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mercoledì 31 luglio 2024

179. IL RAID AUTOMOBILISTICO CITROEN IN ASIA. LA CROCIERA GIALLA 1931-32: SULLE TRACCE DI MARCO POLO, LUNGO LA VIA DELLA SETA; LA FORZOSA MODIFICA DEL PROGETTO PREVEDE DI SUPERARE L'HIMALAIA; GILGIT; SI ARRIVA AI 4.200 M DI QUOTA. Da: GRANDI RAIDS AUTOMOBILISTICI DELLA STORIA: QUANDO L’AVVENTURA SI FA LEGGENDA. LA PECHINO-PARIGI E LE “CROCIERE” CITROËN, TRA AFRICA, ASIA E AMERICA DEL NORD

 Verso i 4.200 m d’altezza della catena occidentale dell’Himalaia 

Cosa c'è nel libro:

La prima parte è monotematica. 

LA PECHINO-PARIGI  1907

Tratta della leggendaria corsa automobilistica Pechino-Parigi di inizio XX secolo (1907). 

Scaturita, agli albori dell’automobilismo, da un’inverosimile scommessa lanciata attraverso le pagine di un giornale parigino. Si cercano persone temerarie in grado di fare 16.000 chilometri tra Europa e Asia sulle loro macchine tonanti. 

 Aprendosi la via attraverso montagne, deserti e foreste. 

Una scommessa che vedrà protagonisti gli italiani Scipione Borghese e Luigi Barzini senior. 

Le quattro crociere Citroën (1922-1934) effettuate tra Africa, Asia, Nord America

 La seconda si occupa dei quattro raids automobilistici ideati dal fondatore della casa automobilistica francese Citroën nell’arco di una dozzina d’anni (1922-1934), effettuati tra Africa, Asia, Nord America. 

Raids ufficialmente chiamati con i nomi delle località o delle regioni raggiunte. In un secondo tempo quelle straordinarie imprese, ben presto entrate di diritto nella leggenda, saranno denominate Crociere. Dopo aver osservato come si muovevano i semicingolati (autochenilles) Citroën impiegati. 

Autoveicoli che ondeggiavano, attraverso le sabbie di uno dei più terribili deserti sahariani, con movenze assai simili a quelle di un incrociatore in navigazione nelle burrascose acque del mare o di un oceano…

...

LA CROCIERA GIALLA

(...) Ma al “testimone” non sarà sufficiente l’ulteriore “traguardo” realizzato per potersi dichiarare più che soddisfatto. Nel 1931-32 lo si affiderà ai leaders di un nuovo raid che, tra parentesi, sono sempre gli stessi: Haardt e Audouin-Dubreuil. 

Ai quali in Cina e in Afghanistan si aggiungeranno, tra gli altri, il grande teologo e scienziato Teilhard de Chardin e l’archeologo francese Hackin, che ha scavato nella valle di Bamiyan, nota per i grandiosi Buddha scolpiti nella roccia. 

Questa volta il raid avrà anche la straordinaria opportunità di snodarsi lungo vie storiche e leggendarie. 

Poiché percorrerà la più che millenaria Via della Seta e la pista seguita in Afghanistan da Alessandro Magno. 

Inoltre le macchine dovranno essere in grado di “scalare” l’Himalaia, integre o, magari, “pezzo dopo pezzo”! 

Per giungere fin nel Sinkiang cinese. 

In una pericolosissima Cina, in preda alla guerra civile, a sanguinose rivolte etnico-religiose, al dilagante banditismo, al caos imperante, dentro il quale allegramente sguazzano diversi “Signori della Guerra”! 

...

Con il progetto originario si doveva percorrere la Via della Seta

(...) Nel 1928 si comincia ad accarezzare l’idea di aprire alla circolazione automobilistica l’antica e remota Via della Seta, sulle tracce di Hsüan-tsang (Xuanzang), monaco buddista del VII secolo, e di Marco Polo (XIII secolo). 

 Così da “collegare” il Mediterraneo al Mar della Cina. 

Il progetto entusiasma per l’estrema audacia e riceve l’incondizionato appoggio di Citroën, che scrive: “la carta dell’Asia colpisce l’uomo dell’Occidente per la sua massiccia densità, per la sua opacità, dove la vita umana sembra affluire verso le zone periferiche, escludendosi dall’epicentro, che non è che una vasta depressione desertica”.

La forzosa modifica del progetto prevede, invece, di superare l'Himalaia!

(...) Il progetto va quasi subito incontro ad una modifica non indifferente… 

 Sul finire del 1930 l’URSS non rinnova per il nuovo anno l’autorizzazione già concessa (...) 

Va perciò scartato il Turkestan occidentale (russo) e l’Himalaia deve essere superata, non dal Pamir, bensì dal Kashmir, attraverso il Passo di Valkhdjir (5.000 m). 

Questi sono anni assai difficili: nel 1929 c’è stata la crisi mondiale, la guerra sino-giapponese è in corso, c’è la rivoluzione in Afghanistan, dissidenza e banditismo sono endemici nel Sinkiang.

La via di Gilgit (attuale Pakistan)

(...) Un accampamento è innalzato ai piedi della via di Gilgit (nell’attuale Pakistan), sorta di mulattiera, che oltrepassa la catena montuosa. 

Al di là c’è Kashgar e il Sinkiang.

Haardt ha scommesso con se stesso che porterà le auto fin lassù, ma ritiene che solo due siano in grado di farcela (...) 

Mentre la vettura TSF (il telegrafo senza fili, che trasmette in Morse) rimarrà sul posto per collegarsi con il gruppo Cina. 

Si formano tre gruppi

Successivamente vengono formati tre gruppi di cinque uomini ciascuno. 

Il primo è incaricato di sistemare la pista, talvolta non più ampia di 1,20 m, mentre la larghezza delle vetture è di 1,50 m... 

Il secondo deve ricongiungersi con il primo con le due autochenilles alleggerite. 

Il terzo chiude la marcia e stabilisce i vari contatti con la sua postazione T.S.F.

Si arriva a 4.200 m di quota

(..) Barcollando ed ansimando le vetture transitano ad oltre 4.200 m di quota. 

Anche se un muro roccioso alto 300 m improvvisamente ne impedisce la discesa! 

Vanno smontate le macchine!

Saranno perciò smontate… 

Il 4 agosto Haardt decide che solo una vettura sarà in grado di proseguire. 

Così fa sezionare l’altra che, messa in una cassa, è inviata a Parigi. Perciò a Gilgit faranno il loro ingresso uomini spossati e un’auto danneggiata! 

Da: GRANDI RAIDS AUTOMOBILISTICI DELLA STORIA: QUANDO L’AVVENTURA SI FA LEGGENDA. LA PECHINO-PARIGI E LE “CROCIERE” CITROËN, TRA AFRICA, ASIA E AMERICA DEL NORD

(E-Book e versione cartacea in bianco e nero - seconda edizione riveduta, corretta e aggiornata -, 113 pp., 81 note, 105 immagini)



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178. NEL FORTE DI TISAVAR, AI CONFINI DELL'IMPERO ROMANO, DOVE GLI EXCUBITORES SCRUTAVANO L'IMMENSITA' DEL "NULLA", PRONTI A RESPINGERE GLI ATTACCHI DEI BARBARI. Da: DAL TELL AL SAHARA. VIAGGI IN TUNISIA, TRA LE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE DEL PASSATO E CULTURALI ARABO-BERBERE-ISLAMICHE ODIERNE


L’arco attraverso il quale si accede al forte di Tisavar 
(© Franco Pelliccioni)

Cosa c'è nel libro: 

PARTE PRIMA 

DALLE SPONDE DEL MEDITERRANEO AL SAHEL SAHARIANO 

1.PREAMBOLO: DAL “SAHARA ALGERINO” AL SAHARA TUNISINO. VIAGGI VIRTUALI E REALI NEL MAGHREB; 2. INTRODUZIONE AL PAESE; 3. LA MEDINA DI TUNISI, CON I SUOI PIÙ DI SETTECENTO MONUMENTI STORICI, PATRIMONIO MONDIALE DELL’UMANITA’; 4. NEL MUSEO NAZIONALE DEL BARDO DI TUNISI Il "TEMPIO" MONDIALE DEL MOSAICO ROMANO; Breve cronologia del Museo; La visita; 5.CARTAGINE; La visita; 6. SIDI BOU SAÏD; 7. MONASTIR TRA ANTICO E PRESENTE: DALL'ENIGMA DI UN NOME ALLA RICOMPARSA A SORPRESA DI UNA FORTEZZA PERDUTA; 8. LA “CITTA’ SANTA” DI KAIROUAN; 9. LA CITTA’ ROMANA DI THYSDRUS (EL-DJEM); 10. LA CITTA’ ROMANA DI SUFETULA (SBEITLA); 11. L’ISOLA DI DJERBA: OASI DI RIFUGIATI, TERRA DI INVASORI; La visita; 12. NEL SUD, TRA I VILLAGGI “INVISIBILI” DEI “BERBERI SCAVATORI” MATMATA;  Mareth; Gabès; Verso Matmata; 13. NELLA REGIONE DEGLI CHOTTS;  Introduzione; Douz; Kébili (e Ancienne Kébili); Nel Bled el-Djerid; L’OASI DI PIANURA DI TOZEUR; L’OASI DI PIANURA DI NEFTA 

PARTE SECONDA 

RITORNO NEL PAESE DEI GELSOMINI 

14. OASI DI MONTAGNA; Introduzione; Nello Chott el-Gharsa la Mos Espa, cittadina del deserto del pianeta Tatooine di Star Wars; Verso le oasi di montagna; 15. IL LÉZARD ROUGE DEI BEY DI TUNISI; Le ferrovie tunisine; 16. IL LUNGO VIAGGIO DEL FOSFATO TUNISINO: DAL TRIANGOLO MONTUOSO AL CONFINE CON L’ALGERIA AL PORTO DI SFAX, PASSANDO PER L’ANTICA CAPSA ROMANA; 17. I KSOUR, LE ROCCAFORTI BERBERE DEL GRANDE SUD TUNISINO; Medenine; Ksar Haddada; Tataouine; Chenini; 18. PERCORRENDO LA REGIONE DOVE SI COMBATTE’ LA “GUERRA DEL DESERTO”; 19. INCURSIONE TRA LE SABBIE DEL SAHARA, AI CONFINI MERIDIONALI DELL’IMPERO ROMANO, IL LIMES IMPERII; Ksar Ghilane; 20. NEL FORTE ROMANO DI TISAVAR; I romani e il Limes Tripolitanus; 21. APPENDICE;   1. VIAGGIATORI IN TUNISIA TRA IL XVII SECOLO E LA FINE del XIX;   2. VIAGGIATORI IN TUNISIA TRA LA SECONDA META’ DEL XIX SECOLO E L’INIZIO DEL XX; 22. BIBLIOGRAFIA SELEZIONATA

... 

I FORTI ROMANI A PROTEZIONE DEL LIMES

"Abbiamo già visto come spesso villaggi e centri tunisini si siano sviluppati dai forti posti lungo le regioni di confine dell’Impero romano: quelli lungo la via che, da Tébessa (Theveste) in Algeria, portava a Gabès (Tacapae), cioè le oasi di montagna di Chebika (Ad Speculum) e Tameghza (Ad Turres); Nefta (Aggasel Nepte) e Tozeur (Thusuros); infine Turris Tamalleni, nei pressi di Telmine, lungo la strada che conduce al Bled el-Djerid. 

 Il forte romano di Tisavar, a Ksar Ghilane, è comunque un’altra cosa. 

Poiché è giunto pressoché intatto fino a noi, attraverso due millenni di storia! 

Protetto dall’eccentrica posizione geografica e dalla localizzazione ai margini del Grande Erg Orientale. 

Nel profondo sud della Tunisia rivestiva una notevole importanza strategica. 

Da qui i militi della III Legio Augusta erano sempre in allerta, per un eventuale arrivo dei barbari. 

 La Provincia dell’Africa, assieme a Numidia (Algeria) e Mauretania, faceva infatti parte dell’Impero romano. 

OCCUPAZIONE DEL FORTE DA PARTE DELLA LEGIONE STRANIERA FRANCESE 

E il luogo era così importante che, ancora molti secoli dopo, sarà utilizzato da una diversa formazione di Legionari: quella “straniera” francese, per prevenire gli attacchi dei predoni del deserto!

FONDAZIONE DEL CASTRUM DI TISAVAR

 Il castrum di Tisavar fu uno dei primi ad essere fondato in un punto strategico del deserto (...)

Il forte ha dimensioni relativamente modeste: mura alte non più di tre metri, una costruzione centrale e ambienti lungo il perimetro. 

In piccolo costituisce un eccezionale “modello” dei forti, edificati dai romani ai loro confini. 

 Se durante i primi due secoli d. C. i romani si dedicarono maggiormente a controllare gli affari tribali, come i percorsi annualmente seguiti dai pastori transumanti con il loro bestiame verso le fertili regioni costiere del Tell, in seguito bisognerà continuamente sorvegliare una frontiera militare, per prevenire i sempre possibili attacchi dei nomadi. 

 I soldati non si limiteranno, comunque, a presidiare i confini, ma cercheranno di esplorare le terre poste al di là del Limes (speculatores). 

Effettuando numerose spedizioni punitive per dominare e proteggere il traffico delle carovaniere transahariane. 

DALL'ALTO DELLE SUE MURA, GLI EXCUBITORES GIORNO E NOTTE  SCRUTANO  L'IMMENSITA DEL "NULLA",  LE GIGANTESCHE DUNE SABBIOSE SAHARIANE DEL GRANDE ERG ORIENTALEPRONTI A RESPINGERE GLI ATTACCHI DEI PREDONI 

 Dall’alto delle mura di Tisavar cerco di immaginare quale possa essere stato l’animo degli excubitores, i legionari di sentinella, che di continuo scrutano l’orizzonte alla ricerca di lontani e quasi impercettibili movimenti sospetti. 

 Laggiù, tra le immense dune in eterno, seppure impercettibile, movimento, sotto i dardi di un sole implacabile, 

Sforzandosi di captare ogni minimo e pur insignificante suono, che ondeggi nell’etere. 

Aspettando pazientemente in armi l’eventuale arrivo delle bande di nomadi razziatori. 

I “barbari”, che in ogni momento possono avvicinarsi con rapidità. Colpendo con la potenza di un maglio. 

Uccidendo e depredando. 

Per poi altrettanto fulmineamente sparire nell’infinità delle sabbie…

 Anche perché in caso di un massiccio attacco i legionari del forte non sarebbero stati in grado di fronteggiarlo da soli. 

 Nelle lunghe e rigide notti è invece la paura, nascosta accuratamente dentro di loro, che con il suo manto nero li assedia giorno dopo giorno, a fare da padrona e sovrana. 

Perché gli spiriti [djnoun] malvagi, forse acquattati nella più buia delle oscurità, possono venire attratti, come improbabili falene, dalla luce delle torce accese sugli spalti. 

Magari stanno già attendendo solo il momento giusto per l’incursione… 

Del resto è durante le notti che più facilmente si può essere tratti in inganno da suoni, che potrebbero essere forieri del fulmineo e letale sopraggiungere, dall’immensità del Nulla, dei predoni!"

Da: DAL TELL AL SAHARA. VIAGGI IN TUNISIA, TRA LE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE DEL PASSATO E CULTURALI ARABO-BERBERE-ISLAMICHE ODIERNE

(178 pp., 198 immagini [164 sono dell'A.], di cui 179 a colori, 83 note, Bibliografia)


Versione cartacea a colori e in bianco e nero, II ediz.



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TUTTI I DATI (ECONOMICI, STATISTICI, DEMOGRAFICI, ETNOGRAFICI, ECC.) CONTENUTI NEI MIEI LIBRI SONO STATI ACCURATAMENTE VERIFICATI, INTEGRATI E AGGIORNATI AL MOMENTO DELLA LORO PUBBLICAZIONE.

lunedì 29 luglio 2024

177. LA CACCIA ALLE BALENE STORICA: INDIANI NOOTKA DELL’ISOLA DI VANCOUVER, COLOMBIA BRITANNICA, CANADA. DA: BALENE E BALENIERI, TRA NORD ATLANTICO, PACIFICO SETTENTRIONALE, MAR GLACIALE ARTICO. VAGABONDAGGI ALLA RICERCA DELLE TESTIMONIANZE DELL’ERA DELLA CACCIA ALLE BALENE

 

Indiano Nootka del Clayoquot Sound (costa occidentale dell’isola di Vancouver) mentre effettua un bagno cerimoniale prima della caccia alle balene, ca. 1910 (foto Curtis, Library of Congress)

"Nel corso del mio viaggio tra gli Indiani del Pacifico settentrionale, tra Colombia Britannica e Alaska sud-orientale, dalla costa orientale dell’isola di Vancouver ho avvicinato i celebri Kwakiutl (oggi Kwakwaka'wakw). 

Prima nell’isola Quadra, poi in quella del Cormorano (Alert Bay).

 Tralasciando la costa occidentale, dove si trovano gli insediamenti della tribù dei Nootka (dal 1979 Nuu-chah-nulth), noti come coraggiosi cacciatori di balene. 

Infatti, nonostante i loro villaggi siano localizzati all’esterno dell’Inside Passage, lungo una costa esposta a tutti i rigori oceanici, in un non lontano passato essi costituirono luoghi perfetti dai quali avvistare i cetacei, in occasione delle loro migrazioni.

 La cultura dei Nootka era quasi totalmente incentrata sulla caccia alle balene, che venivano uccise, sia per il grasso, che per la carne.

 Ed era un’attività così importante, da richiedere tutta una serie di rituali, da osservare scrupolosamente, prima e dopo ogni caccia: bagno cerimoniale, astinenza, preghiera. 

Rituali eseguiti sia dal capo, che aveva guidato la caccia, che da sua moglie. Poiché tali cerimonie erano considerate essenziali per il buon esito dell’impresa venatoria. 

Mentre la partecipazione dei singoli alla caccia, e alla successiva distribuzione di carne e grasso, dipendeva dallo status sociale di ogni singolo cacciatore.

La caccia alla balena rimaneva comunque un’impresa pericolosa.

 Poiché gli arpioni erano difficili da controllare, si doveva portare la canoa a fianco della balena per poter scagliare un colpo deciso; una volta colpita, la balena si dibatteva e si immergeva improvvisamente, perciò l’abilissimo marinaio Nootka doveva usare tutta la sua destrezza per evitare di essere sommerso. 

Le sacche di vescica della foca attaccate alle corde dell’arpione servivano come draghe per indebolire la balena, che veniva condotta il più vicino possibile alla riva prima di essere uccisa, dato che la si doveva poi trascinare al villaggio. 

Poiché non sarà stato certo facile trainare con una canoa un simile peso morto, la moglie del baleniere, nel villaggio, aveva il compito importante di attirare la “bella signora” verso la riva con preghiere rituali e forza di volontà (…) Una caccia riuscita procurava cibo più che sufficiente per un villaggio di medie dimensioni, perciò solitamente si concludeva con una festa a cui erano invitate anche le tribù vicine”.

DA: BALENE E BALENIERI, TRA NORD ATLANTICO, PACIFICO SETTENTRIONALE, MAR GLACIALE ARTICO.     VAGABONDAGGI ALLA RICERCA DELLE TESTIMONIANZE DELL’ERA DELLA CACCIA ALLE BALENE

(163 pp., 156 foto)

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176. "A ELLA MAILLART, FEMME DU GLOBE, LE POÈTE QUI L'ENTREVIT” (PAUL VALÉRY). DA: L’AVVENTURA AL FEMMINILE VENTI RITRATTI DI DONNE STRAORDINARIE, CHE HANNO PERCORSO LE VIE DEL MONDO ALLA RICERCA DI CONOSCENZA

La traversata del “deserto delle sabbie rosse” nel 1932, a -30°: Ella Maillart si riscalda ad un fuoco di bivacco

"Ecco ora un’altra viaggiatrice eccezionale che dell’Asia fece la sua personale “terra di conquista conoscitiva”: la svizzera Ella Maillart (Ginevra, 1903 - Chandolin, 1997). 

Donna straordinaria che bene ha incarnato l’Avventura “al femminile”, per la quale il celebre Paul Valéry, che l’aveva appena “intravista”, scrisse la seguente dedica nelle sue poesie: "a Ella Maillart, femme du globe, le poète qui l'entrevit"

...

Cina e la Via della Seta: 1934-1935. A Pechino, prima incontra  il giornalista Peter Fleming, fratello di Ian, l'autore di James Bond, poi il celebre esploratore e geografo svedese Sven Hedin  

" Nel 1934-35 il Petit Parisien, specializzato in grandi reportages, la invia in Cina per un’inchiesta sulla Manciuria occupata dai giapponesi. 

A Pechino incontra Peter Fleming, un brillante giornalista del Times di Londra, fratello del più celebre Ian, il creatore di James Bond. 

Ella è però interessata al Turkestan cinese (od orientale). Regione completamente interdetta agli stranieri. 

Nessuno sa ciò che vi è successo da quattro anni. 

 Decide di andarci e di guadagnare l’India attraverso Sinkiang (Xīnjiāng) e Karakorum. 

Tra l’altro ha l’insperata opportunità di ottenere consigli dal celebre Sven Hedin, anche lui nella capitale cinese.

L'ardito progetto: Tibet, Tsaidam, Sinkiang, Kashmir

Assieme a Fleming, la Maillart dovrà passare per il nord del Tibet e dello Tsaidam (Cháidámù Péndì), percorrendo un itinerario talmente infido, da non essere neppure proibito dal governo cinese. 

Provvisti di permesso per la regione del Koko Nor (Qinghai Hu), i due lasciano Pechino per la Cina interna nel gennaio del 1935. 

Otto mesi a piedi e a dorso di mulo attraverso "l'ignoto sproporzionato"

Da lì, cercando di eludere i controlli militari e le autorità governative, si lanceranno verso “l'inconnu démesuré”. 

A piedi e a dorso di mulo attraversano gli altopiani dello Tsaidam, caratterizzati dall’estremo: povertà e clima. 

Giunti nel Sinkiang, si portano attraverso la storica Via della Seta nel Pamir. 

Otto mesi dopo sono a Srinagar, nel Kashmir indiano: hanno brillantemente attraversato una delle regioni più segrete del mondo…"

da:L’AVVENTURA AL FEMMINILE

VENTI RITRATTI DI DONNE STRAORDINARIE, CHE HANNO PERCORSO LE VIE DEL MONDO ALLA RICERCA DI CONOSCENZA

MA'AT-KA-RA HATSHEPSUT, IDA PFEIFFER,  ISABELLA LUCY BIRD, ANNIE (HANNAH) ROYLE TAYLOR, FRANCES THERESA DENSMORE, GERTRUDE BELL, ALEXANDRA DAVID-NÉEL,  ISABELLE EBERHARDT, MARIA ANTONINA CZAPLICKA, LOUISE ARNER BOYD, GLADYS AMANDA REICHARD,  FREYA STARK,  HORTENSE POWDERMAKER,  CAMILLA HIDEGARDE WEDGWOOD, MARGARET MEAD, CORA ALICE DU BOIS,  ELLA MAILLART, GERMAINE DIETERLEN,  LAURA MAUD THOMPSON, ROSEBUD YELLOW ROBE



(157 pp., 115 foto, 60 note)
E-Book https://www.amazon.it/dp/B07732SMT8

Versione cartacea I ediz.  https://www.amazon.it/dp/197322934X

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domenica 28 luglio 2024

175. L'ARCHETIPO DI "INDIANA JONES", MA ANCHE L’ISPIRATORE DEL “MONDO PERDUTO” DI CONAN DOYLE, IL COLONNELLO ED ESPLORATORE INGLESE PERCY HARRISON FAWCETT, SCOMPARVE NEL 1925. CERCANDO UNA FANTOMATICA CITTÀ PERDUTA NEL MATO GROSSO BRASILIANO.Da: ALLA SCOPERTA DEL MONDO. ARCHEOLOGI, ESPLORATORI, GRANDI VIAGGIATORI, GEOLOGI, NATURALISTI, PALETNOLOGI. VOL. 4: AMERICA

 


. Percival (Percy) Henry Fawcett
Cosa c'è nel libro: 

NORD AMERICA (EIRÍK “IL ROSSO” (EIRÍK THORVALDSSON “RAUÐI”); FRANCISCO VÁSQUEZ DE CORONADO, MERIWETHER LEWIS E WILLIAM CLARK; JOHN J. AUDUBON; HELGE MARCUS INGSTAD); 
CENTRO AMERICA (JOHN LLOYD STEPHENS, ALFRED P. MAUDSLAY, ALFRED MARSTON TOZZER, MATTHEW W. STIRLING), 
SUD AMERICA (FRANCISCO DE ORELLANA, CHARLES-MARIE DE LA CONDAMINE, FRIEDRICH HEINRICH ALEXANDER VON HUMBOLDT, ALCIDE D'ORBIGNY, ROBERT H. SCHOMBURGK, JOHN LOUIS RUDOLPHE AGASSIZ, MAX UHLE, PERCY HARRISON FAWCETT, ALEXANDER HAMILTON RICE. HIRAM BINGHAM, VICTOR OPPENHEIM)]
...

  PREMESSA
"Quando a suo tempo progettai la scaletta della mia terza trilogia: Alla Scoperta del Mondo, il volume avrebbe dovuto contenere 28 personaggi, attratti dall’ignoto geografico, storico e culturale, sia dell’America, che delle Regioni Polari. 
Nel corso della stesura, ho invece ritenuto opportuno dare più spazio ad uno dei capitoli. 
Quello riguardante il colonnello britannico Percy Fawcett. Esploratore scomparso misteriosamente, nel 1925, nel Mato Grosso brasiliano. 
Andando alla ricerca della Città Perduta di Z (“Zeta”), in quella che sarà la sua ultima spedizione sudamericana. 
Le sue straordinarie avventure, che a suo tempo hanno ispirato la serie filmica di Indiana Jones, ma prima ancora il Mondo Perduto di Conan Doyle, a cui Fawcett raccontò le proprie esperienze, mi avevano oltremodo appassionato da ragazzo.
 Così, per decenni , nel bacino dell’Alto Xingú sono andati alla ricerca di ogni seppur minimo indizio, racconto o flebile traccia degli scomparsi, come della stessa “Z”, spedizioni ben strutturate e organizzate (di “ricerca e soccorso”, diremmo oggi), che singoli individui. 
Avventurieri di ogni nazionalità e risma, visionari, gente in cerca di un’effimera notorietà, ma anche spiriti compassionevoli, animati da sincera volontà di contribuire a risolvere quello che ha rappresentato il mistero esplorativo per antonomasia del XX secolo. 
Gradatamente il capitolo su Fawcett è così diventato un capitolo-contenitore di diverse altre esplorazioni. [mentre la trilogia sugli esploratori si è trasformata in una tetralogia!]
Che, una dopo l’altra, si sono andate snodando per quasi un secolo, fino ad oggi… 
 Oltre tutto, se il mistero sembrerebbe risolto solo in parte, le esplorazioni di questi ultimi anni hanno comportato sviluppi inaspettati e del tutto sorprendenti! 
Forse perché indirettamente facilitati dal “cambiamento climatico”, che ha incrementato, facilitandoli, gli incendi anche delle boscaglie del Mato Grosso?
[Naturalmente il capitolo dedicato a Fawcett è il più corposo del libro: 32 pagine, 28 foto (7 di Fawcett), 23 spedizioni] 
 Ed è stato l’amore per l’Avventura, coniugata sottilmente con la Conoscenza, che ha indissolubilmente legato tra loro queste figure.

Dando vita ad uno straordinario filo conduttore, che si è andato snodando, dall’Artico fino a Capo Horn, attraverso epoche, culture, civiltà, popolazioni, territori, nel corso di una continua sfida dell’Uomo contro l’ignoto.

LA SPEDIZIONE SCOMPARSA NEL MATO GROSSO BRASILIANO
Il libro narra anche di una spedizione scomparsa nel nulla, alla ricerca di un “sogno”, che un esploratore inglese aveva sempre tenuto gelosamente segretoMa anche delle decine e decine di missioni, andate invano a cercarla, per quasi un secolo.

Il sogno riguardava l’esistenza di una città favolosa, descritta da un’antica cronaca, probabilmente apocrifa, situata in una regione, dove l’unica civiltà visibile ancora oggi è quella dei villaggi degli indios, immersi nelle boscaglie e circondati dai fiumi.

   A questo punto, però, si impone un ma…! 

RECENTI SCOPERTE HANNO SCONVOLTO LE FONDAMENTA DELL'ARCHEOLOGIA PRECOLOMBIANA...

Perché proprio in questi ultimi tempi, un antropologo americano, che da tredici anni ricercava tra gli indios, aiutato da una buona dose di fortuna e dalla sua perspicacia, due doti invero non secondarie, che si sono aggiunte al fatto che era anche un archeologo, affermerà come quella lontana fantasticheria avesse un fondamento di verità. Presumibilmente derivante da leggende tramandate di generazione in generazione dagli indios… 

Poiché ha scoperto ben venti insediamenti risalenti all’800-1600 d.C., collegati da strade, con case costruite con il materiale esistente nella regione: terra, legno, palme. 

Ogni insediamento aveva dai 2.000 ai 5.000 abitanti. 

Cioè numeri ben superiori a quelli degli odierni villaggi, che sono nell’ordine delle centinaia di anime. 

Poiché le città risalgono a ben prima dell’avvento dei brancos, i bianchi, con le loro malattie e la loro “pacificatrice” violenza.

 Una scoperta, confermata anche dai radar, dalle rilevazioni satellitari, dai sensori remoti, che ha una portata incredibilmente rivoluzionaria, poiché ha sconvolto le fondamenta stesse dell’Archeologia precolombiana. Tanto che andrebbero, forse, rivalutate le stesse “cronache”, sulle quali si basò la ricerca dell’esploratore scomparso!

   E dire che negli anni ‘1950 il figlio aveva, senza successo, sorvolato la zona. 

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Così la recente straordinaria scoperta potrebbe essere stata resa possibile, grazie al cambiamento climatico, che ha amplificato e moltiplicato gli incendi, anche delle boscaglie del Mato Grosso… 

.....

 "Il celebre esploratore britannico Percy Harrison Fawcett (1867-1925?) scomparirà nel nulla, quando nel 1925 si mise alla ricerca dei resti di una città leggendaria: forse parte dell'Atlantide?!"

    "Attraverseremo lo Xingú al decimo Parallelo e ci inoltreremo diritti verso est, attraverso il Tocantins. Superato questo, là dove s'incontrano gli Stati di Goiáz, Piauí e Baía, si trova "Z", il mio obiettivo principale... Quando avremo terminato le nostre ricerche ci sposteremo verso est fino al São Francisco (...) non molto lontano, dall'altra parte del fiume, si trova la città del 1753, che intendo visitare prima di uscire dalle zone selvagge a Salvador". Non sapeva che, dopo la sua sparizione, egli stesso sarebbe diventato una leggenda!

(...) Il 29 maggio del 1925 due mulattieri brasiliani rimandati indietro recano l'ultima lettera indirizzata alla moglie: "penso che verremo a contatto con gl'Indiani tra una settimana o una decina di giorni. Siamo qui al Campo del Cavallo morto, a 11°43' di latitudine Sud e 54°35 Ovest, esattamente nel punto in cui morì il mio cavallo nel 1920 (…) Non devi temere che non si riesca".

  "La spedizione, alla quale partecipano il figlio primogenito ventunenne Jack e il suo amico Raleigh Rimmel, è in procinto di lasciare le sorgenti dello Xingú, per inoltrarsi in terre sconosciute!

   Da quel momento non si saprà più nulla. Va ricordato come la spedizione fosse "leggera", cioè in grado di inoltrarsi più agevolmente nelle terre degli indios, senza tema di venire scambiati per invasori. Anche perché la loro stessa sopravvivenza era legata alle risorse dei luoghi."

   "Se non dovessimo tornare", aveva sostenuto, "non voglio che vengano a cercarci con spedizioni di soccorso. È troppo pericoloso. Se con tutta la mia esperienza, non riusciamo noi a farcela, che speranza può esserci per gli altri? Ecco perché non voglio dire esattamente dove andiamo. Sia che riusciamo a salvarci e ritornare, sia che lasciamo là le nostre ossa a marcire, una cosa è certa. La soluzione dell'enigma dell'antica America del Sud - e forse di tutto il mondo preistorico - si troverà solo quando le antiche città saranno ritrovate e aperte alla ricerca scientifica. Che queste città esistano, lo so con certezza...".

   “Se il viaggio non avrà successo, tutto il mio lavoro nell’America meridionale si concluderà con un fallimento, poiché non potrò fare più nulla. Sarò inevitabilmente screditato come visionario, accusato di volermi soltanto arricchire personalmente” (…)

ALLA RICERCA DI FAWCETT: IERI (1927-1957)

(...) Molti hanno supposto che gli indigeni locali li abbiano uccisi, poiché a quel tempo diverse tribù vivevano nelle vicinanze: i Kalapalo, che furono gli ultimi a vederli, o gli Arumá, i Suyá o i Xavante, nel cui territorio stavano penetrando. Entrambi i giovani erano malati e camminavano con difficoltà quando sono stati visti l'ultima volta, ma non ci sono prove che furono uccisi. È probabile che siano morti per cause naturali nella giungla brasiliana”.

   Si dovranno comunque aspettare oltre venticinque anni, per avere la conferma dell’inesistenza di quella città, almeno come l’aveva concepita Fawcett, grazie alle due spedizioni e relative ricognizioni aeree effettuate nel 1952-4 dal figlio Brian (1906-1984). Sarebbero infatti tutte fallite quelle che, a partire dal 1927, si organizzarono, per individuare le tracce del colonnello e dei suoi compagni. Incluse quelle dei singoli individui che, a vario titolo, in quegli anni già si trovavano, o si inoltrarono, nel Mato Grosso, per cercarlo, spesso perdendovi anche la vita."

(...) 1931

  "Nella regione del fiume Kuluene la spedizione antropologica dell’Università della Pennsylvania diretta da Vincent Petrullo (1906-1991) si imbatte in indios Kalapalo, che avevano incontrato i tre uomini scomparsi. A quanto pare i giovani erano malati e non volevano proseguire. Per cinque notti gli indios da lontano videro innalzarsi il fumo del loro accampamento, poi più nulla. Più tardi constateranno che l’accampamento era stato abbandonato. Questa sarà la versione “ufficiale”, più meno integrata da altri particolari, che da allora in poi sarà fornita dai Kalapalo sulla misteriosa scomparsa della spedizione…

Uomini della tribù Kalapalo

   Petrullo ritiene che Fawcett probabilmente “è morto di sete, fame o malattia. Da qualche parte nelle dense foreste ad est del fiume Kuluene. Credo sia impossibile per il colonnello Fawcett essere vivo in una regione che non si conosce. Là le notizie viaggiano velocemente. Specialmente se riguardano uomini bianchi, perché ce ne sono pochi”.

Da: ALLA SCOPERTA DEL MONDOARCHEOLOGI, ESPLORATORI, GRANDI VIAGGIATORI, GEOLOGI, NATURALISTI, PALETNOLOGI.  VOL. 4: AMERICA 

E-Book, versione cartacea in bianco e nero di grandi dimensioni (16,99 x 1,17 x 24,41), 253 pp, 243 note,  Bibliografia, 197 immagini (14 sono dell'A.), Appendice ("Narrazione Storica di una Grande, Nascosta Città Antichissima, Senza Abitanti. Che Venne Scoperta nel 1753", conservata con il n.512 nella Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro)





174. UN’«AVVENTURA URBANA»: SFERRAGLIANDO TRA LE COLLINE DI LISBONA, CON IL TRAM 28. DA: LISBONA, TRA TRADIZIONE E MODERNITA’. ALLA SCOPERTA DI UN’INSOLITA “CAPITALE-VETRINA” ATLANTICA

   

Il tram 28 al capolinea  (© Franco Pelliccioni)

Sussulta, sferraglia, si ferma. 

Riparte, accelera, svolta. 

Sale, scende, decelera. 

Potrebbe essere un treno, un otto volante o, con uno sforzo di fantasia in più, perfino un improbabile “tappeto volante”. 

Il rumore di fondo del mezzo, che si addolcisce solo poco prima di fermarsi, di tanto in tanto accompagnato da suoni simili alla percussione dei piatti di un’orchestra, non attenua la gioia e la confusione, l’allegria e l’entusiasmo di chi, in quel momento, condivide la mia stessa, certamente unica, esperienza. 

E i turisti si confondono con i locali, con i quali si trovano gomito a gomito. 

 Tanto che, a volte, li si può individuare solo per la loro eccitazione, che in qualche caso contagia anche i lisboeti, orgogliosi della loro particolarissima “sala de reuniones común”… 

A bordo del tram 28 tutti si reggono con forza a qualsiasi cosa sia capace di sostenerli e di mantenerli perpendicolari al pavimento. Resistendo, così, agli strappi che, più o meno a tradimento, infligge la vettura. 

Anche se con l’usuale affollamento l’unico rischio è che il colpo lo ammortizzino gli altri passeggeri… 

 Ad ogni sosta si avvicendano i viaggiatori che, come nei paesi nordici, attendono pazientemente in fila davanti a ciascuna paragem, bianca o gialla. 

Una correttezza scandinavo-britannica, che certamente non può che “spiazzare” il visitatore mediterraneo! 

E la rotazione si deve al fatto che negozi ed abitazioni si miscelano con le principali attrattive della città. 

 È comunque il forte abbrivo, che presto acquisisce la vettura, oltre alla sua velocità di crociera, che si incrementa discendendo dalle ripide colline (fino al 14,5% di pendenza), che creano a bordo un’aspettativa crescente. 

 Un’emozionante attesa per tutto ciò che in qualsiasi momento può accadere. 

Dopo poco, o appena dietro un’inaspettata curva. 

E l’acuto stridio dei freni va così a combinarsi al sibilante attrito metallico di ruote e binari. 

 La ridotta distanza spaziale esistente all’interno, corrisponde poi a quella tra le case e il mezzo, che si inerpica velocemente e viaggia spedito anche tra le Calçadas

Stradine così strette, che ne sfioriamo quasi le mura. 

Una sensazione intensa, che si amplifica allorché ci si sporge fuori dei finestrini. 

Quando il segnale stradale sembra che mi stia venendo addosso a tutta velocità e possa staccarmi la testa! 

Le singolari percezioni si placano laddove il mezzo deve, infine, arrendersi di fronte all’impenetrabilità dei corpi. 

Allorché il percorso si duplica a forcella e ci si immette in un vicolo a senso unico. 

Poiché la presenza di un’utilitaria, pure parcheggiata al millimetro, l’obbliga ad una lunga fermata. 

 D’altronde nelle strette strade di Lisbona non sempre c’è “posto per due”: forse è il tratto che costituisce il suo minimo “storico”, cioè quattro metri di ampiezza? 

Anche perché è una linea caratterizzata da vicoli così stretti, che solo lui è in grado di affrontare. 

Offrendo al passeggero emozioni a non finire, scorci suggestivi ed affascinanti, angolazioni inusitate e verticalizzate. 

Ma ecco che il mezzo stride nuovamente, continuando ad impressionarmi. 

Come ha fatto tutte le volte che sono salito sul tram numero 28. 

 Per cambiare direzione, grazie ad uno scambio, il conducente del tram turistico deve spostare manualmente la stanga del trolley.

   Prima di arrivare nella capitale portoghese, non sapevo che “quel” tram fosse una sorta di mito… 

Il mio rapporto con questi mezzi, a torto considerati obsoleti, ha conosciuto due momenti importanti, corrispondenti alla mia fase bambina ed adulta… 

Quando per Roma ne circolavano ancora parecchi, più volte l’avevo preso con la mamma, per andare al parco di Monte Mario. 

Decenni dopo non potrò fare a meno di viaggiare su uno dei celebri tram di San Francisco, rigorosamente sporto in fuori dal predellino...

 Anche perché non sufficientemente pubblicizzato all’estero, il 28 ha costituito una graditissima sorpresa. 

Tra l’altro mi era sfuggito il fatto che, al tempo della mia prima visita, potevo assistere ad un’eccezionale performance di fado

Per la presenza di ben 64, tra cantanti e musicisti di grido, al semplice costo di un biglietto! 

Viaggiare sul leggendario 28 è diventato, infatti, un must. Non solo perché il suo sarebbe il più bell’itinerario tranviario del mondo

...

PARTE SECONDA: RITORNO A LISBONA

(...) nei pressi dell’albergo, dove c’è il capolinea del celebre tram 28, sono sconcertato nel vedere un’interminabile fila di turisti in attesa, anche se i tram arrivano uno dopo l’altro. Certo, il tempo è trascorso, e le sue “particolari” performances urbano-tranviarie sono note oggi in tutto il mondo… 


DA: LISBONA, TRA TRADIZIONE E MODERNITA’. 

ALLA SCOPERTA DI UN’INSOLITA “CAPITALE-VETRINA” ATLANTICA

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sabato 27 luglio 2024

173. CONQUISTARE IL POLO NORD: LA "MAGNIFICA OSSESSIONE " DELL’ESPLORATORE STATUNITENSE ROBERT EDWIN PEARY. Da: ALLA SCOPERTA DEL MONDO. Esploratori, Geologi. VOL. 3: ARTICO – ANTARTICO

L'esploratore statunitense sostenne di aver compiuto l'impresa, ma in realtà si fermò a pochi chilometri dalla meta

   "Più volte ho avuto modo di scrivere sulla non conquista del Polo Nord, nel 1909, da parte dell’americano Robert Peary. Come nel 1996, quando per la Rivista Aeronautica commemorai l’impresa del dirigibile Norge di Amundsen, Nobile, Ellsworth, a cui certamente va ascritto, sia pure dall’aria, quel primato…

Ritratto di Peary, 1907

Indubbiamente è un personaggio assai controverso della storia delle esplorazioni. 

Poiché, salvo le due ultime spedizioni (1905-06 e 1908-09), i cui risultati si sono dimostrati inattendibili, è evidente come Peary abbia dimostrato al mondo un indomito coraggio e una capacità di accettare stoicamente la sofferenza. 

Perché è un uomo ostinato e sorretto da una volontà prodigiosa, animato da un corsaro spirito individualista e dotato di evidente carisma. 

Insomma un uomo d’acciaio che, ad ogni costo e con ogni mezzo, assume su di sé rischi incredibili, ricercando quella gloria che può raggiungere solo conquistando il Polo. 

“Io devo diventare famoso”, scriverà alla madre dopo la prima spedizione. 

Sarà purtroppo questa la sua “magnifica ossessione”

La “corsa al Polo”

   Sul finire del XIX secolo la “Conquista del Polo” è divenuta un’autentica e sfrenata gara internazionale, in cui si cimentano esploratori delle più diverse nazionalità, tra cui i più temibili sono i norvegesi. 

Per di più l’anno prima dell’ultima spedizione, sulla scena polare appare quel dottor Frederick A. Cook, che Peary aveva portato appresso da giovane in Groenlandia, in qualità di etnologo. 

Oltre tutto gli aveva anche sistemato la gamba spezzata. 

È partito l’anno precedente dagli Stati Uniti, e non si sa che fine abbia fatto. “Magari è già morto…”, avrà più volte pensato Peary!

 Comunque Cook è ormai diventato un pauroso incubo, che sempre ha presente dentro di sé. Proprio ora che anche lui è ormai là, a “pochi passi” dal Polo, che certo, prima o poi, raggiungerà… 

In cuor suo sa bene che ci deve riuscire, “comunque”! Dopo tutti i tentativi esperiti partendo dalla “via americana” (le regioni settentrionali di Groenlandia e dell’isola canadese di Ellesmere), utilizzando teams di supporto per stabilire depositi di provviste e costruire igloo, ricorrendo cioè al “suo” sistema.

   Purtroppo per Peary, l’incubo si materializzerà nel 1909, al suo rientro in patria dall’Artico...

Cape Columbia, Ellesmere settentrionale, punto di partenza verso il Polo Nord. Due Eschimesi Polari accanto al cairn, con i “cartelli indicatori” fatti apporre da Peary

(...) Quanto Peary fa tra il 1892 e il 1895 è eccezionale. 

Di per sé sufficiente ad annoverarlo tra i più grandi esploratori polari: utilizza i cani come forza motrice e come cibo, così che viaggia spedito, con poco peso, coprendo lunghi tragitti; si è spinto ben più in là di qualsiasi europeo; sperimenta e migliora il pemmican; costruisce igloo; indossa le pellicce eschimesi, che gli servono anche come giacigli e coperte; attraversa nel punto più ampio l’ilandsis; scopre la Terra più a nord del mondo. 

Prendi questa bandiera e installala nel posto più a nord che riuscirai a raggiungere”, gli aveva detto nel 1891 Hubbard, primo presidente della National Geographic Society. Ebbene, lui sì, che ci è riuscito..."

Da: ALLA SCOPERTA DEL MONDO. Esploratori, Geologi. VOL. 3: ARTICO – ANTARTICO 

E-Book e versione cartacea in bianco e nero di grandi dimensioni (16,99 x 1,17 x 24,41), 133 pp., 84 note, Bibliografia, 116 immagini (8 sono dell'A.)