Giornalisti, fotoreporters, facoltosi e vecchi industriali o
comunque magnati americani con le consuete giovani mogli, che regolarmente
avrebbero messo le corna ai rispettivi anziani mariti, farmers inglesi, Kikuyu
laureatisi nelle migliori università europee ed americane e, forse, anche nell’Università
Lumumba di Mosca. Vecchi “coloniali” inglesi affetti dal mal d’Africa, e così
via.
|
I motori dell’aereo furono accesi, l’apparecchio cominciò a rollare sulla pista, prima pian piano, poi sempre più velocemente, fino a che le ruote anteriori e quelle posteriori non abbandonarono il cemento armato. Via per il Kenya!
Addio Uganda, terra di foreste, steppe, grandi fiumi, laghi meravigliosi!
Addio Montagne della Luna!
Lago Victoria, 1968 |
In breve tempo, l’aereo sorvolò a bassa quota il Victoria Nyanza.
Il secondo lago al mondo per superficie era solcato regolarmente da battelli più o meno grossi (quando il lago è in burrasca, le onde raggiungono anche l’altezza di qualche metro).
Quasi indistintamente, lungo le insenature della
costa, si poteva scorgere l’attività dei pescatori Kavirondo. Con il loro
primitivo metodo di pesca, potevano trarre di che sostentarsi. Uno
“sbarramento” fatto di papiri mesi uno accanto all’altro, era portato al largo
con delle zattere. Trascinato poi a riva, in qualche piccolo seno, i poveri
pesciolini, che venivano intrappolati nella rozza gabbia, non avevano più
scampo, se non quello di andare a finire in “padella”.
Pescatori Luo del Lago Victoria, 1949 (CC some rights reserved, Emile Dubois) |
Giorgio era assorto in quei pensieri, quando Milly, che era seduta
un po’ distante dal marito, gli fece una domanda – a dir poco - imbarazzante…
-È vergine? Disse la graziosa inglesina.
Giorgio strabuzzò un po’ gli occhi, per sincerarsi che non stava
dormendo, poi:
- Lei mi fa una domanda alla quale non so se posso rispondere.
- Milly: Vede, so che tutti coloro che hanno la possibilità di andare
in Africa (e lei ci è andato spesse volte), riescono sempre più ad accoppiarsi (scusi
la parola) con qualche ragazza anche se negra! - e incominciò a guardarlo fisso negli occhi.
Giorgio non era per niente timido, però quella domanda, fatta in
tono molto pacato, quegli occhi di un colore così azzurro, che lo guardavano insistentemente
nei suoi occhi, il fatto che Milly fosse sposata e lui no… ebbene tutto ciò lo
rese alquanto nervoso.
Prese la sua pipa, la caricò con del tabacco “Prince Albert”,
l’accese e tirò una, due boccate. Si volse verso Milly.
- Non sono vergine -, disse in maniera piuttosto asciutta
ed anche un po’ seccata.
- Milly, sempre non distogliendo il suo sguardo dai suoi occhi… - Me
lo sarei immaginato! Un tipo, diciamo all’italiana, “fusto” come lei, non
poteva non aver provato l’amore. Con chi?
- Mi scusi se la interrompo, disse l’etnologo.
- Steward tra quanto tempo si atterra a Nairobi?
- Tra una decina di minuti, signore.
Nessuno dei due parlò più. Milly pensò che aveva fatto una “gaffe”,
era stata troppo invadente! Una domanda indiscreta. Forse, pensò, era stato
l’effetto di quel Martini “Malui” o come diavolo era stato chiamato, che
l’aveva resa così euforica e priva di inibizioni.
L’uccello d’acciaio stava sorvolando quel caratteristico fenomeno geologico che si stende dal lago di Tiberiade in Palestina, fino alla regione dei Grandi Laghi ed oltre, che aveva il nome di Rift Valley o Valle Spaccata.
Era stato proprio l’attraversamento di quella frattura che molti anni prima, nella costruzione della ferrovia dall’isola di Mombasa a Kampala, aveva causato la perdita di molte vite umane.
Ormai la meta era molto vicina.
Dopo aver piegato a destra, l’aereo si preparò ad atterrare.
Il grande apparecchio si abbassò sulla pista, sobbalzò un poco,
frenò, voltò e si diresse verso gli edifici dell’aerodromo.
NAIROBI
La grande capitale del Kenya indipendente è l’unico centro di tutta l’East Africa che si possa designare con il nome di città. Grattacieli, ampie vie, negozi elegantissimi come si possono trovare a Via Frattina o a Via del Tritone. Grandi magazzini di vendita al minuto tipo Standa trovano anche qui i loro clienti. Bungalows nei sobborghi e se vogliamo, anche le bidonvilles, gli slums dove vivono tutti gli urbanizzati Kikuyu, Masai, Kipsigi, Nandi, e chi più ne ha, più ne metta…
Anche in Africa esiste il fenomeno dell’urbanesimo
che, più che in Europa, date le ataviche tradizioni tribali, assume un aspetto
ben più preoccupante. Gli agricoltori, in questo caso dobbiamo dire gli allevatori
di bestiame, che vanno nella città per lavorare, o di solito, per cercare di
sbarcare alla meglio il lunario facendo un po’ di tutto, dal ruffiano alla
prostituta, creano vuoti spaventosi nelle file delle tribù. Queste vengono a
trovarsi nella maggior parte dei casi senza uomini. Solo bambini, donne e vecchi
rimangono nelle loro capanne. I popoli primitivi così, come per molte altre
ragioni, sono destinati all’estinzione. Comunque questo è un problema che va
trattato in separata sede, e non qui.
Nairobi, ca. 1950 |
Ritornando
a Nairobi, questa si può definire la Johannesburg del Kenya. La sua popolazione,
rispetto a quella del ricco centro minerario ed industriale del Transvaal, è
esigua: non più di 297.000 abitanti, compresi europei, indiani e, naturalmente,
gli arabi.
A Nairobi fanno capo le più importanti linee aeree dell’intero continente.
“Il centro
dell’acqua”, così vuol dire in Masai, è la capitale del turismo equatoriale e
punto di partenza dei safari. Solo Arusha, nella East Africa ex britannica, le
può fare concorrenza.
CONTINUA
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