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domenica 23 giugno 2024

154.UN “VITTORIANO MEDITERRANEO” ALLA SCOPERTA DELLE ANTICHE TESTIMONIANZE STORICHE DELLE SETTENTRIONALI ISOLE ORCADI. DA: REMINISCENZE DI UN VIAGGIO NELL’ARCIPELAGO SCOZZESE DELLE ORCADI

. Straordinaria foto di tre megaliti del Cerchio di Brodgar [2500-2000 a.C.]. Sullo sfondo vista del Loch di Harray (© Franco Pelliccioni)

 

Uno degli aspetti più straordinariamente insoliti di quella mia lontana visita invernale, alla scoperta della principale delle isole dell’arcipelago [Mainland], è consistito nell’essere sempre stato incredibilmente solo, in ognuno dei miei spostamenti.

In tutte le diverse aree archeologiche e naturalistiche da me visitate, nessuna esclusa, non ho visto l’ombra di un turista, o di un isolano, o… di animali. A parte, ovviamente, dei soliti uccelli marini, di qualche pecora e di alcune mucche a mantello rosso, tipiche della Scozia, appartenenti alla razza highlander.

 Il mio viaggio in quella terra così remota, alla scoperta di antiche testimonianze storiche, non può non farmi pensare che anch’io, grazie ad un’improbabile “macchina del tempo”, sia tornato indietro nel passato. Ad un’epoca, mi piace pensare, visti i luoghi, che potrebbe forse corrispondere a quella di fine Ottocento.

Tanto da farmi immedesimare in un viaggiatore dell’età vittoriana. O, comunque, in un forestiero, intento a effettuare un classico Grand Tour, sia pure organizzato “al contrario”. Cioè in un uomo del sud, un mediterraneo quale io sono, che voleva avvicinarsi, conoscere e apprezzare realtà e habitat nordici.

Sfidando “coraggiosamente” le difficoltà insite in un clima certamente inclemente. Oppure, pensandola ancora più in grande, indossando i panni di un esploratore che, in una terra ignota, andava alla scoperta di peculiarità naturali e di abbondanti ed evidenti tracce di un remotissimo, a volte perfino “misterioso”, passato.

Risalente, addirittura, a prima dell’edificazione delle Grandi Piramidi Egizie.

La cui comprensione, come la “giustificazione” della loro stessa esistenza e funzione, in passato erano state così controverse, da aver dato adito ad un’infinita sequela di contrastanti dibattiti pseudo-scientifici. Sui quali, talvolta, ha saputo “infierire” chi le avrebbe considerate perfino aliene dal nostro mondo.

 All’epoca del mio viaggio, ormai quasi quaranta anni fa, quell’arcipelago rappresentava ancora una terra pionieristica.

Dove i visitatori, anche in estate, non dovevano poi essere moltissimi. 

Figuriamoci poi in inverno, nel mese più duro qual è dicembre.

Quando la media della temperatura oscilla tra 2,3 e 6,8 gradi, con 24 ore di sole, ma… per l’intero mese!

 D’altronde nel 1982 si era ancora agli albori dei viaggi e del turismo di massa, i tour organizzati erano ancora invero pochi, i biglietti aerei relativamente cari, c’era ancora chi aveva la fobia per i voli aerei, le compagnie low cost erano al di là da venire, così come Internet e la possibilità di autogestirsi i viaggi.  Così ho potuto visitare lungamente, “in solitaria”, ogni singolo sito archeologico e addentrarmi in aree, dove oggi è totalmente impossibile penetrare. Poiché possono essere osservate solo a distanza…  

Inoltre, anche in base ai miei ricordi, confortati dallo Scrap Book dei miei viaggi, penso che solo in un’occasione: la visita della Tomba a camera di Maeshowe [2800 a.C.], io abbia avuto un regolare biglietto di ingresso.

DA: REMINISCENZE DI UN VIAGGIO NELL’ARCIPELAGO SCOZZESE DELLE ORCADI 

(E.Book, versione cartacea a colori e in bianco e nero, 178 pp, 188 note, 172 immagini, di cui 142 a colori. 72 sono dell'A.)

                           



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TUTTI I DATI (ECONOMICI, STATISTICI, DEMOGRAFICI, ETNOGRAFICI, ECC.) CONTENUTI NEI MIEI LIBRI SONO STATI ACCURATAMENTE VERIFICATI, INTEGRATI E AGGIORNATI AL MOMENTO DELLA LORO PUBBLICAZIONE.


venerdì 21 giugno 2024

153. ESPOSIZIONE DI PARIGI DEL 1855: PALAZZO DELL’INDUSTRIA, DIPINTI E SCULTURE DI ARTISTI FAMOSI, IL PRIMO ALBERGO PER VIAGGIATORI, GALLERIA DELLE MACCHINE (CAFFETTIERA, LAVATRICE, MACCHINA PER CUCIRE SINGER, PISTOLA COLT, LOCOMOBILE), FOUCALT (PENDOLO), SAX (SASSOFONO), PONTE DELL’ALMA, LA ROTONDA. Da: ESPOSIZIONI UNIVERSALI, COLONIALI E INTERNAZIONALI DI PARIGI 1855-1937. ALLA RICERCA DELLE STRAORDINARIE TESTIMONIANZE DELLE “MANIFESTAZIONI MASSIME” DELLl’IMPERO FRANCESE: INDUSTRIA, TECNOLOGIA, INVENZIONI, ARTE, ARCHITETTURA, PAESI, GENTI

 

Il ponte dell’Alma (inaugurato nel 1855) nel corso dell’Esposizione Universale del 1889. Sui piloni si vedono l’Artigliere e il Cacciatore, collocato dove attualmente c’è invece lo Zuavo

Nel maggio-ottobre del 1855 a Parigi ha luogo l’Esposizione Universale dei Prodotti dell’Agricoltura, dell’Industria e delle Belle Arti, la prima di una straordinaria serie.

L’ha fortemente voluta l’Imperatore Napoleone III, impressionato dalla visita, nel 1851, del Crystal Palace di Londra. Ma sarà ancora più grandiosa, perché bisognerà pur dimostrare al mondo ciò che è capace di fare la Francia. La sua è, perciò, una raison d’être puramente politico-patriottica.  Non sarà sufficiente innalzare sugli Champs-Elysées un solo, seppure imponente, Palazzo dell’Industria: tre navate in acciaio, 110 m di larghezza, 254 di lunghezza, 30 di altezza.

A lavori iniziati si scoprirà che è già troppo piccolo. Perciò diventerà soprattutto quello delle Arti. Vi saranno esposte cinquemila, tra pitture (Ingres ne ha 40 ed è accanto a Delacroix, Descamps e Courbet) e sculture.

 Lungo la Senna è così aggiunta una Galleria delle Macchine lunga 1.200 m. Ospiterà il meglio della tecnologia dell’epoca. Innumerevoli apparecchiature, che con gran fracasso funzioneranno tutto il giorno. Poiché, in piena rivoluzione industriale, si sono avuti già enormi progressi rispetto a quattro anni prima!

 Due edifici saranno, poi, collegati ad una preesistente rotonda del 1839, il Padiglione dell’Impero, dove si espongono mobili ed oggetti della casa imperiale, diamanti della corona compresi.

La curiosità dei visitatori dell’Exposition è attirata specialmente dalle invenzioni: la macchina per il caffè (2.000 tazze l’ora) e quella per lavare la biancheria; il revolver a sei colpi di Colt; la Locomobile, veicolo mosso con l’olio di petrolio; la macchina da cucire Singer.

C’è anche Foucault, che dimostra scientificamente con il pendolo la rotazione terrestre. Intanto il belga Sax pubblicizza il sassofono…

Saranno i proprietari della ferrovia per Saint-Germain-en-Laye, con l’architetto capo Armand, personaggio che ho già ricordato altrove, a pensare come ospitare al meglio le illustri personalità presenti.

Costruendo il primo albergo per viaggiatori della Francia. Il primo ad avere un ascensore, ma anche 700 camere, ampie scale, omnibus a disposizione dei clienti per le stazioni ferroviarie, guide, interpreti, ufficio informazioni e cambio, 1.250 impiegati, addirittura un ristorante con cucina internazionale.

È l’Hôtel du Louvre: ci si aspettava un fiasco, sarà invece un successo strepitoso!  

“Questa è stata anche la mia prima “scoperta”, poiché l’albergo si trova ancora davanti all’uscita del Louvre: è il Louvre des Antiquaires. La vecchia dicitura appare ancora sotto l’insegna”…

Così scrivevo in un articolo pubblicato sulla Terza Pagina del mio giornale. Oggi mi accorgo di aver commesso, allora, un “piccolo” errore. Poiché nell’imponente palazzo, che in precedenza aveva ospitato l’Hotel du Louvre, quando scattai quella foto c’era davvero il Centro Commerciale “Louvre des Antiquaires”. L’antico Hotel si trovava invece dietro di me, poiché era stato “trasferito” dalla parte opposta della Place du Palais-Royal, però con ingresso e insegna su Place André Malraux, già da oltre un secolo (1887)...

 Dopo il ponte dell’Alma, inaugurato anch’esso per l’Esposizione, ma ricostruito in ferro e ingrandito nel 1974, individuerò su un suo pilone lo Zuavo, l’unico rimasto di quattro soldati. Utilizzato dai parigini per misurare il livello dell’acqua fin dall’inondazione del 1910, quando solo la testa affiorava.

 Il poco che resta è sparso per la Francia e la periferia parigina. Il Palazzo dell’Industria sarà distrutto nel 1899 e rimpiazzato dal Grand e dal Petit Palais. Fino ad allora fungerà da Palazzo dei Congressi ed accoglierà un’Esposizione del Lavoro e il Salone dell’Elettricità (1881).

 Ecco i numeri del confronto con Londra: 4 ettari di superficie in più e 24.000 partecipanti (di 36 paesi), rispetto a 17.000. Ma i visitatori saranno 5 milioni, uno in meno rispetto ad Hyde Park [Crystal Palace], mentre ci sarà un deficit di 8.300.000 franchi.

Nonostante ciò, l’Esposizione ha avuto successo e la competizione, per eccellenza e grandeur, con i cugini d’oltre Manica è solamente all’inizio… Il costo d’ingresso è di 5 franchi, ma vengono distribuiti 10.000 ingressi gratuiti a chi ci ha lavorato.

Da: ESPOSIZIONI UNIVERSALI, coloniali e internazionali DI PARIGI 1855-1937. ALLA RICERCA DELLE STRAORDINARIE TESTIMONIANZE DELLE “MANIFESTAZIONI MASSIME” dell’IMPERO francese: Industria, Tecnologia, Invenzioni, Arte, Architettura, Paesi, Genti

(E-Book, versione cartacea a colori e in bianco e nero, 118 pp, 57 note, 146 immagini, di cui 91 a colori. 54 sono dell'A.)




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152. THE LINGUISTIC IDENTITIES OF BOTH FÆR ØER ISLANDS (NORTHERN ATLANTIC) AND FRIULAN CARNIA (ALPS, NORTH-EASTERN ITALY). FROM: ARCHIPELAGOS AND ISLANDS AT THE MIRROR. SEA-ONES (FAROE and MYKINES, DENMARK), LAND-ONES (CARNIA and SAURIS, ITALY)

 

Tórshavn's inner harbour is mostly intended for small fishing boats (© Franco Pelliccioni)

The numerically modest communities of the Fær Øer islands and of Carnia show strong cultural linguistic identities. Rooted themselves through the centuries, not only because of a more than secular isolation. Speaking about the Carnian territory, this has counted remote villages, therefore of difficult access (like Sauris, of which I will discuss in a while).

Carnia has represented to a great extent a zone of transit and connection between the sea and the interior, between the Latin world and the Germanic-one, between the plains and the mountain alpine world.

 From the linguistic point of view, both languages, Foroyskt and Carnian (dialect form of the Friulan language) didn't had, up to not long time ago, a standardized orthography (for the Faroese language we can go back to the end of the XIX century, with some previous attempts), 

Foroyskt as medium of teaching was acknowledged in schools only in 1938. Since 1948 is the archipelago National Language.

Both, the Faroe islanders and the Carnians are, besides, bilingual.  

Faroese language has considerably developed the terminology of typical aspects of its own habitat and economy: breeding of sheep, capture of birds, fishing, topography, weather, climate. 

Only for the movements of the oceanic waters (waves, surf, stream, etc.), the folklorist and philologist Jakob Jakobsen (1864-1918) singled out 44 different terms (for him it was not even an exhaustive number!).

Speaking about the Carnian dialect, "the Friulan language doesn't have a standard handwriting accepted by all and, unlike the Italian, it is not the language of the public education”. 

Here a difference with the Danish islands!

Carnia: Fornu di Sopra (© Franco Pelliccioni)

In some churches, it is used in the religious functions. 

At times the people prefer to speak Italian. So, they don't close themselves towards the outside, due to the presence of tourists and of not Friulan residents. 

And people tend, anyhow, to identify themselves with the local community and with the nation at large.  

Finally, I remind that already of the regional law 22 March 1996, n.1540, provided the creation of a scientific Committee to propose "univocal solutions to the residual divergences between the handwriting of the Friulan Philological Society and the "unitary normalized handwriting."

So, it was created the OLF: “Osservatorio regionale della lingua e della cultura friulane e di una unità amministrativa specifica per le comunità linguistiche” (Regional Observatory of Friulan Language and Culture).  

In 2004, OLF has been substituted from ARLeF, “Agenzia Regionale per la Lingua Friulana” (Regional Agency for the Friulan Language). In 2007 a Regional Law approved the "Norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana" (Standards for the protection, enhancement and promotion of Friulan language), which replaced and integrated the previous regional regulations.

 The informal inculturation, that is the intergenerational and face to face transmission of values and knowledges, in the family and domestic sphere of the two cultures, met its apotheosis in the evenings, close to the fireplace. 

When the extended family had the chance to meet and were handed down, from mouth to mouth, from father to child, "stories", facts, events, values.

 The oral tradition, which has played a very first rate rôle in the two communities, seems today to have lost importance with the advent of the planetary and homologating medium, above all television. 

As the General Manager of the SVF, the Faroese Television, underlined to me, he was trying to utilize the powerful formative function of the medium to replace, also if partially, the traditional oral transmission in the roykstova.

 Something analogous started in Friuli, thanks to the regional law quoted before. To develop the Friulan language and culture, the law provided the creation of an agreement with RAI (Italian Radio and Television) for the realization of Friulan language television programs. 

So, Rai Friuli-Venezia Giulia has: Un program di atualitât, costum, culture e societât [A program of news, costumes, culture, society] broadcasted from Monday to Friday in the morning and in the afternoon (30 minutes in all).

From: ARCHIPELAGOS AND ISLANDS AT THE MIRROR. SEA-ONES (FAROE and MYKINES, DENMARK), LAND-ONES (CARNIA AND SAURIS, ITALY)

E-Book, paper version in colour, I and II ed., and in black and white, 111 pages, 90 notes, 105 images (66 belong to the Photo Library of the A.)


Colour I Ed. : https://www.amazon.it/dp/1521472084


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ALL DATA (ECONOMIC, STATISTICAL, DEMOGRAPHIC, ETHNOGRAPHIC, ETC.) CONTAINED IN MY BOOKS HAVE BEEN CAREFULLY CHECKED, INTEGRATED AND UPDATED AT THE TIME OF THEIR PUBLICATION.

giovedì 20 giugno 2024

151. TRA ECOINGEGNERIA E ASTROBIOLOGIA IL GRANDE PALAZZO MINOICO DI CNOSSO [QUELLO DI MINOSSE E DEL MINOTAURO]. Da: ALLA SCOPERTA DI MEGALI NÍSI, L’ISOLA DI CRETA. STORIA, ARCHEOLOGIA, NATURA, CULTURA

 


 L’ingresso di nord-est al Palazzo di Cnosso, parzialmente ricostruito dall’archeologo Evans (Archivio A.)

(…) Il Palazzo di Cnosso, oggi la più grande attrazione dell'isola, tra tutti i suoi vari livelli occupa una superficie complessiva di oltre 20.000 mq. Non solo era la raffinata residenza del signore, ma anche il fulcro della vita economico-amministrativa e religiosa della regione cretese, che gravitava intorno ad esso. In effetti il palazzo incorpora strutturalmente il tempio, tanto è vero che il termine woikos, secondo le scritture in lineare B delle famose tavolette, è utilizzato indifferentemente per casa e santuario. Qui officiava il re-sacerdote, rappresentante del Minotauro (dio-toro). Cioè il wánax, che la tradizione chiama Minosse, un titolo regale non strettamente legato ad una persona specifica.

Nel Palazzo di Cnosso lo spazio profano (orientale) e quello sacro (occidentale) si incontravano davanti ad un grandioso cortile centrale disposto su un’asse nord-sud, dove passava l’axis mundi di questa cultura del bronzo. Qui si ritrovano tutti gli elementi che caratterizzavano, per il Geertz, la “dottrina del Centro Esemplare”.

Poiché la corte esistente, il suo stile di vita, le cerimonie, i rituali e l’organizzazione sociale dovevano servire come “modelli culturali” e specchi per la comunità più ampia.

 Sul palazzo Evans scrisse: “gli elementi principali consistevano in torri, case e in una città fortificata. C’erano anche tracce abbondanti di intarsi di natura diversa, alberi e acqua, buoi e capre, guerrieri in marcia, lancieri ed arcieri, armi e utensili, forse la prua di una nave e curiose figure negroidi… Il particolare più stupefacente è costituito dalle facciate con i loro attici a due e tre piani e le loro finestre a quattro, o anche sei riquadri. Che in quell’epoca esistessero già finestre del genere, comprendenti anche delle specie di vetri, attesta ancora una volta la straordinaria anticipazione delle comodità della civiltà moderna, che caratterizza l’apogeo della storia minoica e che si manifesta con non minore evidenza negli impianti idraulici e sanitari”.

 La grande scalinata del Palazzo di Cnosso, foto d’epoca, 
Ashmolean Museum, Oxford

 In effetti una città-palazzo del genere poteva esistere solo grazie alla presenza di una grande quantità di mano d’opera e di una tecnologia per lo meno paragonabile a quella sumera, come conferma l’arredamento del palazzo. Anche se l’esistenza delle finestre menzionate dall’archeologo rappresenta una grossa innovazione rispetto alle buie abitazioni di Sumer. Quindi, anche se il Palazzo non ha seguito specifici canoni architettonici, come potrebbe immaginarli un moderno professionista, ha seguito invece linee-guida “altre”, e più profonde. Dettate dalla natura e dall’astrobiologia (…) i minoici di Cnosso vanno considerati come i precursori ante-litteram di un’audace ecoarchitettura ed ecoingegneristica. La costruzione del Palazzo ha seguito alcune idee-forza strettamente connesse alla natura, alla luce, al clima, oltre che al benessere dei singoli e al loro quotidiano (…) Cnosso, perciò, non è solo un’apparente e slegata “accozzaglia” di abitazioni e sale e non ha ricercato un’architettura indotta da modelli di magnificente grandiosità. Qui, come a Festo, la casa si è adattata al terreno. Sfruttando fino in fondo la conformazione di suolo e sottosuolo, ricavando appartamenti ai diversi livelli, tra loro collegati da scale.

(…) A Cnosso sono state aperte terrazze e ritagliati giardini pensili. Lucernari, “pozzi di luce”, muri provvisti di aperture superiori, porte e finestre (thurís) ottimizzano la luce, che penetra profondamente in ogni singolo ambiente, rispettando sempre e comunque il giusto rapporto luce-ombra... Ai costruttori l’habitat circostante ha suggerito il tipo di colonna portante in legno da utilizzare (…) Saranno tutte distrutte dagli incendi, che più volte bruciarono il palazzo.

(…) Natura e astrobiologia hanno insieme dettato l’orientamento dell’immenso edificio: ad oriente, verso il sole, troviamo gli ambienti privati del re e della regina; ad occidente, i magazzini ombreggiati e i luoghi destinati al culto. In tutti e quattro i punti cardinali ci sono poi gli ingressi monumentali, con logge e propilei colonnati. Cnosso aveva una buona conoscenza dell’idraulica, allora la più avanzata in Europa. Non solo perché le acque piovane raccolte sulle terrazze erano poi convogliate, assieme a quelle “nere”, in condotte sotterranee alte quanto un uomo, scaricando infine il tutto nel vicino fiume. Esisteva anche un buon sistema di approvvigionamento idrico (...) Nell’appartamento della regina la camera da bagno aveva un seggio in legno e un congegno di scarico a basculla, c’erano numerose vasche da bagno e, nell’area nord, vasche a gradoni per le abluzioni rituali.

 Al cuore del Palazzo si arriva dal cortile occidentale. Passando vicino ai magazzini (…) con le loro giare (píthoi), un tempo sigillate per non far deteriorare le derrate: grano, orzo, legumi, olive, vino, olio, usato anche per l’illuminazione. Erano ombreggiati e collocati sotto il piano stradale. Nei ripostigli lungo le pareti si conservavano, invece, i prodotti non commestibili.

Passo attraverso i propilei dell’ingresso meridionale, dove sono state collocate grandi corna taurine, anticamente poste sopra una finestra. Ricordo come i sacri simboli delle corna e dell’ascia bipenne proteggevano le abitazioni. Stavano ovviamente anche sugli altari, nonché ai piedi di alberi, pilastri e sopra i tetti. Il corridoio della Processione (…) mi porta quindi fino al vasto spiazzo della corte centrale.

La parte occidentale del Palazzo era quella ufficiale. Qui trovo le Sale di rappresentanza e quella del trono - thrónos - (in alabastro), articolata su tre piani. È adornata con un affresco con grifoni e gigli sullo sfondo. Era destinata al culto e ha una panca in gesso lungo le pareti.

 Vi si trova anche un bacino per le abluzioni e un piccolo tempio sul retro, con doppie corna, ascia bipenne e statuette. Accanto, ecco la sala del Tesoro del Santuario delle tre colonne. Sui pilastri vedo incisa la doppia ascia. Da qui provengono le celebri “dee dei serpenti” e numerosi oggetti cultuali, tutti conservati in enormi cofani di pietra.

L’ala orientale è anch’essa a più piani, tra loro raccordati da una maestosa scalinata ricostruita dall’Evans. Scende su tre livelli ed è punteggiata da colonne e pilastri e circondata da un lucernario. Dal cortile mi porta al piano terra, nelle residenze private dei sovrani, dove ci sono i mégaron (sale di rappresentanza) del re e della regina, con la sala dei colonnati, il cui ingresso è affrescato con i delfini, nonché le loro stanze private.

Ritornato in superficie, un altro corridoio mi conduce infine dal cortile centrale all’ingresso nord del Palazzo. Qui c’era la Dogana e la loggia (…) della Torre di Guardia. Al di là si trova il teatro più antico che si conosca (dopo quello di Festo). Con le sue gradinate all’aperto, divise in due parti, che vanno ad incontrarsi all’altezza del palco reale, e rivolte verso lo spiazzo destinato agli spettacoli (danze e tauromachie).

Il quartiere meridionale ospitava invece i servitori e gli artigiani (thhronoworgói), vasai e orafi compresi, non sappiamo se schiavi (dóeloi) o liberi.

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mercoledì 19 giugno 2024

148 BIS. BALENE E BALENIERI, TRA NORD ATLANTICO, PACIFICO SETTENTRIONALE, MAR GLACIALE ARTICO. VAGABONDAGGI ALLA RICERCA DELLE TESTIMONIANZE DELL’ERA DELLA CACCIA ALLE BALENE

 

La bocca di una Finner Whale (Balaenoptera physalus). Stazione baleniera di Colla Firth, Shetland, 1904
(foto W. G. Burn Murdoch, da: Modern Whaling & Bear-Hunting…1917) 

Nel corso dei viaggi di ricerca che mi hanno condotto in diversi settori dell'emisfero boreale, mi sono spesso imbattuto nei resti e nelle, più o meno vistose, tracce di stabilimenti e di stazioni di caccia alle balene.

 Sovente abbandonate da molto tempo, altre volte solo da pochi decenni, costituiscono il simbolo di un'era ormai lontana nel tempo, alla quale la maggioranza di noi si sente oggi totalmente estranea.

 Nonostante le numerose e complesse implicazioni inerenti alla tecnica e all'oggetto stesso della caccia, la sanguinosa mattanza dei cetacei, per lunghi secoli e per diversi popoli, in particolare di regioni e aree marittime - insulari o costiere -, ha rappresentato una parte invero non secondaria, se non di determinante importanza, della loro cultura.

 Caratterizzata da uno stretto rapporto con l'habitat e l'ambiente marittimo. Bisogna infatti ricordare, e ciò è valido ed è ugualmente estensibile a tanti altri campi del nostro vivere quotidiano, come del tutto "recenti" siano le conquiste operate da ecologi ed etologi, da "verdi" ed animalisti.

A parte pochi casi ascrivibili agli usuali precursori. Membri di una "illuminata" avant-garde, senza bandiere e senza frontiere.

Il problema nacque e si impose all'attenzione dell'opinione pubblica internazionale e dei governi, con sempre più forza e determinazione, non a causa della caccia in se stessa. Ma, come al solito, dal "progresso", che anche in questo campo ha comportato l'impiego di tecnologie sempre più devastanti e distruttrici.

 A partire dall'invenzione, nel 1864, del celebre cannoncino fiocinatore esplosivo, ad opera del norvegese Svend Foyn.

Per cui quello che era un "prelievo" di risorse marine, più o meno giusto, nel tempo si sarebbe trasformato nell’indiscriminato sterminio dei cetacei, alcuni dei quali erano, e sono tuttora, minacciati di estinzione!

 Se le vecchie stazioni baleniere abbandonate, che mostrano oggi abbondanti tracce del degrado provocato dallo scorrere del tempo e dalle avverse condizioni climatiche, ci ricordano anche "realtà" che possono anche non piacerci, poiché indissolubilmente collegate alla morte di tanti grandi mammiferi marini, l'avvistamento delle balene, sia volontario, nel corso di appositi e gradevoli whalewatching, o casuale, ha sempre provocato, in chi scrive, un'eccitazione ed un'esaltazione indescrivibili, quasi fanciullesche, che mai erano state altrove provate. Nei confronti di altri stupendi abitatori del mare (delfini, foche o lontre, ad esempio) o, magari, terrestri.

 In Africa il paragone va ai tanti elefanti, rinoceronti, od addirittura ai leopardi, intravisti, fotografati, e perfino inseguiti, tra Kenya settentrionale e Sudan meridionale.

Strano a dirsi, ma l'incontro con i grandi abitatori della savana non riesce a reggere il confronto con quello delle balene. È un contatto visivo, ma non solo..., che trascende il rapporto occhi-cervello: è emotivo, istintivo.

 Si collega alla parte più nascosta di noi, quella che gli psicanalisti definiscono l'io, che riesce a smuovere perfino le "acque" del nostro subconscio.

 E quella, in effetti, rappresenta un'imprevedibile e sorprendente realtà del mare che è riuscita sempre a stupirmi.

 Ad attrarmi per tutte le sue implicazioni, di fantasia e di mistero - perché no: non sono un cetologo o un biologo marino! -, ma anche per quell'alone di poesia, che pure quel mastodontico abitatore delle profondità oceaniche, con i suoi comportamenti di superficie, a volte flessuosi come quelli di una ballerina d'opera, è riuscita sempre a evidenziare. Suscitando profondi, indimenticabili, turbamenti.

 Negli anni i miei diversi incontri, nelle regioni più diverse, di questa realtà, mi hanno offerto la possibilità di riflettere sull'importante ruolo che la caccia alle balene ha avuto in passato nei campi più disparati.

Dalle esplorazioni di terre ignote e lontane (i volumi scritti dal baleniere scozzese Scoresby sono entrati di diritto nella storia delle scoperte geografiche), e quindi dall'apertura di nuove vie. Sia marittime, che terrestri, che hanno condotto ad una più accurata ricognizione di territori e passaggi marittimi, e all'incremento delle conoscenze geografiche (isole, stretti e canali, regioni continentali, ecc.) e climatiche, come di quelle etnografiche.

 Grazie ai molteplici incontri ed alle descrizioni che venivano fatte degli "usi e dei costumi" delle diverse popolazioni artiche indigene. Su quest'ultimo fa, però, notevole aggio l'aspetto negativo sui risvolti positivi.

Ciò per la continua e costante opera di acculturazione e di disgregazione culturale che i popoli artici avrebbero sperimentato sulla propria pelle fin dal principio del XIX secolo. E, a volte, ancora prima, a seconda del settore geografico artico interessato. Negative dinamiche culturali, che sarebbero state innescate anche a prescindere dalla volontarietà, o meno, degli stessi cacciatori di balene.

(...) Il libro si focalizzerà su alcuni aspetti, storici od attuali, ai quali ho potuto accedere direttamente, nei settori nord-atlantici, del Pacifico settentrionale e dell'Artico canadese, groenlandese, norvegese.

 Ecco le tappe del nostro lungo itinerario nello spazio e nel tempo: Alaska sudorientale (USA); isola di Vancouver (Colombia Britannica, Canada); Tuktoyaktuk (Mare di Beaufort, Artico occidentale, Canada); Qausuittuq (Alto Artico canadese); Iqaluit e Pangnirtung (isola di Baffin, Artico orientale, Canada); Narsaq (costa occidentale della Groenlandia meridionale); Svalbard (Norvegia); Norvegia; Islanda; Shetland, Orcadi, Ebridi Esterne, St Kilda (Scozia, UK); Fær Øer (Danimarca); Saint-Pierre et Miquelon (Francia), Terranova, Québec (Canada), Madeira (Portogallo); Canarie (Spagna).

 Invece, per quanto riguarda le popolazioni autoctone, il libro si interesserà agli Inuit e agli Indiani del Nord-Ovest (i cosiddetti indiani dei totem o del salmone).

Per quanto invece concerne gli europei, spazio sarà dato a canadesi, norvegesi, scozzesi e faroesi, nonché agli equipaggi delle diverse nazioni europee che, a partire dal XVII secolo, si interessarono, e "con profitto", alle fisheries delle Svalbard e del Mare di Barents.

 In ultimo, non ci dimenticheremo del ruolo pionieristico esercitato dai baschi in questa attività venatoria. Tra i primi a cimentarsi nella caccia alle balene, specialmente alla Eubalaena Glacialis.

 Spingendosi fin sulle sponde nord americane, a partire dal XV secolo. Secondo alcuni studiosi, i baschi avrebbero frequentato i mari subartici nord-americani addirittura prima di Colombo.

È questo un ulteriore caso di "scoperta" dell'America prima del Navigatore, che va ad aggiungersi a quella dei Vichinghi di Vinland?


https://www.amazon.it/dp/B0C522JP54, versione cartacea a colori (“premium”) di grande formato (163 pp., 156 foto), ma c’è anche la versione in bianco e nero, oltre all’E-Book.

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TUTTI I DATI (ECONOMICI, STATISTICI, DEMOGRAFICI, ETNOGRAFICI, ECC.) CONTENUTI NEI MIEI LIBRI SONO STATI ACCURATAMENTE VERIFICATI, INTEGRATI E AGGIORNATI AL MOMENTO DELLA LORO PUBBLICAZIONE.


150. IL TRENO "ALPINISTA" CHE VOLEVA ARRIVARE SULLA SOMMITA' DEL MONTE BIANCO. Da: IL GIRO DEL MONDO… IN 15 TRENI. TRANSCONTINENTALI E DI LUSSO, DI PENETRAZIONE COLONIALE E MILITARE, DEI CERCATORI D’ORO, DEGLI HAJJI, “ALPINISTICI”


Osservatorio di Jules Janssen sulla cima del Monte Bianco
(CC Some rights reserved Leo Wehrli) 

Premessa: breve digressione nostalgico-alpinistica

Da giovane avrei voluto cimentarmi in due ascensioni, che sapevo non avere alcuna difficoltà di ordine tecnico-alpinistico. Poiché arrivare fino in cima dipendeva essenzialmente da un lungo addestramento, oltre che da una meticolosa preparazione.

 Nel primo dei miei due soggiorni di ricerca antropologica sul campo ad Isiolo, in Kenya, più volte andai con il pensiero al non lontano Kilimanjaro (Tanzania). Quella, in effetti, poteva costituire la mia prima ascensione. Mentre sapevo bene come ci fossero delle difficoltà per scalare il Monte Kenya, alle cui pendici sorgeva la cittadina dove mi trovavo. 

Per quanto riguarda, invece, la seconda scalata, il mio wishful thinking non poteva che concernere il Monte Bianco.  

Poi sono trascorsi anni e decenni… 

E dire che nella mia vita sono riuscito a concretizzare, in giro per il mondo, molti “sogni”. Alcuni di loro mi sembrano ancora oggi così incredibili, da non ritenere vero che io sia riuscito a realizzarli. 

Altri, al contrario, hanno continuato a rimanere latenti “nel cassetto”.

 Qualche anno fa decisi che, almeno da vicino, avrei visto il Monte Bianco. Non da Courmayeur, ma dall’altro versante, quello dei nostri cugini d’oltralpe. 

Così dalla mia preziosa base di partenza di Chamonix progettai, nel mese di gennaio, ben tre “modi” per riuscire ad ammirarlo: l’utilizzo di una delle cabinovie più alte al mondo e di due treni a cremagliera, tra cui quello che mi avrebbe dato la possibilità di osservare uno dei ghiacciai più famosi e storici d’Europa: la Mer de Glace, il “Mare di Ghiaccio”…

 Anni prima avevo pubblicato un articolo su Richard Pococke, Arcidiacono di Dublino e grande viaggiatore, che nel 1737 partì per il suo viaggio in Oriente (…)  sarà lui il primo viaggiatore scientifico ad entrare nel paese. 

Precedendo di molte lunghezze l’impresa Napoleonica che, con i suoi “somari”, come i militari soprannominarono i 167 studiosi e tecnici, che vi parteciparono, è considerata la prima ad essersi interessata scientificamente all’antico Egitto (…) 

Tornerà in patria cinque anni dopo, attraversando Svizzera e Savoia e offrendo le prime descrizioni dei ghiacciai del Monte Bianco (…) 

Poiché con una vera e propria spedizione, composta da 8 viaggiatori e 5 domestici armati fino ai denti, si era spinto nella vallata di Chamonix, che allora si riteneva popolata da “selvaggi”. 

Oggi il suo nome figura nei trattati di Egittologia e in quelli di Storia dell’Alpinismo... 

Le Tramway du Mont-Blanc (T.M.B.) 

 Mettete un pugno di ingegneri appassionati di montagna ed esperti di ferrovie, soprattutto se a cremagliera. 

Immaginate che c’è la possibilità di arrampicarsi, non su una montagna qualsiasi, ma su una blasonata e prestigiosa vetta, addirittura la più alta di Francia e d’Europa. 

Mettete che quegli stessi uomini abbiano una discreta dose di coraggio, intraprendenza, miscelata a “visioni” indubbiamente fantascientifiche. 

Il tutto unito a massicce dosi di romanticismo. Anche, e soprattutto, in considerazione, sia dell’epoca nella quale vivono e operano, che della tecnologia dell’epoca. Che apparteneva sì, e da tempo, all’età industriale, ma certo non era assolutamente sofisticata, o comparabile in alcun modo con quella che noi tutti, oggi, consideriamo, a volte perfino sottovalutandola, come “normale”… 

Perché qui parliamo di oltre un secolo fa. Quando, all’inizio del XX secolo, si progettava di portare un treno su, su, fin quasi sulla vetta del Monte Bianco, cioè sul Tetto d’Europa. 

 Del resto su quella vetta, come su uno spuntone di roccia lì vicino, a quei tempi già si trovavano ben due Osservatori scientifici. 

Il primo realizzato nel 1890 dal fisico, astronomo e geologo Joseph Vallot, a 4.350 m d’altitudine. Oggi è ancora in funzione… 

Il secondo “poggiato” nel 1893 proprio sulla vetta dall’Accademico delle Scienze Jules Janssen che, non a caso, si rivolgerà per una consulenza all’ing. Eiffel. 

Poi sarà lo scoppio della Grande Guerra a mettere una brusca frenata ad un sogno così ardito. Costringendo la ferrovia ad arrestarsi ben prima. 

Chissà dove sarebbero riusciti ad arrivare quegli uomini, senza quel tragico “contrattempo”. Perché, all’epoca, tutto sembrava possibile e realizzabile, perfino, o soprattutto, l’impossibile… 

 Probabilmente chi l’aveva ideata doveva essere un entusiasta di Jules Verne e dei suoi straordinari romanzi. 

Perché un treno che si arrampica fin sulla cima del Monte Bianco non può che essere uscito dalla sua fervidissima fantasia… 

 Oggi il treno che voleva arrivare sul Monte Bianco parte da Saint-Gervais-Le Fayet (584 m) e in un’ora, in inverno, conduce a Bellevue (1.794 m), ai piedi del ghiacciaio di Bionassay (2.800 m), sotto l’Aiguille du Goûter. D’estate giunge fino al Nid d'Aigle, a 2.372 m di altitudine. 

La “Mademoiselle d'Angeville”(020T n. 3), la locomotiva a vapore così chiamata in onore dell’alpinista franco-svizzera, che è stata la seconda donna a salire sulla vetta del Monte Bianco nel 1838.
St. Gervais-La Fayet, Francia (Archivio A.)

Breve cronistoria del progetto 

Un primissimo progetto ferroviario risale al 1835. J.L. Eggen vuole che la ferrovia passi sotto il ghiacciaio del Taconnaz, scavando una galleria tra la montagna della Côte e il Monte Bianco. Dopo oltre mezzo secolo, si comincia a fare sul serio, tanto che i progetti si moltiplicano. 

 Nel 1896 Saturnin Fabre idea una ferrovia che, partendo da Les Houches (a sud di Chamonix), tocca il Gros Béchar, l’Aiguille, il Dôme du Goûter. 

 Raggiungendo senza ascensore la cima del Monte Bianco. In tutto 11,4 km, di cui oltre 9 in tunnel, per un dislivello complessivo di 3.573 m. 

Nel 1897 il progetto di Souleyre vuole invece portare il ferro sopra le “Gobbe del Dromedario” (Bosses de Dromadaire), cioè proprio davanti alla cima, a ben 4.525 m di quota. 

Verrà scartato, poiché irrealizzabile, vista l’enorme pendenza. Il progetto si è infatti dovuto confrontare con quello che risulterà vincente. 

L’ha ideato Henri Duportal, costruttore della linea Parigi-Lione-Mediterraneo. Risale al 1902 e prevede l’arrivo all'Aiguille du Goûter, via Colle di Voza, Bellevue e Pierre Ronde, per finire in sotterranea. 

I lavori iniziano nel 1905. Nel 1907 i convogli, formati da locomotore e un vagone, in due ore e mezza giungono al Colle di Voza (7,650 km), ad una velocità di 8 km/h. 

Due anni dopo (1909) il treno a cremagliera è operativo e si spinge un altro chilometro più su (8,768 km). 

Nel 1914, dopo un tragitto complessivo di 12,508 km, raggiunge la quota di 2.372 m. 

È il Nid d'Aigle (il Nido dell’Aquila), il capolinea. Già dal 1913 turisti e alpinisti utilizzano il treno, che giunge fino a Bellevue, ai piedi del ghiacciaio Bionnassay, dove c’è un panorama eccezionale. 

 Come già sappiamo, lo scoppio della Grande Guerra interromperà i lavori ferroviari. In quegli anni i treni, salvo qualche rara eccezione, non circoleranno sulla linea. Cominceranno gradatamente a viaggiare dalla primavera del 1918. Anche se il prolungamento fino all’Aiguille du Goûter non vedrà mai la luce… 

 Né, tantomeno, i convogli arriveranno mai fin sulla sommità del Monte Bianco!

Il mio viaggio 

 Con un normale treno, raggiungo Saint-Gervais-La Fayet da Chamonix, giusto in tempo per guardarmi intorno. Scattare qualche foto. Prendere il treno a cremagliera delle 11. In un’ora sarò infatti a Bellevue. Avrò così tutto il tempo, da lassù, di godermi il paesaggio e di pranzare nello storico albergo (...) 

L’itinerario è ancora più affascinante d’inverno. Quando la neve, abbondante quest’anno, ricopre l’intero percorso. 

Purtroppo, per via della forte nevicata, il viaggio non sarà proprio come l’immaginavo. Il tratto più bello parte dalla stazione di Saint Gervais, un paese che ha saputo mantenere uno charme discreto e appartato. In stile Belle Époque, quando Saint Gervais era frequentata da una clientela aristocratica e borghese (...)  Il treno sul quale salgo si chiama Jeanne, poiché ha il colore rosso. È quasi semideserto. 

Il tempo è assai brutto. Non c’è neanche l’ombra di uno sciatore… D’altronde siamo a gennaio, un mese durante il quale i francesi non amano andare in montagna, per via del forte freddo. 

Da Saint Gervais il treno prende quota in forte pendenza, con numerosi tratti a cremagliera. La velocità non supera mai i 20 km/h. Il convoglio si inoltra fra foreste di conifere e belle vedute sulla valle e gli alpeggi, però solo… in estate! Perché mi sarà negata la fascinosa visione, che tanto attendevo (...) 

Il panorama che osservo dai finestrini è infatti livellato da uno spesso manto nevoso, che va ad aggiungersi a molta, troppa nebbia. Solo di tanto in tanto riuscirò ad intravedere qualcosa. 

Sul percorso si incontrano stazioni minuscole, come quella del villaggio di Motivon, dove si sosta per i residenti. Il treno a volte trasporta anche pane e scorte alimentari per gli alberghetti e i ristoranti in quota. 

Infine, ecco il colle di Voza. Sono quindi arrivato. 

Anni dopo scoprirò come, grazie a quel mio viaggio, io abbia potuto accedere all’originale Hotel Bellevue. Poiché due anni dopo dovrà essere demolito, per essere ricostruito in base all’architettura originaria, che aveva nel 1837. Per poi riaprire nel 2010. 

Niente di tutto ciò è invece avvenuto. A quanto pare l’albergo è oggi abbandonato.

DA: IL GIRO DEL MONDO… IN 15 TRENI: TRANSCONTINENTALI E DI LUSSO, DI PENETRAZIONE COLONIALE E MILITARE, DEI CERCATORI D’ORO, DEGLI HAJJI, “ALPINISTICI” 



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(241 pp., 223 foto, di cui 136 a colori, 254 note, bibliografia) 

sabato 8 giugno 2024

149. TRA GLI "INDIANI DEI TOTEM" KWAKIUTL (oggi Kwakwaka’wakw) DI ALERT BAY (ISOLA DEL CORMORANO, COLOMBIA BRITANNICA, CANADA). QUI INCONTRO ANCHE UN PERSONAGGIO STRAORDINARIO: IL SINDACO ITALIANO (TRENTINO) GILBERT POPOVICH (1935-2005)


Gilbert Popovich riceve nel 2005 un premio dalla BC Achievement Foundation (foto BC Achievement Foundation)* 

(...) Il giorno dopo raggiungo l’isola del Cormorano a bordo di un altro ferry. Qui ho tutto il tempo per visitare attentamente Alert Bay, dove si trova la banda Nimpkish dei Kwakiutl. 

(...) Yah-lis (Alert Bay) è considerata un po' come l'ombelico dell'universo Kwakiutl. Qui si seppellivano i morti. Qui c'era, forse, il luogo più importante di aggregazione sociale e culturale di questo popolo. Qui sono nati i grandi personaggi di questo gruppo, capi e scultori di totem. Qui in passato, ma anche recentemente, si sono tenuti alcuni tra i più fastosi ed importanti potlatch Kwakiutl. Ed è ancora qui che si è voluto costruire, non molto tempo addietro, quella che per l'intera nazione dei Kwakiutl aveva sempre rappresentato un sogno, la "grande casa" tribale. 

(...) Qui, nonostante le proibizioni governative, queste "Grandi feste" [potlatch] si sono sempre tenute. Specialmente durante i lunghi periodi invernali. Quando le pessime condizioni del mare non consentivano i periodici controlli di polizia. E lo splendore di un tempo lo si può ammirare all'interno dell'U'mista Cultural Centre.

Gilbert Popovich, sindaco italiano di Alert Bay

 All’epoca non sapevo di aver incontrato un personaggio di eccezionale caratura. 

Perché Gilberto Guella (1935-2005) di Pranzo (fraz. di Tenno), a pochi chilometri da Riva del Garda, emigra a 17 anni in Canada, dove viene adottato dalla zia Popovich. Sarà così che il nome muterà.

 Gilberto Guella è stato aviatore (già Membro della Canadian Air Force, una foto lo ritrae accanto al suo idrovolante), ma ha fatto anche mille mestieri: tagliaboschi, operaio, pescatore, benzinaio, tassista, autista di autobus. 

Alla fine degli anni ‘1960 si trasferisce ad Alert Bay, dove sposa Margie, indiana Kwakiutl. 

Infatti il suo straordinario percorso esistenziale lo ha portato nell’isola del Cormorano, condivisa da euro-canadesi e indiani, diventando, prima consigliere di Alert Bay per alcuni anni, poi sindaco della cittadina per ben 28 anni. 

 Gordon Campbell, Primo Ministro della Provincia di Vancouver, nel ricordarlo dopo la sua scomparsa, ha dichiarato che: “era uno straordinario British Columbian, che ha dato un contributo senza pari alla sua comunità e all'Isola del nord. Attraverso oltre 30 anni di servizio nel governo locale, compreso quello come sindaco dal 1978, ha svolto un ruolo determinante in Alert Bay. In particolare, ha mostrato un’eccezionale leadership nel costruire ponti tra la municipalità e la locale comunità delle Prime Nazioni”. 

 Sulla sua storia di emigrante in Canada, nel 2015 Rosà e Senter hanno realizzato per il Museo Storico del Trentino (Trento) il documentario in inglese, con sottotitoli in italiano: Man with no Borders [Uomo senza confini]- Il viaggio di Gilbert. 

La stessa genesi del film è particolare. Perché gli autori sono venuti a conoscenza di Popovich, mentre nel 2009 stavano girando un film nello Yukon. 

Così si spostano per un primo approccio ad Alert. Tornando nell’isola nel 2012 per realizzare il documentario. 

 Il film si basa “sulla testimonianza della gente che lo conosceva bene e condivideva la sua passione per la politica, l’amore per la famiglia, la battaglia per la giustizia, e la gioia per l’amicizia”, così sostengono i Namgis (Nimpkish). 

Poiché il “sindaco dall'Italia” siglò con la tribù della riserva un trattato, il primo di questo genere in Canada. 

“Ridate la terra agli indiani - diceva - la sapranno gestire meglio dei bianchi”, ricorda nel film Bill Cranmer, Capo dei Namgis.

*La foto non figura nel mio libro:

VIAGGIO ATTRAVERSO L'INSIDE PASSAGE, NELLA TERRA DEGLI INDIANI DEI TOTEM E DELL’EX AMERICA RUSSA SULLA COSTA DEL PACIFICO DELL’AMERICA DI NORD-OVEST, TRA COLOMBIA BRITANNICA E ALASKA

E-Book e versione cartacea di grandi dimensioni a colori e in bianco e nero (16.99 cm x 1.17 x 24.41), 192 pp., 287 note, 191 immagini (118 sono mie) 



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SOMMARIO

PRESENTAZIONE: IL LIBRO 

PREMESSA: IL VIAGGIO 

CAP. 1 INTRODUZIONE GEOGRAFICA

CAP. 2 INTRODUZIONE ETNO-ANTROPOLOGICA: GLI INDIANI DEL NORD-OVEST 

I Potlatch 

I Totem 

Le abitazioni: la “grande casa” dei Kwakiutl, la “lunga casa” delle altre tribù

Kwakiutl (oggi Kwakwaka’wakw) 

La “Società dei Cannibali”: gli Hāma'tsa 

Tsimshian 

Hàida 

Tlingit.

PARTE I: CANADA 

CAP. 3 NELLA BRITISH COLUMBIA, AL LARGO DELL’ISOLA DI VANCOUVER, UN’IMMEDIATA E STRAORDINARIA FULL IMMERSION NELLA TERRA DEI KWAKIUTL, TRA LE ISOLE QUADRA (CAPE MUDGE) E CORMORANO (ALERT BAY) 

Dal diario di viaggio 

Alert Bay .

Gilbert Popovich, sindaco italiano di Alert Bay 

CAP. 4 RITORNO A VANCOUVER. VISITA AI TOTEM DELLO STANLEY PARK E DEL MUSEO DI ANTROPOLOGIA 

CAP. 5 PRINCE RUPERT, COLOMBIA BRITANNICA SETTENTRIONALE, TERRA TSIMSHIAN 

Dal diario di viaggio 

Prince Rupert

PARTE II: ALASKA, L’EX AMERICA RUSSA 

CAP. 6  I PROMSYSHLENNIKI, CACCIATORI RUSSI DI PELLICCE, FONDANO L'AMERICA RUSSA (1741-1798) 

La Compagnia privata Golikov-Shelikhov (1783-1799), la Rossiyskaya-Amerikanskaya Kompaniya, la Compagnia Americana Russa (1799-1867) 

Nascita ed evoluzione di una capitale coloniale: S. Michele-Novo Arkangelsk (futura Sitka), 1799-1808 

La “San Pietroburgo del Pacifico”, 1841-1867

1867: fine di un lungo sogno. Sitka prende il posto di Novo Arkangelsk, gli statunitensi dei siberiani 

CAP. 7 IL VIAGGIO NELL’INSIDE PASSAGE, ALASKA: KETCHIKAN, WRANGELL

Dal diario di viaggio: sosta preliminare a Ketchikan

Dal diario di viaggio: Wrangell 

Wrangell, cittadina sotto tre bandiere: russa (1833-1840), britannica (1840-1867), statunitense (dal 1867) 

CAP. 8 RITORNO A KETCHIKAN 

Dal diario di viaggio 

Cap. 9 SITKA

Dal diario di viaggio 

Sitka

CAP. 10 INTERLUDIO 

CAP. 11 SKAGWAY 

Skagway, base di partenza per la grande corsa all’oro del Klondike 

Il visionario 

L’eroe 

Il bandito

Il duello 

Dopo la scoperta dell’oro a Nome, nell’Alaska continentale, e la costruzione della ferrovia, Skagway perde tutto il suo appeal 

Dal diario di viaggio

Skagway 

APPENDICE 

Nell’Inside Passage, al tempo della spedizione del Duca degli Abruzzi al monte Sant’Elia del 1897, trentesimo anniversario dell’acquisto dell’America Russa

Balenieri, emigranti europei, Indiani del Nord-Ovest

Alla ricerca dell’oro 

Il racconto della spedizione: 

I Tlingit 

Wrangell 

Sitka 

BIBLIOGRAFIA

CARTE 

Alaska 

Canada

................................................

 PAGINA AUTORE ITALIA;

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