Translate

mercoledì 19 giugno 2024

150. IL TRENO "ALPINISTA" CHE VOLEVA ARRIVARE SULLA SOMMITA' DEL MONTE BIANCO. Da: IL GIRO DEL MONDO… IN 15 TRENI. TRANSCONTINENTALI E DI LUSSO, DI PENETRAZIONE COLONIALE E MILITARE, DEI CERCATORI D’ORO, DEGLI HAJJI, “ALPINISTICI”


Osservatorio di Jules Janssen sulla cima del Monte Bianco
(CC Some rights reserved Leo Wehrli) 

Premessa: breve digressione nostalgico-alpinistica

Da giovane avrei voluto cimentarmi in due ascensioni, che sapevo non avere alcuna difficoltà di ordine tecnico-alpinistico. Poiché arrivare fino in cima dipendeva essenzialmente da un lungo addestramento, oltre che da una meticolosa preparazione.

 Nel primo dei miei due soggiorni di ricerca antropologica sul campo ad Isiolo, in Kenya, più volte andai con il pensiero al non lontano Kilimanjaro (Tanzania). Quella, in effetti, poteva costituire la mia prima ascensione. Mentre sapevo bene come ci fossero delle difficoltà per scalare il Monte Kenya, alle cui pendici sorgeva la cittadina dove mi trovavo. 

Per quanto riguarda, invece, la seconda scalata, il mio wishful thinking non poteva che concernere il Monte Bianco.  

Poi sono trascorsi anni e decenni… 

E dire che nella mia vita sono riuscito a concretizzare, in giro per il mondo, molti “sogni”. Alcuni di loro mi sembrano ancora oggi così incredibili, da non ritenere vero che io sia riuscito a realizzarli. 

Altri, al contrario, hanno continuato a rimanere latenti “nel cassetto”.

 Qualche anno fa decisi che, almeno da vicino, avrei visto il Monte Bianco. Non da Courmayeur, ma dall’altro versante, quello dei nostri cugini d’oltralpe. 

Così dalla mia preziosa base di partenza di Chamonix progettai, nel mese di gennaio, ben tre “modi” per riuscire ad ammirarlo: l’utilizzo di una delle cabinovie più alte al mondo e di due treni a cremagliera, tra cui quello che mi avrebbe dato la possibilità di osservare uno dei ghiacciai più famosi e storici d’Europa: la Mer de Glace, il “Mare di Ghiaccio”…

 Anni prima avevo pubblicato un articolo su Richard Pococke, Arcidiacono di Dublino e grande viaggiatore, che nel 1737 partì per il suo viaggio in Oriente (…)  sarà lui il primo viaggiatore scientifico ad entrare nel paese. 

Precedendo di molte lunghezze l’impresa Napoleonica che, con i suoi “somari”, come i militari soprannominarono i 167 studiosi e tecnici, che vi parteciparono, è considerata la prima ad essersi interessata scientificamente all’antico Egitto (…) 

Tornerà in patria cinque anni dopo, attraversando Svizzera e Savoia e offrendo le prime descrizioni dei ghiacciai del Monte Bianco (…) 

Poiché con una vera e propria spedizione, composta da 8 viaggiatori e 5 domestici armati fino ai denti, si era spinto nella vallata di Chamonix, che allora si riteneva popolata da “selvaggi”. 

Oggi il suo nome figura nei trattati di Egittologia e in quelli di Storia dell’Alpinismo... 

Le Tramway du Mont-Blanc (T.M.B.) 

 Mettete un pugno di ingegneri appassionati di montagna ed esperti di ferrovie, soprattutto se a cremagliera. 

Immaginate che c’è la possibilità di arrampicarsi, non su una montagna qualsiasi, ma su una blasonata e prestigiosa vetta, addirittura la più alta di Francia e d’Europa. 

Mettete che quegli stessi uomini abbiano una discreta dose di coraggio, intraprendenza, miscelata a “visioni” indubbiamente fantascientifiche. 

Il tutto unito a massicce dosi di romanticismo. Anche, e soprattutto, in considerazione, sia dell’epoca nella quale vivono e operano, che della tecnologia dell’epoca. Che apparteneva sì, e da tempo, all’età industriale, ma certo non era assolutamente sofisticata, o comparabile in alcun modo con quella che noi tutti, oggi, consideriamo, a volte perfino sottovalutandola, come “normale”… 

Perché qui parliamo di oltre un secolo fa. Quando, all’inizio del XX secolo, si progettava di portare un treno su, su, fin quasi sulla vetta del Monte Bianco, cioè sul Tetto d’Europa. 

 Del resto su quella vetta, come su uno spuntone di roccia lì vicino, a quei tempi già si trovavano ben due Osservatori scientifici. 

Il primo realizzato nel 1890 dal fisico, astronomo e geologo Joseph Vallot, a 4.350 m d’altitudine. Oggi è ancora in funzione… 

Il secondo “poggiato” nel 1893 proprio sulla vetta dall’Accademico delle Scienze Jules Janssen che, non a caso, si rivolgerà per una consulenza all’ing. Eiffel. 

Poi sarà lo scoppio della Grande Guerra a mettere una brusca frenata ad un sogno così ardito. Costringendo la ferrovia ad arrestarsi ben prima. 

Chissà dove sarebbero riusciti ad arrivare quegli uomini, senza quel tragico “contrattempo”. Perché, all’epoca, tutto sembrava possibile e realizzabile, perfino, o soprattutto, l’impossibile… 

 Probabilmente chi l’aveva ideata doveva essere un entusiasta di Jules Verne e dei suoi straordinari romanzi. 

Perché un treno che si arrampica fin sulla cima del Monte Bianco non può che essere uscito dalla sua fervidissima fantasia… 

 Oggi il treno che voleva arrivare sul Monte Bianco parte da Saint-Gervais-Le Fayet (584 m) e in un’ora, in inverno, conduce a Bellevue (1.794 m), ai piedi del ghiacciaio di Bionassay (2.800 m), sotto l’Aiguille du Goûter. D’estate giunge fino al Nid d'Aigle, a 2.372 m di altitudine. 

La “Mademoiselle d'Angeville”(020T n. 3), la locomotiva a vapore così chiamata in onore dell’alpinista franco-svizzera, che è stata la seconda donna a salire sulla vetta del Monte Bianco nel 1838.
St. Gervais-La Fayet, Francia (Archivio A.)

Breve cronistoria del progetto 

Un primissimo progetto ferroviario risale al 1835. J.L. Eggen vuole che la ferrovia passi sotto il ghiacciaio del Taconnaz, scavando una galleria tra la montagna della Côte e il Monte Bianco. Dopo oltre mezzo secolo, si comincia a fare sul serio, tanto che i progetti si moltiplicano. 

 Nel 1896 Saturnin Fabre idea una ferrovia che, partendo da Les Houches (a sud di Chamonix), tocca il Gros Béchar, l’Aiguille, il Dôme du Goûter. 

 Raggiungendo senza ascensore la cima del Monte Bianco. In tutto 11,4 km, di cui oltre 9 in tunnel, per un dislivello complessivo di 3.573 m. 

Nel 1897 il progetto di Souleyre vuole invece portare il ferro sopra le “Gobbe del Dromedario” (Bosses de Dromadaire), cioè proprio davanti alla cima, a ben 4.525 m di quota. 

Verrà scartato, poiché irrealizzabile, vista l’enorme pendenza. Il progetto si è infatti dovuto confrontare con quello che risulterà vincente. 

L’ha ideato Henri Duportal, costruttore della linea Parigi-Lione-Mediterraneo. Risale al 1902 e prevede l’arrivo all'Aiguille du Goûter, via Colle di Voza, Bellevue e Pierre Ronde, per finire in sotterranea. 

I lavori iniziano nel 1905. Nel 1907 i convogli, formati da locomotore e un vagone, in due ore e mezza giungono al Colle di Voza (7,650 km), ad una velocità di 8 km/h. 

Due anni dopo (1909) il treno a cremagliera è operativo e si spinge un altro chilometro più su (8,768 km). 

Nel 1914, dopo un tragitto complessivo di 12,508 km, raggiunge la quota di 2.372 m. 

È il Nid d'Aigle (il Nido dell’Aquila), il capolinea. Già dal 1913 turisti e alpinisti utilizzano il treno, che giunge fino a Bellevue, ai piedi del ghiacciaio Bionnassay, dove c’è un panorama eccezionale. 

 Come già sappiamo, lo scoppio della Grande Guerra interromperà i lavori ferroviari. In quegli anni i treni, salvo qualche rara eccezione, non circoleranno sulla linea. Cominceranno gradatamente a viaggiare dalla primavera del 1918. Anche se il prolungamento fino all’Aiguille du Goûter non vedrà mai la luce… 

 Né, tantomeno, i convogli arriveranno mai fin sulla sommità del Monte Bianco!

Il mio viaggio 

 Con un normale treno, raggiungo Saint-Gervais-La Fayet da Chamonix, giusto in tempo per guardarmi intorno. Scattare qualche foto. Prendere il treno a cremagliera delle 11. In un’ora sarò infatti a Bellevue. Avrò così tutto il tempo, da lassù, di godermi il paesaggio e di pranzare nello storico albergo (...) 

L’itinerario è ancora più affascinante d’inverno. Quando la neve, abbondante quest’anno, ricopre l’intero percorso. 

Purtroppo, per via della forte nevicata, il viaggio non sarà proprio come l’immaginavo. Il tratto più bello parte dalla stazione di Saint Gervais, un paese che ha saputo mantenere uno charme discreto e appartato. In stile Belle Époque, quando Saint Gervais era frequentata da una clientela aristocratica e borghese (...)  Il treno sul quale salgo si chiama Jeanne, poiché ha il colore rosso. È quasi semideserto. 

Il tempo è assai brutto. Non c’è neanche l’ombra di uno sciatore… D’altronde siamo a gennaio, un mese durante il quale i francesi non amano andare in montagna, per via del forte freddo. 

Da Saint Gervais il treno prende quota in forte pendenza, con numerosi tratti a cremagliera. La velocità non supera mai i 20 km/h. Il convoglio si inoltra fra foreste di conifere e belle vedute sulla valle e gli alpeggi, però solo… in estate! Perché mi sarà negata la fascinosa visione, che tanto attendevo (...) 

Il panorama che osservo dai finestrini è infatti livellato da uno spesso manto nevoso, che va ad aggiungersi a molta, troppa nebbia. Solo di tanto in tanto riuscirò ad intravedere qualcosa. 

Sul percorso si incontrano stazioni minuscole, come quella del villaggio di Motivon, dove si sosta per i residenti. Il treno a volte trasporta anche pane e scorte alimentari per gli alberghetti e i ristoranti in quota. 

Infine, ecco il colle di Voza. Sono quindi arrivato. 

Anni dopo scoprirò come, grazie a quel mio viaggio, io abbia potuto accedere all’originale Hotel Bellevue. Poiché due anni dopo dovrà essere demolito, per essere ricostruito in base all’architettura originaria, che aveva nel 1837. Per poi riaprire nel 2010. 

Niente di tutto ciò è invece avvenuto. A quanto pare l’albergo è oggi abbandonato.

DA: IL GIRO DEL MONDO… IN 15 TRENI: TRANSCONTINENTALI E DI LUSSO, DI PENETRAZIONE COLONIALE E MILITARE, DEI CERCATORI D’ORO, DEGLI HAJJI, “ALPINISTICI” 



E-Book: https://www.amazon.it/dp/B07XPFQGLW

Versione cartacea a colori: https://www.amazon.it/dp/1692957171 

Versione cartacea in bianco e nero: https://www.amazon.it/dp/1693164949 
(241 pp., 223 foto, di cui 136 a colori, 254 note, bibliografia) 

sabato 8 giugno 2024

149. TRA GLI "INDIANI DEI TOTEM" KWAKIUTL (oggi Kwakwaka’wakw) DI ALERT BAY (ISOLA DEL CORMORANO, COLOMBIA BRITANNICA, CANADA). QUI INCONTRO ANCHE UN PERSONAGGIO STRAORDINARIO: IL SINDACO ITALIANO (TRENTINO) GILBERT POPOVICH (1935-2005)


Gilbert Popovich riceve nel 2005 un premio dalla BC Achievement Foundation (foto BC Achievement Foundation)* 

(...) Il giorno dopo raggiungo l’isola del Cormorano a bordo di un altro ferry. Qui ho tutto il tempo per visitare attentamente Alert Bay, dove si trova la banda Nimpkish dei Kwakiutl. 

(...) Yah-lis (Alert Bay) è considerata un po' come l'ombelico dell'universo Kwakiutl. Qui si seppellivano i morti. Qui c'era, forse, il luogo più importante di aggregazione sociale e culturale di questo popolo. Qui sono nati i grandi personaggi di questo gruppo, capi e scultori di totem. Qui in passato, ma anche recentemente, si sono tenuti alcuni tra i più fastosi ed importanti potlatch Kwakiutl. Ed è ancora qui che si è voluto costruire, non molto tempo addietro, quella che per l'intera nazione dei Kwakiutl aveva sempre rappresentato un sogno, la "grande casa" tribale. 

(...) Qui, nonostante le proibizioni governative, queste "Grandi feste" [potlatch] si sono sempre tenute. Specialmente durante i lunghi periodi invernali. Quando le pessime condizioni del mare non consentivano i periodici controlli di polizia. E lo splendore di un tempo lo si può ammirare all'interno dell'U'mista Cultural Centre.

Gilbert Popovich, sindaco italiano di Alert Bay

 All’epoca non sapevo di aver incontrato un personaggio di eccezionale caratura. 

Perché Gilberto Guella (1935-2005) di Pranzo (fraz. di Tenno), a pochi chilometri da Riva del Garda, emigra a 17 anni in Canada, dove viene adottato dalla zia Popovich. Sarà così che il nome muterà.

 Gilberto Guella è stato aviatore (già Membro della Canadian Air Force, una foto lo ritrae accanto al suo idrovolante), ma ha fatto anche mille mestieri: tagliaboschi, operaio, pescatore, benzinaio, tassista, autista di autobus. 

Alla fine degli anni ‘1960 si trasferisce ad Alert Bay, dove sposa Margie, indiana Kwakiutl. 

Infatti il suo straordinario percorso esistenziale lo ha portato nell’isola del Cormorano, condivisa da euro-canadesi e indiani, diventando, prima consigliere di Alert Bay per alcuni anni, poi sindaco della cittadina per ben 28 anni. 

 Gordon Campbell, Primo Ministro della Provincia di Vancouver, nel ricordarlo dopo la sua scomparsa, ha dichiarato che: “era uno straordinario British Columbian, che ha dato un contributo senza pari alla sua comunità e all'Isola del nord. Attraverso oltre 30 anni di servizio nel governo locale, compreso quello come sindaco dal 1978, ha svolto un ruolo determinante in Alert Bay. In particolare, ha mostrato un’eccezionale leadership nel costruire ponti tra la municipalità e la locale comunità delle Prime Nazioni”. 

 Sulla sua storia di emigrante in Canada, nel 2015 Rosà e Senter hanno realizzato per il Museo Storico del Trentino (Trento) il documentario in inglese, con sottotitoli in italiano: Man with no Borders [Uomo senza confini]- Il viaggio di Gilbert. 

La stessa genesi del film è particolare. Perché gli autori sono venuti a conoscenza di Popovich, mentre nel 2009 stavano girando un film nello Yukon. 

Così si spostano per un primo approccio ad Alert. Tornando nell’isola nel 2012 per realizzare il documentario. 

 Il film si basa “sulla testimonianza della gente che lo conosceva bene e condivideva la sua passione per la politica, l’amore per la famiglia, la battaglia per la giustizia, e la gioia per l’amicizia”, così sostengono i Namgis (Nimpkish). 

Poiché il “sindaco dall'Italia” siglò con la tribù della riserva un trattato, il primo di questo genere in Canada. 

“Ridate la terra agli indiani - diceva - la sapranno gestire meglio dei bianchi”, ricorda nel film Bill Cranmer, Capo dei Namgis.

*La foto non figura nel mio libro:

VIAGGIO ATTRAVERSO L'INSIDE PASSAGE, NELLA TERRA DEGLI INDIANI DEI TOTEM E DELL’EX AMERICA RUSSA SULLA COSTA DEL PACIFICO DELL’AMERICA DI NORD-OVEST, TRA COLOMBIA BRITANNICA E ALASKA

E-Book e versione cartacea di grandi dimensioni a colori e in bianco e nero (16.99 cm x 1.17 x 24.41), 192 pp., 287 note, 191 immagini (118 sono mie) 



Versione cartacea a colori: https://www.amazon.it/dp/B09L4SBWHQ


Versione cartacea in bianco e nero: https://www.amazon.it/dp/B09L4NZDB2

SOMMARIO

PRESENTAZIONE: IL LIBRO 

PREMESSA: IL VIAGGIO 

CAP. 1 INTRODUZIONE GEOGRAFICA

CAP. 2 INTRODUZIONE ETNO-ANTROPOLOGICA: GLI INDIANI DEL NORD-OVEST 

I Potlatch 

I Totem 

Le abitazioni: la “grande casa” dei Kwakiutl, la “lunga casa” delle altre tribù

Kwakiutl (oggi Kwakwaka’wakw) 

La “Società dei Cannibali”: gli Hāma'tsa 

Tsimshian 

Hàida 

Tlingit.

PARTE I: CANADA 

CAP. 3 NELLA BRITISH COLUMBIA, AL LARGO DELL’ISOLA DI VANCOUVER, UN’IMMEDIATA E STRAORDINARIA FULL IMMERSION NELLA TERRA DEI KWAKIUTL, TRA LE ISOLE QUADRA (CAPE MUDGE) E CORMORANO (ALERT BAY) 

Dal diario di viaggio 

Alert Bay .

Gilbert Popovich, sindaco italiano di Alert Bay 

CAP. 4 RITORNO A VANCOUVER. VISITA AI TOTEM DELLO STANLEY PARK E DEL MUSEO DI ANTROPOLOGIA 

CAP. 5 PRINCE RUPERT, COLOMBIA BRITANNICA SETTENTRIONALE, TERRA TSIMSHIAN 

Dal diario di viaggio 

Prince Rupert

PARTE II: ALASKA, L’EX AMERICA RUSSA 

CAP. 6  I PROMSYSHLENNIKI, CACCIATORI RUSSI DI PELLICCE, FONDANO L'AMERICA RUSSA (1741-1798) 

La Compagnia privata Golikov-Shelikhov (1783-1799), la Rossiyskaya-Amerikanskaya Kompaniya, la Compagnia Americana Russa (1799-1867) 

Nascita ed evoluzione di una capitale coloniale: S. Michele-Novo Arkangelsk (futura Sitka), 1799-1808 

La “San Pietroburgo del Pacifico”, 1841-1867

1867: fine di un lungo sogno. Sitka prende il posto di Novo Arkangelsk, gli statunitensi dei siberiani 

CAP. 7 IL VIAGGIO NELL’INSIDE PASSAGE, ALASKA: KETCHIKAN, WRANGELL

Dal diario di viaggio: sosta preliminare a Ketchikan

Dal diario di viaggio: Wrangell 

Wrangell, cittadina sotto tre bandiere: russa (1833-1840), britannica (1840-1867), statunitense (dal 1867) 

CAP. 8 RITORNO A KETCHIKAN 

Dal diario di viaggio 

Cap. 9 SITKA

Dal diario di viaggio 

Sitka

CAP. 10 INTERLUDIO 

CAP. 11 SKAGWAY 

Skagway, base di partenza per la grande corsa all’oro del Klondike 

Il visionario 

L’eroe 

Il bandito

Il duello 

Dopo la scoperta dell’oro a Nome, nell’Alaska continentale, e la costruzione della ferrovia, Skagway perde tutto il suo appeal 

Dal diario di viaggio

Skagway 

APPENDICE 

Nell’Inside Passage, al tempo della spedizione del Duca degli Abruzzi al monte Sant’Elia del 1897, trentesimo anniversario dell’acquisto dell’America Russa

Balenieri, emigranti europei, Indiani del Nord-Ovest

Alla ricerca dell’oro 

Il racconto della spedizione: 

I Tlingit 

Wrangell 

Sitka 

BIBLIOGRAFIA

CARTE 

Alaska 

Canada

................................................

 PAGINA AUTORE ITALIA;

https://www.amazon.it/Franco-Pelliccioni/e/B01MRUJWH1/ref=dp_byline_cont_book_1




venerdì 7 giugno 2024

148. BALENE E BALENIERI, TRA NORD ATLANTICO, PACIFICO SETTENTRIONALE, MAR GLACIALE ARTICO. VAGABONDAGGI ALLA RICERCA DELLE TESTIMONIANZE DELL’ERA DELLA CACCIA ALLE BALENE

 

La bocca di una Finner Whale (Balaenoptera physalus). Stazione baleniera di Colla Firth, Shetland, 1904
(foto W. G. Burn Murdoch, da: Modern Whaling & Bear-Hunting…1917) 

1. PREMESSA

Nel corso dei viaggi di ricerca che mi hanno condotto in diversi settori dell'emisfero boreale, mi sono spesso imbattuto nei resti e nelle, più o meno vistose, tracce di stabilimenti e di stazioni di caccia alle balene.

Sovente abbandonate da molto tempo, altre volte solo da pochi decenni, costituiscono il simbolo di un'era ormai lontana nel tempo, alla quale la maggioranza di noi si sente oggi totalmente estranea.

Nonostante le numerose e complesse implicazioni inerenti alla tecnica e all'oggetto stesso della caccia, la sanguinosa mattanza dei cetacei, per lunghi secoli e per diversi popoli, in particolare di regioni e aree marittime - insulari o costiere -, ha rappresentato una parte invero non secondaria, se non di determinante importanza, della loro cultura.

Caratterizzata da uno stretto rapporto con l'habitat e l'ambiente marittimo. Bisogna infatti ricordare, e ciò è valido ed è ugualmente estensibile a tanti altri campi del nostro vivere quotidiano, come del tutto "recenti" siano le conquiste operate da ecologi ed etologi, da "verdi" ed animalisti.
A parte pochi casi ascrivibili agli usuali precursori. Membri di una "illuminata" avant-garde, senza bandiere e senza frontiere.
Il problema nacque e si impose all'attenzione dell'opinione pubblica internazionale e dei governi, con sempre più forza e determinazione, non a causa della caccia in se stessa. Ma, come al solito, dal "progresso", che anche in questo campo ha comportato l'impiego di tecnologie sempre più devastanti e distruttrici.

A partire dall'invenzione, nel 1864, del celebre cannoncino fiocinatore esplosivo, ad opera del norvegese Svend Foyn.
Per cui quello che era un "prelievo" di risorse marine, più o meno giusto, nel tempo si sarebbe trasformato nell’indiscriminato sterminio dei cetacei, alcuni dei quali erano, e sono tuttora, minacciati di estinzione!

Se le vecchie stazioni baleniere abbandonate, che mostrano oggi abbondanti tracce del degrado provocato dallo scorrere del tempo e dalle avverse condizioni climatiche, ci ricordano anche "realtà" che possono anche non piacerci, poiché indissolubilmente collegate alla morte di tanti grandi mammiferi marini, l'avvistamento delle balene, sia volontario, nel corso di appositi e gradevoli whalewatching, o casuale, ha sempre provocato, in chi scrive, un'eccitazione ed un'esaltazione indescrivibili, quasi fanciullesche, che mai erano state altrove provate. Nei confronti di altri stupendi abitatori del mare (delfini, foche o lontre, ad esempio) o, magari, terrestri.

In Africa il paragone va ai tanti elefanti, rinoceronti, od addirittura ai leopardi, intravisti, fotografati, e perfino inseguiti, tra Kenya settentrionale e Sudan meridionale.

Strano a dirsi, ma l'incontro con i grandi abitatori della savana non riesce a reggere il confronto con quello delle balene. È un contatto visivo, ma non solo..., che trascende il rapporto occhi-cervello: è emotivo, istintivo.

Si collega alla parte più nascosta di noi, quella che gli psicanalisti definiscono l'io, che riesce a smuovere perfino le "acque" del nostro subconscio.

E quella, in effetti, rappresenta un'imprevedibile e sorprendente realtà del mare che è riuscita sempre a stupirmi.

Ad attrarmi per tutte le sue implicazioni, di fantasia e di mistero - perché no: non sono un cetologo o un biologo marino! -, ma anche per quell'alone di poesia, che pure quel mastodontico abitatore delle profondità oceaniche, con i suoi comportamenti di superficie, a volte flessuosi come quelli di una ballerina d'opera, è riuscita sempre a evidenziare. Suscitando profondi, indimenticabili, turbamenti.

Negli anni i miei diversi incontri, nelle regioni più diverse, di questa realtà, mi hanno offerto la possibilità di riflettere sull'importante ruolo che la caccia alle balene ha avuto in passato nei campi più disparati.
Dalle esplorazioni di terre ignote e lontane (i volumi scritti dal baleniere scozzese Scoresby sono entrati di diritto nella storia delle scoperte geografiche), e quindi dall'apertura di nuove vie. Sia marittime, che terrestri, che hanno condotto ad una più accurata ricognizione di territori e passaggi marittimi, e all'incremento delle conoscenze geografiche (isole, stretti e canali, regioni continentali, ecc.) e climatiche, come di quelle etnografiche.

Grazie ai molteplici incontri ed alle descrizioni che venivano fatte degli "usi e dei costumi" delle diverse popolazioni artiche indigene. Su quest'ultimo fa, però, notevole aggio l'aspetto negativo sui risvolti positivi.
Ciò per la continua e costante opera di acculturazione e di disgregazione culturale che i popoli artici avrebbero sperimentato sulla propria pelle fin dal principio del XIX secolo. E, a volte, ancora prima, a seconda del settore geografico artico interessato. Negative dinamiche culturali, che sarebbero state innescate anche a prescindere dalla volontarietà, o meno, degli stessi cacciatori di balene.

Figuriamoci se una presunta "superiorità" della razza bianca o la ricerca di un maggior profitto si fossero andate ad aggiungere con forza nell'incontro, anche culturale, tra balenieri e gli Inuit. Tanto da tramutarlo ben presto in un autentico scontro, nel quale la cultura "tecnologicamente più semplice" avrebbe giocoforza dovuto "perdere" qualcosa.

Il libro si focalizzerà su alcuni aspetti, storici od attuali, ai quali ho potuto accedere direttamente, nei settori nord-atlantici, del Pacifico settentrionale e dell'Artico canadese, groenlandese, norvegese.

Ecco le tappe del nostro lungo itinerario nello spazio e nel tempo: Alaska sudorientale (USA); isola di Vancouver (Colombia Britannica, Canada); Tuktoyaktuk (Mare di Beaufort, Artico occidentale, Canada); Qausuittuq (Alto Artico canadese); Iqaluit e Pangnirtung (isola di Baffin, Artico orientale, Canada); Narsaq (costa occidentale della Groenlandia meridionale); Svalbard (Norvegia); Norvegia; Islanda; Shetland, Orcadi, Ebridi Esterne, St Kilda (Scozia, UK); Fær Øer (Danimarca); Saint-Pierre et Miquelon (Francia), Terranova, Québec (Canada), Madeira (Portogallo); Canarie (Spagna).

Invece, per quanto riguarda le popolazioni autoctone, il libro si interesserà agli Inuit e agli Indiani del Nord-Ovest (i cosiddetti indiani dei totem o del salmone).
Per quanto invece concerne gli europei, spazio sarà dato a canadesi, norvegesi, scozzesi e faroesi, nonché agli equipaggi delle diverse nazioni europee che, a partire dal XVII secolo, si interessarono, e "con profitto", alle fisheries delle Svalbard e del Mare di Barents.

In ultimo, non ci dimenticheremo del ruolo pionieristico esercitato dai baschi in questa attività venatoria. Tra i primi a cimentarsi nella caccia alle balene, specialmente alla Eubalaena Glacialis.

Spingendosi fin sulle sponde nord americane, a partire dal XV secolo. Secondo alcuni studiosi, i baschi avrebbero frequentato i mari subartici nord-americani addirittura prima di Colombo.
È questo un ulteriore caso di "scoperta" dell'America prima del Navigatore, che va ad aggiungersi a quella dei Vichinghi di Vinland?
I baschi ben presto diventeranno, tra le varie marinerie, i maggiori esperti della caccia alle balene. Grazie soprattutto al sistema delle stazioni a terra, poi largamente imitato dai balenieri di altre nazioni. Anche se già nel 1635 cercarono di processare le balene direttamente offshore, al largo della costa della Norvegia settentrionale, nel 1659 baleniere basche francesi cacciavano balene à flot, “a galla”.
SOMMARIO
1. PREMESSA

2. INTRODUZIONE


- LA CACCIA NELLA PREISTORIA: ALTA, NORD NORGE

- I BALENIERI E L'ESPLORAZIONE

Disastro tra i ghiacci: la perdita della flotta baleniera statunitense al largo dell’Alaska, 1871. La spedizione del 2015 alla ricerca delle navi scomparse

- LA CACCIA ALLE BALENE, TRADIZIONALE ATTIVITÀ ECONOMICA DI ALCUNE COMUNITÀ MARITTIME
EUROPEE

- I balenieri europei ed americani e gli Inuit

3. LA CACCIA ALLE BALENE PRESSO ALCUNE POPOLAZIONI AUTOCTONE AMERICANE
- INUIT
- I PRE-INUIT: THULE (800-1700 D.C.)
- INDIANI DEL NORD-OVEST

4. GLI AVVISTAMENTI DI BALENE

- IL MIO PRIMISSIMO “INCONTRO” CON UNA BALENA È AVVENUTO A… ROMA!

- A DISTANZA DI QUASI SETTANTA ANNI, UN’IMPREVISTA E SORPRENDENTE INTEGRAZIONE!

- NELL’AMERICA DEL NORD
- Québec
- Alaska Sud-Orientale
- L’isola di Terranova, Canada
- Mare di Beaufort, Artico occidentale canadese, Northwest Territories
- L’insediamento di Tuktoyaktuk, già Port Brabant. L’isola di Herschel

5. LA CACCIA ALLE BALENE: STORICA
- NELLA COLOMBIA BRITANNICA (CANADA)

- Indiani Nootka (oggi Nuu-chah-nulth) dell’isola di Vancouver
- Stazioni di caccia canadesi e statunitensi
- La caccia alle balene nelle acque della Colombia Britannica

- A SAINT-PIERRE ET MIQUELON (FRANCIA)

- LE STAZIONI BALENIERE DI TERRANOVA (PROVINCIA DI TERRANOVA E LABRADOR, CANADA)

- Cumberland Sound, isola di Baffin, Nunavut: la stazione baleniera della Compagnia della Baia di Hudson di Pangnirtung, nell’omonimo fiordo

- LE STAZIONI DI CACCIA ALLE BALENE DEL CUMBERLAND SOUND
- La stazione fondata da William Penny nell’isola di Kekerten (lato orientale del Sound)

- KEKERTEN, IL CUMBERLAND SOUND E L’INIZIAZIONE ANTROPOLOGICA SUL CAMPO DI
FRANZ BOAS
- La stazione sull’isola di Blacklead (lato occidentale del Sound)

- NELLE ISOLE SHETLAND (SCOZIA, UK)
- Un altro “mancato” avvistamento

- NELLE ISOLE ORCADI (SCOZIA, UK)

- NELLE ISOLE SVALBARD, NORVEGIA

- Il “Fiordo Verde” (Grønfjorden)
- Smeerenburg, la “città del grasso”, XVII secolo, Svalbard

- NELLE EBRIDI ESTERNE (SCOZIA, UK)
- Isola di Lewis
- Bunavoneadar, la stazione a terra norvegese dell’isola di Harris
- St Kilda

6. LA CACCIA ALLE BALENE: ATTUALE

- IQALUIT (GIÀ FROBISHER BAY, ISOLA DI BAFFIN, ARTICO ORIENTALE, NUNAVUT, CANADA)

- A RESOLUTE BAY (OGGI QAUSUITTUQ, CORNWALLIS ISLAND, HIGH ARCTIC, NUNAVUT, CANADA)

- Le tracce lasciate dai cacciatori di balene di Thule sull’isola Cornwallis
- La caccia alle balene da parte degli Inuit nuovi arrivati

- NARSAQ (COSTA OCCIDENTALE DELLA GROENLANDIA MERIDIONALE, DANIMARCA)

- Dalla caccia alle balene dei “preistorici” Thule a quella degli odierni Kalaallit
- La Groenlandia Occidentale e la caccia alle balene nello Stretto di Davis

- NELLE ISOLE FÆR ØER (DANIMARCA): IL GRINDADRÁP, LA CACCIA COMUNITARIA

- Diario di viaggio da Tórshavn, capitale delle isole Fær Øer

- IN ISLANDA
- Dal diario di viaggio

- IN NORVEGIA, QUANDO LA CACCIA ALLE BALENE NON È COSÌ PUBBLICIZZATA, COME L’ISLANDESE, LA
FAROESE (O LA GIAPPONESE)

- La proliferazione delle stazioni di caccia norvegesi nell’Atlantico del Nord, fine XIX secolo-ca. 1920
- Diario di viaggio dall’isola faroese di Streymoy

7. BALENE, UNA SCHEDA
PICCOLE:
MEDIE:
GRANDI:
In Islanda, navigando nella baia dove fu catturato Keiko, alias Willy, star del cinema hollywoodiano. Tutto è pronto per l’imminente ritorno dell’orca, dopo venti anni

8. APPENDICE

LA CACCIA ALLE BALENE NELL’ARCIPELAGO DI MADEIRA (PORTOGALLO), 1941-1981
- L’«isola-giardino» sub-tropicale di Madeira
- Balene, tra caccia (1941-1986) e attuale Whale Watching
- Il programma originario del viaggio e l’incendio di Monte
- La caccia alla balena e l’Empresa Baleeira do Arquipélago da Madeira

IL GIGANTESCO FLOP DELLA CACCIA ALLE BALENE NELL’ARCIPELAGO DELLE CANARIE (SPAGNA), 1784-1806
- Breve introduzione all’arcipelago
- Lanzarote
- Fuerteventura
- La grave situazione socio-economica e sanitaria del secolo XVIII nelle Canarie, provocata da eruzioni vulcaniche, fame, povertà, epidemie
- La caccia alle balene per ottenere olio per l’illuminazione e per sfamare gli isolani: cronologia di un fallimento ventennale

9. BIBLIOGRAFIA

https://www.amazon.it/dp/B0C522JP54, versione cartacea a colori (“premium”) di grande formato (163 pp., 156 foto), ma c’è anche la versione in bianco e nero, oltre all’E-Book.
...
TUTTI I DATI (ECONOMICI, STATISTICI, DEMOGRAFICI, ETNOGRAFICI, ECC.) CONTENUTI NEI MIEI LIBRI SONO STATI ACCURATAMENTE VERIFICATI, INTEGRATI E AGGIORNATI AL MOMENTO DELLA LORO PUBBLICAZIONE.



giovedì 23 maggio 2024

147. L'EPOPEA DI UN APPASSIONATO CANTORE DEI SIOUX, DEI PAWNEE E DEI POTAWATOMIE, GEORGE CATLIN (1796-1872), PITTORE-ETNOGRAFO, SPESE LA SUA VITA PER DIFENDERE E FAR CONOSCERE IL MONDO DEI PELLIROSSE

 

Le pitture di guerra sul volto di un guerriero Pawnee dopo una vittoria. Le mani dipinte indicano che ha ucciso un nemico in un corpo a corpo

"L'epopea di un appassionato cantore dei Sioux, dei Pawnee e dei Potawatomie. George Catlin, pittore-etnografo, spese la sua vita per difendere e far conoscere il mondo dei pellirosse. E' questo il racconto di una vita interamente dedicata a raccogliere su tela e su carta, per la prima volta nella storia, quelle che nella prima metà del XIX secolo apparivano come le ultime testimonianze di un mondo in rapida scomparsa: quello degli indiani d'America".

Tra il 1853 e il il 1859 il nostro personaggio vagabondava tra Sud e Nord America. 

Sappiamo poco di quel periodo, tra il leggendario e il misterioso. 

Sembra che inizialmente sia andato alla ricerca dell’oro, circostanza abbastanza strana e singolare, nonostante l’avventuroso passato avesse potuto giustificarla.

Aveva trascorso una vita ai limiti dell’impossibile. 

Aveva perso moglie e figlio maschio per malattia. 

Per anni aveva combattuto disperatamente, in difesa dei popoli pellerossa, contro i mulini a vento dell’establishment statunitense. In quell’epoca era povero in canna. Avrebbe perciò potuto barattare pennello, tele e diari per setaccio e piccone?

 Nella sua pluriennale peregrinazione infatti prese schizzi, dipinse e scrisse un po’ dovunque: dalla Terra del Fuoco alle Ande, dal Rio delle Amazzoni al Perù, dalla costa del Pacifico alla Pampa, dal Mato Grosso alle Indie occidentali, al Venezuela a Panama, e oltre. 

Lungo la costa occidentale degli Stati Uniti, fino alle Aleutine (stretto di Bering) e, persino, in Siberia. Tornando poi indietro, oltrepassando la catena delle montagne rocciose e, infine, salpando per lo Yucatan

  Da oltre un secolo e mezzo il nome di George Catlin ha superato i pur ampi confini degli USA e quelli direttamente concernenti la cultura degli indiani d’America. Ogni studente o cultore della scienza dell’Uomo prima o poi si è imbattuto nel suo nome. 

Come nel tempo hanno fatto i visitatori dei numerosi musei statunitensi, tra cui lo Smithsonian di Washington, che orgogliosamente ospitano i suoi dipinti.

E’ questo il racconto di una vita intensa e straordinaria, interamente dedicata a raccogliere, su tela e su carta, per la prima volta nella storia, quelle che nella prima metà del XIX secolo apparivano come le ultime testimonianze di un mondo in rapida scomparsa, quello dei pellerossa stanziati negli accampamenti al di là della frontiera: “la storia e i costumi di quella gente, fissati sulla tela, sono temi che valgono la vita di un uomo, e nulla, che non sia la perdita della mia stessa vita, mi impedirà di visitare la loro terra e di diventare il loro storico”.

  Superando ostacoli e pericoli d’ogni tipo, in battello, su carri, a cavallo, in canoa e a piedi, per otto lunghi anni Catlin si spinse oltre l’immaginabile e il consentito, in terre dove solo l’esercito osava muoversi in armi. Lasciando luoghi e territori relativamente “sicuri”, poiché da più tempo colonizzati, apriva una via di conoscenza transculturale verso l’ignoto etnografico: “il lettore deve venire con me lontano dal mondo civilizzato. 

Deve portare i suoi passi molto lontano da New York, oltrepassare gli Allegheny, spingersi oltre il maestoso Missouri, inoltrandosi fino alle pendici delle Rocky Mountains, e poi inerpicarsi sulle loro vette, a due o tremila miglia di distanza dalla costa dell’Atlantico”. 

Così facendo, deliberatamente infrangeva un mito composto da un blend di pregiudizi e razzismo, che bene si rispecchia nella sciagurata frase attribuita al generale Sheridan: “l’unico indiano buono è un indiano morto”. 

Tanto che, aggiunge Catlin: “dovrebbe anche scordare molte teorie che ha letto sui libri a proposito della barbarie indiana, con carneficine e uccisioni spietate; dovrebbe spogliarsi il più possibile dei letali pregiudizi che si porta dietro fin dal tempo dell’infanzia e che denigrano la parte del genere umano più sfortunata e più sfruttata”.

  Egli è stato l’eccezionale testimone della vita giornaliera, cultuale, famigliare degli appartenenti a quarantotto tribù “incontaminate”, poiché non raggiunte dalla civilizzazione europea, con le sue viscide lusinghe e i suoi mali tenebrosi. Prima dell’arrivo della “pax americana”, che in pochi decenni fece fisicamente scomparire un incredibile numero di loro, in un autentico e ripetuto etnocidio. Non solo Catlin prese una decisa posizione in favore del rispetto e, soprattutto, della vita dei pellerossa, fatto che gli costò moltissimo in termini di mera sopravvivenza. Ma la sua battaglia ideale seguì linee riecheggianti da vicino il “bon sauvage” di rousseauiana memoria, che non tutti gli etnologi accettarono, criticando la “forma” assunta dal suo costante, accorato “je accuse”. 

D’altronde Catlin ne aveva ben donde. Quanto da lui idealizzato od esaltato: “mi si vorrà perdonare se posso aver sopravvalutato il carattere dell’indiano”, nella sostanza dei fatti nudi e crudi delle diverse realtà esistenziali tribali, dei loro tradizionali percorsi culturali, che di lì a poco saranno attraversati dal Progresso (forti, ferrovie, fattorie, soldati, coloni), che li bloccherà, coarterà e depriverà della terra degli antenati, come della stessa vita…, esigeva una “strategia” che unisse l’artista e l’etnografo al cantore del mondo dei nativi americani. Oltre che al polemista denunciatore di soprusi e di prevaricazioni in nome di una civiltà “superiore”. 

Se arrivò a giustificare le sanguinose reazioni indiane, fu lungimirante nel prevedere la loro fine: “una vita dedicata alla riproduzione con lo scritto e con l’immagine del modo di vivere, dei costumi e del carattere di un’interessante razza di uomini che sta rapidamente scomparendo dalla faccia della Terra. Volevo andare a tendere la mano a una nazione in agonia, all’interno della quale non vi sono né storici né biografi”.

  Catlin riteneva che si dovesse conoscerne la lingua e cercare le motivazioni profonde delle istituzioni, senza restare alla superficie. 

Il suo è un certosino lavoro etnologico, che anche in futuro sarà estremamente utile, dove metodicamente “separa i fatti dalle opinioni” personali: “la sua testimonianza minuziosa e di prima mano di un momento tanto importante della storia degli indiani nordamericani, quando la Frontiera è già arrivata stabilmente nel Mississipi, ma ancora esistono tribù praticamente incontaminate, è di valore assoluto. Non per nulla la sua opera figura in tutte le future bibliografie, non per nulla le sue descrizioni saranno confermate dagli studiosi più accreditati”.

  “Come pittore Catlin fu sostanzialmente un documentarista, attento più ai fatti che all’estetica delle cose. Eccelse soprattutto nei ritratti. Con un sapiente uso del pennello seppe cogliere non solo i lineamenti del soggetto, ma anche il suo spirito orgoglioso e la sua personalità”, in questo aiutato dalla velocità di esecuzione dei dipinti, dalla memoria, dagli schizzi presi sul campo, dalla realizzazione successiva dei quadri.

Catlin nasce nel 1796 a Wilkes-Barre (Pennsylvania). Nel 1817-18 frequenta a Litchfield uno studio di avvocato. Poi inizia a praticare legge nella contea di Luzerne. 

Da subito è attratto dalla pittura. Vuole "diventare uno storico e un pittore degli aborigeni del grande continente nord americano". 

Nel 1823 va a Filadelfia per perseguire una carriera di ritrattista. In poco tempo diventa popolare. L’anno dopo la Philadelphia Academy of Fine Arts lo accetta come membro. Ritrae il Governatore di New York, dipinge il “suo” primo indiano, l’oratore dei Seneca “Giacca Rossa”. 

Nel 1828-29 è nelle riserve SenecaOneidaMohegan e Tuscarora, restandone deluso: "i selvaggi, liberi indiani ad ovest del Mississippi offriranno un migliore soggetto".

  Nel 1830 a St. Louis, punto di partenza obbligato verso la terra incognita del West, incontra il celebre Generale William Clark. 

Con lui oltrepassa la frontiera, arrivando a Prairie du Chien e Fort Crawford

Dipinge così IowaOmahaSiouxMissouriSauk e Fox

In autunno è a Fort Leavenworth, il posto più remoto dell’esercito sul Missouri (Iowa, DelawarePotawatomiKickapoo e Shawnee). Nel 1831 risale il Platte (Grand PawneeOtoOmahaMissouri).

  Nel 1832 dà inizio sul Missouri al suo grandioso e fantastico viaggio artistico-etnografico, che lo porterà attraverso i grandi spazi del West e numerose tribù indiane. 

Sosta prima nel villaggio dei Ponca, al confine tra gli indiani semicivilizzati e quelli “selvaggi”, poi, alla confluenza con il Teton, a Fort Pierre, letteralmente circondato da seicento tende Sioux, con i quali partecipa alla sua prima caccia al bisonte. 

Infine, prima di giungere a Fort Union (Dakota del nord), si ferma nel villaggio degli Assiniboine. Ha così risalito per 2000 miglia il fiume Missouri. 

Al forte resta per un mese dipingendo BlackfootCrowCree e Sioux. Con una canoa e due compagni parte poi per il viaggio di ritorno. A Fort Clark (il Fort Mandan della spedizione Lewis-Clark) osserva a lungo la cultura dei Mandan, in quella che rappresenta la fase fondamentale di tutta la sua esperienza nell’ovest. 

Sarà il primo bianco a vedere la cerimonia della Danza del Sole. Nelle vicinanze visita i villaggi Hidatsa. Di nuovo a St. Louis fa i ritratti di capi indiani prigionieri.

  Nel 1834 è tra i CherokeeChoctawCreek e Osage di Fort Gibson.

 Si unisce alla spedizione dei dragoni diretta a stabilire contatti con le tribù ComancheKiowa e Wichita

Nel 1835 dipinge Chippewa (Ojibwa), Sauk e Fox nel Minnesota. Qui incontra Lawrence Tagliaferro, maggiore d’origine italiana, che per lui organizzerà una festa indiana. Apprende della favolosa cava della Pietra della Pipa. Anche in questo caso è il primo bianco a studiarla. Vi raccoglierà campioni di un nuovo minerale, che si chiamerà catlinite.

  Nel 1837 a New York inizia ad esibire nella sua Indian Gallery quadri e oggetti etnografici. È un trionfo, anche se non tralascia occasione per criticare l’invasione delle terre dei nativi. 

Per la prima volta si affaccia l’ipotesi che il Congresso degli Stati Uniti possa acquistare la collezione. 

A Fort Moultrie dipinge il capo Seminole Osceola, preso prigioniero. Successivamente la mostra diventa itinerante, ma non avrà il consenso sperato. 

Nel 1840 Catlin la porta a Londra, ottenendo un successo clamoroso e il plauso della regina Vittoria, che lo aiuta a pubblicare le Letters and Notes on the Manners, Customs, and Condition of the North American Indians. Quando si contraggono i visitatori, saranno per lui guai seri, anche perché ha una famiglia numerosa (moglie e quattro figli).

  Nel 1843 il suo Wild West Show, precorritore di quello di Buffalo Bill, gira l’Inghilterra, dapprima con nove Ojibwa, poi con quattordici Iowa

Nel 1844 pubblica: The North American Indian Portfolio of Hunting Scenes and Amusements

Nel 1845 la Gallery va a Parigi. Re Luigi Filippo, che tra il 1797 e il 1800 era stato in America percorrendo Ohio e Mississipi, concede una galleria del Louvre per lo show

Muore la moglie Clara. 

Per Versailles dipingerà quindici ritratti di indiani. 

L’anno dopo Catlin si sposta in Belgio, ma la morte per vaiolo di tre indiani lo costringe a fermare tutto. 

Torna povero a Parigi, sempre sperando che il Congresso compri la collezione. In quest’anno morirà anche il figlio. Nel 1848 una sommossa popolare costringe il re ad abdicare. Perciò il suo lavoro non sarà pagato. Inoltre ha lo studio devastato, poiché noti sono i suoi rapporti con il re. 

Torna quindi con le tre figlie nuovamente a Londra, Gradatamente diventa sordo.

  Nel 1852 per un solo voto la proposta di acquisto dell’Indian Gallery è respinta al Congresso. I debitori incalzano. Il cognato porta via le sue figlie. Infine un industriale di Filadelfia salderà tutti i debiti in cambio della collezione. 

Prostrato Catlin torna a Parigi, Qui, nella Bibliothèque Impérial, un viaggiatore gli descriverà le miniere d’oro del Brasile. Parte così per il Sud America…

  Morirà a Washington nel 1872. 

Nel 1879 la collezione Catlin viene regalata alla Smithsonian.

Da: COMPANION BOOK DI NEL WEST. CONQUISTADORES, ESPLORATORI, NATURALISTI, ARCHEOLOGI, ETNOLOGI ALLA SCOPERTA DELL’OVEST AMERICANO, E-Book e versione cartacea (108 pp., 47 foto, 35 note)


E-Book:  https://www.amazon.it/dp/B01N3BOKBP

Versione cartacea: https://www.amazon.it/dp/1520532458


SOMMARIO

PREMESSA: Ecco i primi personaggi: 

un conquistador spagnolo, due militari-esploratori, due pittori (il primo sarà un famoso ornitologo, l’altro un celebre etnografo), un geologo-esploratore-etnografo. 

Otto etnologi e/o antropologi culturali, un archeologo, un’appassionata divulgatrice della propria cultura indiana

Francisco Vásquez de Coronado (1510-1554)

Meriwether Lewis (1774-1809) e William Clark (1770-1838)

John James Audubon (1785-1851)

George Catlin (1796-1872)

John Wesley Powell (1834-1902)

Frank Hamilton Cushing (1857-1900)

Frederick Webb Hodge (1864-1956)

Frances Theresa Densmore (1867-1957)

Robert Lowie (1883-1957)

Gladys Amanda Reichard (1893-1955)

Ralph Linton (1893-1953)

Clyde Kay Maben Kluckhohn (1905-1960)

Laura Maud Thompson (1905-2000)

Fred Eggan (1906-1991)

Rosebud Yellow Robe (1907-1992)

BIBLIOGRAFIA

.............................................

PAGINA AUTORE ITALIA;

https://www.amazon.it/Franco-Pelliccioni/e/B01MRUJWH1/ref=dp_byline_cont_book_1