Translate

lunedì 8 luglio 2024

169. L’ISOLA DI HEIMAEY, NELL’ARCIPELAGO DELLE VESTMANNAEYJAR, A SUD OVEST DELL’ISLANDA: Pesca, uccellagione; Thjódhátíd: una festa nazionale “particolare”; Una storia tormentata; Razzie e incursioni di corsari inglesi e pirati nord-africani; Lotta per la sopravvivenza DA: AI CONFINI D’EUROPA. VIAGGIO-RICERCA NELL’ISLANDA DEI VULCANI, DEI GHIACCIAI, DELLE SAGHE, DEL MONDO VICHINGO

 

Dopo una battuta di caccia ai puffini (© Franco Pelliccioni) 

Le Vestmannaeyjar e l’isola di Heimaey

 Le isole dell'arcipelago delle Vestmannaeyjar, sono state definite da un poeta islandese "come zaffiri incastonati in un anello d'argento".

Heimaey, che vagamente assomiglia ad un otto un po' deformato - come, dall'altra parte del mondo, l'isola di Tahiti -, è l’unica permanentemente abitata di un gruppo di quindici.

Le altre hanno solo ricoveri temporanei di cacciatori di puffini (e pecore che vi pascolano durante la breve estate), salvo Surtsey, dove è proibito sbarcare senza autorizzazione

Pesca, uccellagione

Pur rappresentando solo il 2% della popolazione islandese, gli isolani mettono insieme il 15% delle esportazioni complessive di pesce con la loro flotta di 100 imbarcazioni.

Il porto è uno dei più importanti del paese. Il pesce viene esportato sia fresco, che trattato nei locali impianti conservieri.

Accanto alla pesca gli isolani si dedicano alla raccolta di alghe (kelp) considerate un cibo sano.   In un arco di circa sei settimane, in estate, catturano gli uccelli (dagli 80.000 ai 100.000 puffini), in primavera raccolgono le uova.

Attività risalenti all'età vichinga, destinate ad integrare la dieta alimentare, specialmente in un non lontano passato (fino agli anni '30).

Mangiare puffini, che vengono preparati in occasioni speciali, di solito durante le festività, come quella di Thjódhátíd, è oggi soprattutto un simbolo, che denota la stretta appartenenza alla comunità isolana.

In più di un'occasione è stato fatto rilevare dai miei gentili interlocutori come essi si sentano, sotto molti aspetti, "diversi" dagli islandesi della Mainland o "più islandesi degli islandesi".

Thjódhátíd: una festa nazionale “particolare”

 Cosa che si evidenzia ancora oggi, anno dopo anno, nel corso dell'importante festa di Thjódhátíd, la loro "particolare" festa nazionale celebrata in una data diversa da quella islandese. Fin dal 1874. Quando per il maltempo fu impossibile agli isolani raggiungere Reykjavík, per festeggiare la concessione della prima costituzione da parte del re danese.

Così per gli abitanti di Heimaey la Thjódhátíd è ben più importante di tutte le altre festività messe assieme. In effetti si può affermare come gli isolani delle Vestmannaeyjar abbiano avuto una storia "autonoma" rispetto alla terraferma islandese.

D'altronde la loro posizione decentrata spazialmente, ma soprattutto geo-strategicamente più vicina ai paesi europei, ha fatto sì che nei secoli abbiano potuto contare su un più grande numero di contatti con l'esterno. Fatti di incontri culturali, ma anche di scontri!

Una storia tormentata

 La storia della comunità è stata abbastanza tormentata addirittura da prima della sua fondazione. Quando nell'isola vi furono rintracciati e giustiziati gli schiavi irlandesi (gli "uomini occidentali": è il significato di Vestmannaeyjar) lì rifugiati, dopo aver assassinato il fratellastro di Ingólfur Arnarson.

In seguito il vichingo Herjólfur Báðarson impiantò una fattoria, i cui resti sono oggi visibili nella Herjólfsadulur. Un perfetto anfiteatro naturale, dove ogni anno non casualmente si celebra la festa di Thjódhátíd.

Razzie e incursioni di corsari inglesi e pirati nord-africani

L'arcipelago nel XV secolo divenne proprietà della Norvegia e, successivamente, del Regno di Danimarca. Diverse e distruttive furono le razzie dei corsari inglesi che, a partire dalla metà del XV secolo, vi si stabilirono per oltre un secolo. Fortificando adeguatamente l'insediamento. Fino a quando furono scacciati dai commercianti danesi.

Mentre "sufficiente" fu l'unica incursione dei pirati nord-africani (1627)! Non contenti delle devastazioni già apportate ad altri villaggi islandesi, i "turchi" attaccarono Heimaey, razziandola e bruciandola. Oltre metà degli abitanti fu uccisa, resa schiava e deportata in Nord Africa.

La statua di Guðríður Símonardóttir.(© Franco Pelliccioni[Tra i prigionieri sarà famosa Guðríður Símonardóttir (1598-1682), in seguito conosciuta come Tyrkja Gudda (“Gudda la turca”). Venduta come schiava in un harem, sarà riscattata da re Cristiano IV di Danimarca. Più tardi sposerà Hallgrímur Pétursson, uno dei più famosi poeti islandesi] 

Lotta per la sopravvivenza

Ma gli isolani hanno sempre dovuto combattere una loro difficilissima quotidiana lotta per poter sopravvivere.

Navigando in un oceano, spesso tempestoso e crudele, dove solo avvicinare o lasciare il porto diventava un'impresa "eroica".

Lotta quotidiana che richiese, perciò, un alto prezzo in vite umane. E che spiega molto bene come il carattere dei membri di questa comunità sia stato forgiato nell'acciaio.

Si ricorda come in un sol giorno ben cinquanta pescatori scomparvero tra i flutti oceanici e come 100 furono le vittime nel secolo XIX.

Cifre di per sé già molto alte, ma che sono stratosfericamente incompatibili per il fatto che la comunità, fino a tutto il XIX secolo, aveva una popolazione demograficamente esigua. 

DA: AI CONFINI D’EUROPA. VIAGGIO-RICERCA NELL’ISLANDA DEI VULCANI, DEI GHIACCIAI, DELLE SAGHE, DEL MONDO VICHINGO

E-Book, versione cartacea a colori e in bianco e nero, I e II ediz., 297 pp., 150 note, Bibliografia, Mini-Glossario geografico, 346 immagini, di cui 304 a colori (284 sono dell'A.)

 




https://www.amazon.it/dp/1790378923

...

TUTTI I DATI (ECONOMICI, STATISTICI, DEMOGRAFICI, ETNOGRAFICI, ECC.) CONTENUTI NEI MIEI LIBRI SONO STATI ACCURATAMENTE VERIFICATI, INTEGRATI E AGGIORNATI AL MOMENTO DELLA LORO PUBBLICAZIONE.


168. DAL DIARIO DI VIAGGIO: CAIRO, II PARTE. “Avventura” nel Bazar; festeggiamenti serali di due matrimoni, di strada (egiziano) e in un teatro (sudanese). DA: VIAGGI IN EGITTO 1980-2009. CROCIERA AEREA E FLUVIALE SUL NILO; AI CONFINI CON IL SUDAN, ALLA RICERCA DI BERENICE TROGLODITICA E DELLA “CAROVANIERA DEGLI 11 GIORNI”; NEL SINAI

 

 Ingresso al bazar di Khan el-Khalili, Ebers, 1878

Cairo, “Avventura” nel Bazar (1980)

Quando ci troviamo a visitare il grande bazar di Khan el-Khalili è ormai sera e si sta facendo rapidamente buio. Continuando a vagabondare senza fretta tra un banchetto e un altro, inoltrandoci sempre di più nel labirinto di strette viuzze, costellate da negozietti e chincaglierie, veniamo avvicinati da un ragazzo, che chiede se siamo interessati a vedere all’opera dei mastri vasai. Un’occasione, questa, che due antropologi, che aborrono il bric-brac turistico, non possono certo lasciarsi sfuggire. 

Così il ragazzo si muove veloce davanti a noi. Prima attraverso vicoli e anguste strade, ancora illuminate dai negozi e frequentate. 

Il  tragitto poi si fa più lungo e sempre meno illuminato. Il tempo trascorre. Passiamo attraverso un cortile dietro l’altro. 

Il tutto sempre più è scarsamente illuminato, se non addirittura quasi buio. Perché riusciamo appena ad intravedere il ragazzo, che corre davanti a noi, tanto che incontriamo qualche difficoltà a seguirlo.

 Fino a che, più volte, sentiamo intorno a noi, ma a distanza, delle grida ripetute, ma anche dei colpi secchi. 

Così, nonostante non siamo dei novellini dei paesi esotici, ci fermiamo. Guardandoci molto perplessi e preoccupati. Decidendo all’unisono di scappare immediatamente e di tornare velocemente sui nostri passi, in luoghi illuminati, frequentati, più sicuri.

 Accompagnati dalle grida del ragazzo che, sempre più da lontano, ci dice di tornare indietro.

Assistendo ai festeggiamenti serali di due matrimoni, di strada (egiziano) e in un teatro (sudanese)

Al rientro da Luxor, poiché la partenza per il Sudan è prevista solo alle 19 del giorno dopo (MS 751, con arrivo a Khartoum alle 21,40), il nostro amico tassista ci vuole fare un regalo, anzi… due! 

Perché l’andare in giro di sera per la città, accompagnati dalla colonna sonora della superba e ritmica musica egiziana, che la sua radio trasmette a tutto volume, di tanto in tanto associata a più colpi di tromba, il tutto degnamente amplificato dai suoni di musiche e trombe dei numerosissimi automobilisti della città, è già un sorprendente regalo. 

Poiché ci fa vivere un’atmosfera del Cairo invero particolare. Un regalo che si aggiunge al fatto che ci vuol portare nei luoghi dove si svolgono i festeggiamenti per due matrimoni. 

Il primo di strada, egiziano, l’altro sudanese, ma all’interno di un teatro.

Dopo aver via via bloccato e interpellato numerosi cairoti, indifferentemente automobilisti e pedoni, ecco che arriviamo al primo appuntamento: una stretta strada, tutta tappezzata a festa, ricoperta da un grande tendone. 

È affollata da gente seduta davanti ad un palco, dove si esibisce una danzatrice del ventre, si fa musica, si leggono i nomi di coloro che hanno offerto denaro o regali alla coppia di sposi. 

           Assieme agli sposi egiziani, 1980 (© Franco Pelliccioni

Dopo essere stati fotografati assieme agli sposi e ai parenti più stretti della coppia, ci sediamo anche noi. Soddisfatti per ciò che stiamo vedendo e vivendo, noi assieme a loro. 

Dopo qualche tempo mi viene passato un narghilè, perché qui gli uomini fumano la shisha. Così mi unisco a loro, godendomi lo spettacolo assieme a Cecilia. 

Verso mezzanotte il nostro cortese anfitrione fa segno che è meglio andar vita, perché il tabacco che sta sul braciere del mio narghilè a quanto pare è stato sostituito dall’hashish… 

Perciò la nostra presenza, lì, potrebbe per noi diventare forse pericolosa!

Così, dopo esserci sbracciati per salutare, ci mettiamo nuovamente in marcia. Vengono consultati altri automobilisti e pedoni. Infine veniamo a sapere (“lui… viene a sapere”) dove si trova il matrimonio sudanese: è in un teatro a Giza.

Così il nostro uomo, dopo aver spiegato chi siamo e che stiamo per recarci in Sudan (e io ci sono già stato), ci accolgono molto volentieri. Ci sediamo. 

Il teatro, non piccolo, è completamente affollato, anche nelle balconate. Un’orchestrina sul palco esegue musica sudanese, interrotta di quando in quando dalla lettura di una serie di nomi.

 Anche qui sono di coloro che hanno fatto regali agli sposi.

Poi si comincia a ballare. Ci chiamano. Andiamo sopra. 

Io mi metto a ballare con le donne, fasciate dalle loro stupende tobe

Subito rimproverato da Cecilia, che mi ricorda che qui io devo ballare con gli uomini in jellabia ed ema (il “turbante”). Mentre lei continua a farlo con le donne. 

Trascorriamo diverso tempo. Alla fine si fa molto tardi. È ora di tornare all’albergo, anche perché domani sera dobbiamo volare fino a Khartoum. 

Così, dopo esserci sbracciati di nuovo per un saluto generale, lasciamo il teatro.

DA: VIAGGI IN EGITTO 1980-2009. CROCIERA AEREA E FLUVIALE SUL NILO; AI CONFINI CON IL SUDAN, ALLA RICERCA DI BERENICE TROGLODITICA E DELLA “CAROVANIERA DEGLI 11 GIORNI”; NEL SINAI

(E-Book, versione cartacea a colori e in bianco e nero, 277 pp., 259 note, 271 immagini, di cui 242 a colori (230 foto sono dell’A.):





Versione cartacea non illustrata https://www.amazon.it/dp/B08BW8LYDY

E-Book non illustrato: https://www.amazon.it/dp/B08BXQCMRY

...

TUTTI I DATI (ECONOMICI, STATISTICI, DEMOGRAFICI, ETNOGRAFICI, ECC.) CONTENUTI NEI MIEI LIBRI SONO STATI ACCURATAMENTE VERIFICATI, INTEGRATI E AGGIORNATI AL MOMENTO DELLA LORO PUBBLICAZIONE.

...

IL LIBRO E’ DEDICATO ALLA COMPIANTA AMICA E COLLEGA CECILIA GATTO TROCCHI 

(ROMA, 19 GIUGNO 1939- ROMA,  11 LUGLIO 2005)

Saqqara, dicembre 1980



domenica 7 luglio 2024

167. THE HUMAN AND GEOGRAPHICAL SCIENCES IN THE ARCTIC, PRIORITIES AND PERSPECTIVES: AN INTRODUCTORY OUTLINE, PART III - and last -: The Arctic Peoples, between Europe, Asia, America; The Etno-Anthropological and Geographical Studies From: QUI BASE ARTICA DIRIGIBILE ITALIA, SVALBARD. DALLA TERRA DEGLI ORSI POLARI UNA RASSEGNA E UN INVENTARIO CULTURALE DEI POPOLI DEL GRANDE NORD

 

 In one of the showcases of the fascinating, if somewhat outdated, Pitt Rivers Museum in Oxford, from top to bottom and from left to right, all in ivory: chain in the shape of animals (Icy Cape, Alaska, Western Eskimos, collected by Captain Beechey, 1826); knife and fish (Captain Lyon, 1884); ornamental bow drill (walrus, engraved) for making fire (Alaska, Kotzebue Sound, Beechey, 1826); netting needle, Western Eskimos (Beechey, 1826); walrus tusk (Eskimos, Baffin Island, 1925) (© Franco Pelliccioni)

[Paper read on the 15 May 1997 at the International Workshop held at Ny Ålesund (Spitsbergen Island, Svalbard), during the Official Opening of the Italian Arctic Base of the CNR "Dirigibile Italia"]

The Arctic Peoples, between Europe, Asia, America

 The peoples living in the Arctic, apart from single differentiations and particular life-rhythms, show an amazing background homogeneity.

We can, therefore, refer to a well definitive cultural cluster, that of the Arctic Peoples; the Sami Hætta speaks about a "circumpolar culture".

The basis of these cultures has adopted, not only ergological and survival systems (based on hunting, fishing and, in Eurasia, reindeers breeding), but also control mechanisms, that try to protect and to keep the unity of the group, at a family level, as well as at a collective level. And with the contemporary presence of cultural features and elements that, to an external observer, could result "strange" or terrible.

The linguistic families of Boreal peoples, that live the immense expanses of tundra or taigà of the Great North, group themselves in three big entities: Paleo-Asiatic, Ural-Altic, Eskimo (Inuit)-Aleuts.

The rigid climatic conditions of the Circumpolar area for centuries have prevented to the white people and their mass culture to penetrate deep into the Arctic.

The only historical example that comes straight away into my mind concerns the two Viking settlements in Southern Greenland, that didn't outlive the swift climate deterioration.

Also, because they found themselves in a sudden and violent collision with the Inuit, that were pushing through their territory. At a whole the demographic consistence of Circumarctic autochthonous peoples is around almost eight hundred thousand individuals: 600,000 Northern Siberians and Northern Russians, besides 100,000 Inuit (Eskimos) and 55,000 Sami (Lapps).

The Etno-Anthropological and Geographical Studies

The Cinderella of Arctic studies is personified by the sciences that here I represent, the ethno-socio-anthropological and geographical-ones.

As in 1994 it was evident, during my field-work in this archipelago. My research has been the first in the history of the islands.

In spite of the fact the Svalbard have been, for long time, an unicum in the world, an authentic, outstanding social and cultural laboratory (not at all "utilized"), in which life-styles and cultures, ideologies, strongly antithetical economic systems have had the chance to pacifically coexist among themselves, for decades.

As a matter of fact, the studies belonging to the exact and natural sciences have always been more privileged, here and elsewhere.

I remind that the seed of an Arctic Science has been laid down by Martens, an Hamburg surgeon, who in 1671 made the first botanical collections in the island of Spitsbergen.

 William Scoresby Jr. (1789-1857), engraving from 1821


Instead, An Account of the Arctic Regions, of 1820, written by the whaler Scoresby, formed an authentic, imposing summa of the knowledges there were up to that moment.

For time reasons, that I know unbreakable, is not possible for me, now, going on in speaking on ethno-anthropological matters, as I wished.

That of today afternoon is necessarily only one very modest introduction to a review of the human and geographical sciences in the Arctic, job whose integral layout has a wider extension.

As it is possible to see in the summary has been handed to you together with my paper.

There I have had the possibility to deal with scientific priorities, of single Arctic regions, as well as through focusing numerous problematic areas that are part of my discipline (in its different specializations) and of the geographical sciences.

If it will be still allowed me, I would like only to conclude in hinting to an aspect I believe extremely useful and important for the same future of Italian Arctic research: that concerning scientific popularization, that in parallel should follow any scientific activities, and of this be of support, in order to establish a favourable attitude and an informed consent to our Arctic activities.

The Italian public opinion could, as it happened with other enterprises carried out in distant regions, the space, or recently for Himalaya and Antarctic, be sensitized, in acquiring better knowledge and interest for activities of an "apparent" exotic taste.

Such an informative-cognitive input could act in future on two levels:

a) as a moral support to the activity of our scientists in the Arctic;

b) as a precious fly-wheel and propeller, towards mass media and political administrators, for further and more profitable involvements in Arctic research activities.

In a complex world like the one we are living in, where nevertheless everything remains emotionally, still for so many, too many... absolutely flat and grey, solicitations of this kind could draw an unexpected, but welcome, wave of consent and interest, tickled by a taste for adventure and the "different".

The same famous Malaurie discloses how the support given to him by an attentive public opinion was also owed to the numerous interviews and presences, granted and made, on newspapers, radio and television.

Also, if he was well aware of the fact that not all his university colleagues, afterwards, were going to agree on this!

He maintains, likewise, that "vulgariser, ce n'est pas abaisser (...) A la télévision, les films sont des moyens d'éducation et de communication aussi importants et nécessaires que le livre. Je reste convaincu que, par-delà mes séminaires aux Hautes Etudes, il est une plus grande université: celle du public. Et il convient toujours de faire appel à son intelligence".

From: QUI BASE ARTICA DIRIGIBILE ITALIA, SVALBARD. DALLA TERRA DEGLI ORSI POLARI UNA RASSEGNA E UN INVENTARIO CULTURALE DEI POPOLI DEL GRANDE NORD



E-Book e versione cartacea di grande formato - 16,99 x 24,41 - a colori e in bianco e nero (241 pp., 232 immagini, di cui 106 a colori, 204 note), I ediz. 
(versione in bianco e nero: https://www.amazon.it/dp/152075048X )



II ediz. cartacea (15,6 x 23,39), a colori e in bianco e nero (263 pp.). 
Versione in bianco e nero: https://www.amazon.it/dp/1790246121

166. ALLA SCOPERTA DELLE TESTIMONIANZE STORICO-ARCHEOLOGICHE DEL NORD-OVEST DI MAINLAND, LA PRINCIPALE ISOLA DELLE ORCADI: BROUGH DI BIRSAY DA: REMINISCENZE DI UN VIAGGIO NELL’ARCIPELAGO SCOZZESE DELLE ORCADI

 

 Straordinaria veduta sulla baia di Birsay, durante la bassa marea. Sullo sfondo l’isolotto di Brough di Birsay: faro e resti dell’insediamento vichingo. È il momento di raggiungere a piedi l’isolotto (© Franco Pelliccioni

Dopo aver pazientemente aspettato il momento giusto per proseguire a piedi la mia visita del nord-ovest di Mainland, in attesa che la bassa marea raggiunga il suo livello massimo, lentamente inizio ad attraversare il Sound di Birsay. Poiché l’isolotto Brough di Birsay [Brough qui sta per broch, mentre Birsay viene dal norreno Byrgisey, "isola fortezza"] è situato a poca distanza dalla costa [240 m] e posso raggiungerlo, non come fece Mosè, ma grazie ad un camminamento roccioso rialzato, ovviamente molto scivoloso, in gran parte naturale.

Il che è però possibile solo per ca. tre ore al giorno, cioè durante la bassa marea.

Per cui bisogna stare molto attenti, sia ai tempi di andata-ritorno, che di visita. Per non dover rimanere poi bloccati a Birsay, non so neanche per quante ore. Anche perché il buio totale, in questa stagione [dicembre] e a queste latitudini, arriva molto presto.

Sembra che l’isolotto un tempo fosse strettamente connesso alla terraferma di Mainland e che l’attuale situazione sia dovuta alla plurisecolare erosione marina: vento, onde, maree, che sono riuscite a disintegrare il terreno tra il Point o' Buckquoy [Dove oggi c’è un parcheggio per le auto] e l’isolotto.

Che, a quanto pare, già esisteva, come lo vedo oggi, nel VII secolo, al tempo dei Pitti. 

Sembra impossibile che, proprio in questo minuscolo lembo di terra, grande poco più di una ventina di ettari, per secoli si sia concentrato tutto il potere, sia politico, che religioso delle Orcadi. Fino al XII secolo. E in questo sperduto angolo risiedette Earl Thorfinn il Potente (morì nel 1064), uomo forte, saggio e magnanimo, durante il cui regno la potenza vichinga raggiunse l'apice, estendendosi fino alla Scozia e alle Ebridi.

Al di là di un muro di cinta, entro in un antico cimitero, vedo i resti di un monastero irlandese (V secolo), ma anche la chiesa romanica di San Pietro (XII°).

Certamente una chiesa importante, sede del primo vescovado delle Orcadi, che più tardi dovrà lasciare il posto alla Cattedrale di St Magnus, a Kirkwall.

Qui osservo anche la replica [L’originale si trova nel Museo della Scozia ad Edimburgo], non in scala, della famosa "pietra di Birsay", risalente all'VIII secolo.

L’hanno realizzata i Pitti, che nel VII secolo avevano preceduto i Vichinghi,

[Mandando avanti l’orologio della storia, ecco arrivare un popolo dell'età del ferro, quello dei Pitti - Picti, o popoli dipinti -. Come i romani chiamarono, dal 297 d.C., gli abitanti a settentrione del vallo Antonino]

e vi scolpirono una mezzaluna e un bastone a V sotto la cosiddetta mitica “Bestia Pitta”.

Oltre ad un’aquila e a tre guerrieri in processione, con spada, lancia e scudi.

L’originale fu ritrovato in frammenti nel 1935, durante gli scavi effettuati nel cimitero, anche se si trovava al di fuori delle sue mura

 Ma qui c’è anche ciò che rimane dell’antico insediamento vichingo. Composto da tredici case lunghe del IX-XII secolo, mentre a nord della chiesa le rovine che osservo assomigliano molto a quelle del Palazzo del Vescovo di Gardar (oggi Igaliko), nella Groenlandia meridionale, che ho potuto visitare.

Oltre a uno scivolo per barche.

 Oggi sul Web scopro che, oltre a pagare un biglietto di ingresso, il che sembrerebbe addirittura ovvio, allora non avrei potuto visitare il sito, perché chiuso tra il primo ottobre e metà giugno…

DA: REMINISCENZE DI UN VIAGGIO NELL’ARCIPELAGO SCOZZESE DELLE ORCADI 

(E.Book, versione cartacea a colori e in bianco e nero, 178 pp, 188 note, 172 immagini, di cui 142 a colori. 72 sono dell'A.)

                           



...

TUTTI I DATI (ECONOMICI, STATISTICI, DEMOGRAFICI, ETNOGRAFICI, ECC.) CONTENUTI NEI MIEI LIBRI SONO STATI ACCURATAMENTE VERIFICATI, INTEGRATI E AGGIORNATI AL MOMENTO DELLA LORO PUBBLICAZIONE.

sabato 6 luglio 2024

165. OLAVSØKA, LA FESTA DI ST. OLAV, A TÓRSHAVN, CAPITALE DELLE FÆR ØER: LA SFILATA POPOLARE, IL CORTEO DELLE AUTORITÀ POLITICHE E RELIGIOSE, QUELLO STORICO. DA: VIAGGIO NELLE ATLANTICHE ISOLE FÆR ØER IL PAESE DAI TETTI DI PRATO, CHE ONDEGGIANO AL VENTO

 

I cavalieri si attestano davanti al Parlamento in attesa del discorso rituale (© Franco Pelliccioni


Viste dal largo le Fær Øer sembrano disabitate: una muraglia di basalto si leva a picco dal mare in perenne burrasca (...) Dove la spuma ribolle e crea pericolosi vortici. Chi non è pratico preferisce non avventurarvisi (...) Alle Fær Øer non approdano mai turisti, solo naufraghi della pesca o navi di piccola stazza (...) Gruppi di case, interamente coperte in torba e pietra (...) Si stagliano nel paesaggio di una desolazione unica: non c'è quasi albero alle Fær Øer...
(Cova S., "Fær  Øer. Usi e Costumi", in Il Milione, Enciclopedia di geografia...., Novara, 1965)

I CAVALIERI, I CORTEI, LA REGATA

Particolarmente preziosa è stata l'occasione di poter partecipare alla Festa Nazionale faroese, l'Olavsøka - il giorno di St. Olav -, che ogni anno cade nei giorni 28 e 29 luglio. Durante i quali la tradizione culturale faroese ha modo di estrinsecarsi nelle sue articolate sfaccettature.

Mentre la politica si rafforza, con la solenne apertura annuale dei lavori del Parlamento, nel secondo giorno dei festeggiamenti, come da mille anni addietro ha sempre fatto.  Poiché re Olav Haraldsson il Santo morì nella battaglia di Stiklastad il 29 luglio del 1030.

 Il 28 la festa viene aperta da un corteo popolare, preceduto da cavalieri con la bandiera faroese, che si arresta davanti al Løgtingið, dove una banda suona l’inno nazionale.

Nel primo pomeriggio ha invece inizio una coinvolgente regata tra le tradizionali barche faroesi, con la partecipazione di numerosissimi ed entusiasti spettatori.

Perciò St. Olav non è solo una celebrazione religiosa, popolare, politica. O una festività nordica di mezza estate.

È festa, questa, che, sia pure sottilmente, conserva i contorni di quella "Grande Festa", così magistralmente descritta tanti anni fa da Vittorio Lanternari nell'omonimo libro.

È una festa di "Capodanno", nei suoi più appariscenti risvolti anche un po' "pagana" e pre-cristiana.

Durante la quale il faroese ha una sana voglia di divertirsi e di apprezzare ciò che di bello e di duraturo c’è nella vita.

 Mano a mano che il tempo trascorre e si continua a passeggiare e ad incontrarsi, e sempre più si prosegue nel bere, ecco che si intonano i primi canti.

TUTTO AD UN TRATTO, NELLA NOTTE, UOMINI E DONNE PER LE STRADE DI TÓRSHAVN DANNO INIZIO ALLA DANZA A CATENA MEDIEVALE

Più tardi, molto più avanti, nel cuore di una notte, che "oscura" non è mai, perché tutt'intorno a te c'è l’essenza stessa della vita, i primi gruppi di uomini e di donne, mescolandosi tra loro, prendendosi per mano, lentamente, gradatamente, sinuosamente, cominciano a muoversi ritmicamente, con le stesse movenze usate tanti secoli prima dai loro antenati.

…………….

Danza a catena in un francobollo faroese del 1981
(di Czesław Słania) 



LA DANZA A CATENA

Circa mezzo secolo fa si poteva leggere come le isole "hanno conservato antichissime tradizioni di danza. Qui per le feste, ad esempio, dopo le grandi cacce alla balena, c'è solo una danza a catena, senza accompagnamento strumentale, in un movimento caratteristico ondeggiante a sei passi. Le ballate [kvæði] che si cantano in queste feste non sono sempre, è vero, di origine antica, ma trattano ancora di Sigurd, Brunilde, Carlomagno ecc."(…) “La prima menzione scritta della danza faroese risale al 1616, quando l'islandese Jón Ólafsson sbarcò nelle Isole Faroe al servizio di Cristiano IV (…) Ma la danza faroese è ancora più antica. È chiaramente correlata alle forme di danza medievali europee” (…) Già presente in un lontano passato in diverse regioni scandinave ed europee, "la danza faroese è una semplice danza a catena nella quale i ballerini si tengono per mano e formano una lunga catena o anello a maglie annodate. La danza inizia con il leader (skiparin) e pochi altri che vanno avanti sul pavimento e iniziano a ballare. Poi gradualmente più persone trovano un posto nella catena e quando sono abbastanza, la catena può essere chiusa per formare un anello”.

……………………………………

E dire che la notte è fredda, piovosa, nebbiosa, ma non può che essere ugualmente vissuta fino in fondo! Non a caso, in passato, alcune sette religiose condannarono duramente queste danze, definendole "diaboliche".

Ecco perché le chiese, durante St. Olav, si danno da fare in piazza e sulle strade. Con sermoni molto ascoltati, anche con il tempo pessimo.

Mentre più volte al giorno, nella piazza principale (Vaglið), davanti al Parlamento e al Municipio, si ripetono i canti e gli inni dell'Esercito della Salvezza.

Del resto “giocano in casa”… Poiché la loro “base” è poco distante dalla “mia” Casa del Marinaio.

UNO STUPENDO COSTUME NAZIONALE

Molti uomini, donne, bambini indossano il costume nazionale, che è stato riscoperto in questi ultimi tre, quattro decenni, e tende ad avere più di un’assonanza con i vestiti di epoca vichinga.

Anche se non tutti possono permettersi di avere un vestito assai costoso.

 Poiché, a parte la splendida fattura, sono d'argento i pesanti, numerosi bottoni, che parallelamente ornano il cardigan (knappatroyggja) dell'uomo, che in testa ha la classica e semplicissima bustina dalle strisce rosse e blu (húgva).

Mentre le donne indossano un lungo vestito (stakkur), con numerose decorazioni e grande fermaglio, altrettanto d'argento (stakkanál), e si ascolta musica

 Forse, oltre la metà degli spettatori delle regate e delle diverse manifestazioni, oltre che dei partecipanti allo struscio "non stop", tra la strada pedonale, il cuore della città, e la zona occidentale del porto, indossa con naturalezza gli splendidi abiti tradizionali.

Ecco che la festa di St. Olav ha la capacità di rinnovare e rinsaldare vecchi legami e di costruirne nuovi.

Ecco che, anno dopo anno, si ribadisce la propria identità. Ricostruendola nuovamente. Rafforzandola in questi incontri, che dureranno per giorni.

Durante i quali, apparentemente, tutti sembrano felici.

Orgogliosi di essere faroesi. Fieri di mangiare e di bere insieme. Compiaciuti di questo loro aspro clima, come della loro rude terra.

Contenti fino in fondo di esserci nati e cresciuti.

Da: VIAGGIO NELLE ATLANTICHE ISOLE FÆR ØER. IL PAESE DAI TETTI DI PRATO, CHE ONDEGGIANO AL VENTO 

E-Book, versione cartacea a colori e in bianco e nero, 182 pp, 271 note, 180 immagini (139 sono mie) 


 Versione cartacea a colori: https://www.amazon.it/dp/B0942FDTP5


 Versione cartacea in bianco e nero  https://www.amazon.it/dp/B0948JWTX2


venerdì 5 luglio 2024

164. THE HUMAN AND GEOGRAPHICAL SCIENCES IN THE ARCTIC, PRIORITIES AND PERSPECTIVES: AN INTRODUCTORY OUTLINE, PART II: The Contribution that Italy could bring to Arctic Knowledge; The Italians and the Arctic. From: QUI BASE ARTICA DIRIGIBILE ITALIA, SVALBARD. DALLA TERRA DEGLI ORSI POLARI UNA RASSEGNA E UN INVENTARIO CULTURALE DEI POPOLI DEL GRANDE NORD

 

Giacomo Bove (1852-1887) ploughed the "mythical" North-East Passage aboard the Vega, with Nordenskjöld (1878-1880)

[Paper read on the 15 May 1997 at the International Workshop held at Ny Ålesund (Spitsbergen Island, Svalbard), during the Official Opening of the Italian Arctic Base of the CNR "Dirigibile Italia"]

The Contribution that Italy could bring to Arctic Knowledge

Italy has been called to carry out a first-rate rôle in the Arctic. 

Till now mostly non-existent, excluded some rare, often out-dated, exception. Sometimes, however, of very high importance. 

A rôle that should be "invented", therefore. But this only, not the human resources, that we know are numerous. 

Italy doesn't possess neither background, nor the know how of the Nordic states. Among which, furthermore, the great powers of the world or, anyhow, the more developed-ones are included. Not even of those countries, like Great Britain, that owe to their old overseas colonies continuity and "thickness" in their Arctic studies. 

What after a first consideration it could look like as a sort of our serious handicap, in comparison with other IASC member countries, in reality clears the field from ancient fogs, swamps, obstacles, routes, schools or, however, preset itineraries. 

Consequently, we should not try to servilely imitate works already made by others, or to be attracted by thematics already examined thoroughly by others. 

Our "Polar stars" should be formed by those people who, however, preceded us in the Arctic regions. 

I remind Cristoforo Negri, the founder of the Italian Geographical Society in the half of the XIX century, who has been an irresistible supporter of Polar expeditions. 

All the more the Society financed three foreign expeditions, as well. But those were other times, evidently... 

The Italians and the Arctic

The personages to whom we can refer to, somehow, if we were going to make a short history of Italian explorations and researches in the Arctic, aren't so numerous. 

As regards the "classical" explorations, in which it moved a never drowsy anxiety of knowledge, always dense of expectations, I want to remember the activities of some Navy Officers: Parent, who attended the Nordenskjöld expedition (1872), or the famous Bove, who ploughed the "mythical" North-East Passage aboard the Vega, always of Nordenskjöld (1878-1880), or De Rensis on the Djimphna (1884), blocked by ices in the Kara Sea. 

Besides the maritime expeditions of the last quarter of the century to the North Pole, that would be carried on, at the very beginning of the II Millennium, with the Duca degli Abruzzi expedition (1900), and to the "Passage," the Italians had known how to conquer a certain scientific leadership towards another Arctic region: Lapland. Francesco Negro in a voyage carried out between 1663-1666 reached North Cape. 

But relations with Lapland of Italian travellers and researchers, also ethno anthropologists, went on in the eight hundred century, thanks to botanist Filippo Parlatore, with his 1851's journey, and to Sommier and Mantegazza, who went to Scandinavia and Lapland in 1879. 

Sommier wanted to know "quel piccolo popolo che abita nell'estremo nord di Europa, in regioni desolate, ove per il rigore del clima e la sterilità del suolo, non potrebbe vivere nessun altro popolo europeo". 

He was among the first to make observations on the Kvens, the Finns emigrated in northern Norway. 

Stefano Sommier: Un' estate in Siberia fra Ostiacchi, Samoiedi, Siriéni, Tatári, Kirghĭsi e Baskĭri. Ermanno Loescher, 1885

In Finnic Lapland in 1883 he was preceded by Lamberto Loria. Between a trip and the other, Sommier pushed up himself as far as Western Siberia, exploring the course of the Ob river, taking an interest in Nentsy (Samoyeds) and Khanty

At the end of the XIX century Count Zileri went with Enrico, Prince of Borbone and Parma, in a first exploration to Svalbard and New Zemlja (1891). 

How don't remind, naturally, the scientific results originated from the two Nobile flights

Or the one, that became a forced reconnaissance of the great North-East Island of the Svalbard, searching for the red tent survivors?

 Made by Engenieer Albertini (1928) who, still in 1929, explored Spitsbergen, Franz Josef Land and New Zemlja. And by the alpine Captain Sora, the discoverer of the Isola degli Alpini

And what about the fine Italian alpine-scientific exploits: from Svalbard to Greenland, to Baffin. 

Up to the recent Messner crossing of the Greenlandic ilandsis already experienced, at the end of the XIX century, on a shorter route, by the great Nansen

Finally let me have the pleasure to mention a colleague, the late Zavatti. In the '60 he carried out five missions among the Canadian and Greenlandic Inuit and Lapps. 

He founded a Polar Museum and the magazine Il Polo

Lastly, I should remind my own experiences of Arctic researches. In 1983 I carried out an anthropological survey in a sample of six Inuit communities in the Canadian Arctic

In 1994 I worked, instead, to a project concerning both the national components (Norwegian and Russian) that are present in the Svalbard: in the fields of ethnicity, development and man-environment relationship. 

My intention for the future is to go on with the research. 

Besides to carry on with the job, started long ago within the frame of my "Program on Northern Atlantic Maritime Communities," with a research in a "sample" community of Iceland.

From: QUI BASE ARTICA DIRIGIBILE ITALIA, SVALBARD. DALLA TERRA DEGLI ORSI POLARI UNA RASSEGNA E UN INVENTARIO CULTURALE DEI POPOLI DEL GRANDE NORD


E-Book e versione cartacea di grande formato - 16,99 x 24,41 - a colori e in bianco e nero (241 pp., 232 immagini, di cui 106 a colori, 204 note), I ediz. 
(versione in bianco e nero: https://www.amazon.it/dp/152075048X )



II ediz. cartacea (15,6 x 23,39), a colori e in bianco e nero (263 pp.). 
Versione in bianco e nero: https://www.amazon.it/dp/1790246121